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Il Foglio Rassegna Stampa
17.11.2004 La cacciata degli ebrei dai paesi arabi, le tangenti di Saddam
due storie sottaciute

Testata: Il Foglio
Data: 17 novembre 2004
Pagina: 3
Autore: Victor Magiar- un giornalista
Titolo: «Storia dolorosa e sottaciuta degli "ebrei arabi" e della loro cacciata - Oil for food ha dato a Saddam 21 miliardi di profitti illegali»
A pagina 3 dell'inserto IL FOGLIO di oggi, 17-11-04, pubblica l'articolo di Victor Magiar "Storia dolorosa e sottaciuta degli "ebrei arabi" e della loro cacciata"
Ecco l'articolo:

Quasi un milione, fuggiti, espulsi, cacciati. Questo è il numero incerto degli
ebrei che hanno dovuto lasciare i paesi arabi in un esodo silenzioso che la falsa storiografia del medio oriente non ha voluto vedere. Saggi, romanzi e film stanno ora per rompere un silenzio durato quasi un secolo, smontando menzogne e luoghi comuni, rompendo anche la dolorosa reticenza delle vittime: perché è una storia che noi, ebrei dei paesi arabi, abbiamo raccontato sottovoce. Se ne è discusso ieri sera a Milano: Fiona Diwan e Luisa Grego, nate in terre arabe, hanno presentato il film documentario "L’esodo silenzioso" di Pierre Rehov, regista francese nato in Algeria, e hanno poi invitato ad una "riflessione" altri tre figli del medio oriente, Magdi Allam, Gad Lerner e
il sottoscritto, nella scomoda veste di testimone e di autore di un romanzo che racconta la stagione dei pogrom antiebraici e dell’intolleranza arabo-islamica. Unico europeo "doc", Carlo Panella. Più di mille persone hanno assistito una discussione non banale, anticipata dalla visione di un film crudo, dalle tinte forti, pregio e difetto di un documentario di denuncia. Ma la Storia è più complessa: difficile semplificare o raccogliere in un concetto le vicende che per 1.400 anni si sono dipanate su un territorio esteso due volte e mezzo la superficie dell’Europa geografica (quella dagli Urali all’Atlantico!).
Ancora più difficile, e sbagliato, considerare gli arabi un unicum, come vorrebbero i panarabisti. La necessità storica di ebrei e arabi, degli israeliani e dei palestinesi, di avere una storiografia redentrice ha generato e moltiplicato stereotipi e luoghi comuni: "Arabi ed ebrei hanno sempre vissuto insieme in pace", "gli ebrei nei paesi arabi sono sempre stati perseguitati e sottoposti alla sharìa e alla condizione di dhimmi. Il mito arabo vuole che l’esodo degli ebrei sia una conseguenza della nascita dello Stato d’Israele; o che i pogrom antiebraici siano stati episodici e innocui, in alcuni casi addirittura organizzati dai "sionisti". Invece la storia è ben altra. Per 2.000-
2.400 anni, gli ebrei hanno vissuto nelle terre che oggi consideriamo arabe. L’arrivo degli arabi-islamici 1.300 anni fa nelle terre che vanno dall’Eufrate all’Atlantico ha comportato lo scontro degli arabi con le popolazioni residenti, ebrei inclusi: Caima, l’ultima regina marocchina a resistere all’invasione araba, era per l’appunto berbera ed ebrea. Il Patto di Omàr stabilì 1.100 anni fa la possibilità per il residente di fede ebraica o cristiana di vivere in condizione di dhimmi, di protetto: pagando una tassa si poteva avere qualche diritto e salva la vita. Una condizione invidiata dagli ebrei europei che per mille anni sono fuggiti dalle terre cristiane verso quelle islamiche. Grandi pensatori, matematici e medici divennero presto, e per secoli, consiglieri di sultani e monarchi. Epoche di splendore si sono però alternate con il buio più cupo: non sono mancati pogrom e sterminio. Alcune date: anno 700, intere comunità massacrate dal re Idris I del Marocco; 845, promulgati in Iraq decreti per la distruzione delle sinagoghe; 861, nascita dell’obbligo per gli ebrei di portare un abito giallo, una corda al posto della cintura; 1006, massacro degli ebrei di Granata; 1033, proclamata la caccia all’ebreo Fez, 6.000 morti; 1147-1212, ondata di persecuzioni e massacri nel Nord Africa; 1293, distruzione delle sinagoghe in Egitto e Siria; 1301, i Mammelucchi costringono gli ebrei a portare un turbante giallo; 1344, distruzione delle sinagoghe in Iraq; 1400, pogrom in Marocco in seguito al quale si contano a Fez solo undici ebrei sopravvissuti; 1535, gli ebrei della
