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La Repubblica Rassegna Stampa
20.11.2004 Una cronaca scorretta dello scandalo in Israele
Alberto Stabile coglie l'occasione per fare propaganda

Testata: La Repubblica
Data: 20 novembre 2004
Pagina: 18
Autore: Alberto Stabile
Titolo: «Israele, le foto della vergogna»
Su LA REPUBBLICA di sabato 20-11-04 Alberto Stabile scrive sullo scandalo delle fotografie dei soldati israeliani in posa con i cadaveri di palestinesi in modo scorretto.
L'articolo si limita ad allineare una serie di racconti raccapriccianti, non riporta le dure parole di condanna pronunciate dal capo di stato maggiore israeliano e tende a far credere che abusi simili siano la norma nell'esercito israeliano. Tra le testimonianze dei soldati Stabile inserisce una frase, non virgolettata e quindi presumibilmente sua che lancia un'accusa grave e non dimostrata a tutto l'esercito israeliano: "Si deve capire che in un' unità operativa i soldati vogliono uccidere quanto più possibile"

(a cura della redazione di IC)

Ecco l'articolo:

GERUSALEMME - «Il palestinese è morto e non sa che ridiamo di lui», dice assolvendosi il soldato B., paracadutista, dopo aver ucciso un ricercato palestinese, averlo denudato ed averlo fotografato in mezzo ai commilitoni, compreso il comandante, mentre fanno il segno della Vittoria sopra la sua testa. È una delle tante testimonianze di dileggio o di scempio dei cadaveri nemici, raccolte da Yediot Aharonot assieme alle relative fotografie che circolano fra i militari israeliani al prezzo di due shekels (40 centesimi di euro) a foto. Il capo di Stato maggiore, Moshe Yaalon, ha ordinato alla polizia militare di individuare i responsabili ed arrestarli.
Testimonianza di Y. Anno 2002, un attentatore suicida si fa esplodere al posto di blocco di Amra. Non ci sono vittime, sul terreno restano soltanto i resti del kamikaze. I commilitoni di Y. sono soddisfatti e festeggiano. Prendono una mano, una gamba e poi gli raccontano come hanno giocato con il corpo, come se fossero parti di un Lego. A questo punto tirano fuori le macchine fotografiche. G., un altro sottufficiale chiede di essere fotografato con la testa mozzata. I soldati ridono. La testa viene impalata «come uno spaventapasseri» e poi le infilano una sigaretta in bocca. «Mi ricordo che ho tentato di dire: "Siete diventati matti? Fate davvero schifo". Non hanno nemmeno capito di cosa stessi parlando. All´improvviso guardi la cosa dall´esterno e ti dici: vogliamo credere che siamo migliori di loro, degli arabi, ed ecco che siamo proprio come loro. Loro non hanno regole, ma dove sono le nostre, di regole?».
Testimonianza di Sh., fino a non molto tempo fa, in forze a una compagnia di carristi di stanza sul confine con la Striscia di Gaza. Giugno-Luglio 2003. Un tank scorge un palestinese in avvicinamento e spara con la mitragliatrice. Quando i soldati si avvicinano, scoprono un corpo, senza armi, senza cintura esplosiva. Un tipo qualsiasi, forse uno squilibrato che non aveva idea di dove stesse andando. Il corpo viene legato al cofano di un gippone e portato alla base. Li vengono estratte le macchine fotografiche per immortalare la nuova "mascotte" della compagnia.
Da quel momento il corpo riceve il soprannome di "Hafi" (diminutivo di haf mi-pesha, innocente in ebraico). Dice Sh.: «Divenne il nostro scherzo. Se qualcuno uccideva un terrorista gli dicevano: "Ah, non è come Hafi". Si deve capire che in un unità operativa i soldati vogliono uccidere quanto più possibile e per ciò si raccontano una sacco di storielle, del tipo: "Ho ucciso sette innocenti e cinque terroristi; adesso mi devi aiutare ad uccidere altri due terroristi per pareggiare il conto"».
Testimonianza di D. «Ricordo che presi parte a un´operazione vicino a Nablus. A un certo punto unto arrivò una macchina di poliziotti palestinesi, che fu colpita ripetutamente. Udimmo dalla radio che i corpi erano in cattivo stato, parti del cervello e degli intestini sparsi. Ci dissero che erano necessari dei volontari. E che eccitazione ci fu. A me la cosa dava la nausea, ma ci sono stati quelli che sono andati e si sono fatti fotografare. Poi le foto sono passate di mano in mano. È diventato semplicemente parte dell´album ricordo, come alla fine dell´addestramento».
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