Tunisia vengono espulsi (o massacrati); 1676, distruzione delle sinagoghe nello Yemen; 1776, sterminio degli ebrei di Basra, Iraq; 1785, massacri di ebrei in Libia; 1790- 92, distruzione delle comunità ebraiche in Marocco; 1805-15-30, pogrom di Algeri; 1840, persecuzioni e massacri a Damasco; 1864- 1880, pogrom a Marrakesh; 1869 eccidi a Tunisi; 1897, massacro di Mostganem in Algeria; 1912, pogrom a Fez. Del resto a iniziare fu lo stesso Maometto, nel 624, sterminando
le tribù ebraiche della penisola arabica. Ma la tragedia su grande scala per gli
ebrei è arrivata, anche in medio oriente, all’inizio del Novecento, con il crollo dell’Impero ottomano e l’approdo del teorie nazionaliste fra i popoli arabi privi di identità e di leadership. Annichilito da cinque secoli di opprimente dominazione ottomana, il mondo arabo si è risvegliato cento anni fa diviso per criteri etnici e in strutture tribali. I movimenti politici di quel mondo, piuttosto che esprimere un’opzione di carattere propriamente politico, cioè di governo della realtà, hanno risolto in primis l’esigenza di rappresentare il movente identitario, spesso puramente etnico o religioso; un deficit di cultura politica ha surrogato ricorrendo a un codice fondativo tipico delle politiche identitarie di gruppo: il "riscatto della propria nazione". Se la dinastia hashemita di Hussein, sceicco di Mecca e Medina, firma tre accordi con il movimento sionista per accogliere i fratelli ebrei nella loro patria natia, in Egitto la teoria panislamica (e dopo quella panaraba) con la costituzione del partito dei Fratelli Musulmani nel 1929 definisce gli ebrei "elemento estraneo alle terre islamiche": la dhimma non basta più, gli ebrei diventano nemici. E’ per "restaurare la purezza dell’islam" che l’emiro di Riyadh, il wahhabita Ibn Saud, rovescia nel 1925 il Re hashemita Hussein, impossessandosi dell’Arabia da allora definita, appunto, Saudita; è perché considerato traditore che Abdallàh, figlio di Hussein, viene assassinato da estremisti nazionalisti a Gerusalemme, dentro alla Moschea di Omàr. Nel 1945 gli ebrei di Aden, Algeria, Bahrein, Egitto, Libano, Libia, Marocco, Siria, Tunisia e Yemen erano 862.050: oggi sono soltanto 7.500. Imprecisi i dati per altri paesi arabi e islamici. Ma il silenzio è stato anche nostro, delle vittime e di Israele. La mitologia israeliana, definita da una capace leadership ashkenazita, ha sempre sottovalutato la vicenda degli "ebrei arabi" (come ci chiamava Golda Meir), privilegiando raccontare il riscatto degli ebrei europei, raffinati intellettuali tornati al lavoro della terra e scampati al più grande pericolo del mondo, il nazismo. Noi, che da secoli ci siamo confrontati, nel bene e nel male, con gli arabi, abbiamo considerato la nostra vicenda come una tappa, quasi banale, nello scontro araboebraico. Il nostro esodo non ci ha meravigliato perché, così come per italiani e austriaci, il nostro è stato uno scontro tra nazioni: "loro" gli arabi , "noi" Israele. Siamo
usciti, quasi per miracolo, derubati di tutto e con una lunga scia di sangue, ma a testa alta, da vincitori: riscattati "noi" dalle vittorie di Israele, infuriati e umiliati "loro" dalle cocenti sconfitte. Le nostre ferite erano, e rimangono, poca cosa rispetto all’enormità della Shoah; le nostre ferite molto ricompensate dalle nuove libertà recuperate in occidente o in Israele: unico punto in comune con la Shoah, la scomparsa di un mondo: la civiltà araba-ebraica, fatta di conflitto e coesistenza, è stata una generosa mistura di cultura e arte, di lingue e cibi, di proverbi, odi, timori e benedizioni. La rivisitazione di quell’epoca e di quell’esperienza è per noi, nati sotto le palme del Mediterraneo, è un’occasione importante: per guarire una ferita noi ebrei, per guardarsi allo specchio e ricostruire la propria memoria gli arabi. La pace non nasce dall’oblio.
Da pagina 3 riproduciamo l'articolo "Oil for food ha dato a Saddam 21 miliardi di profitti illegali"
Roma. Saddam e il suo regime hanno incassato 21,3 miliardi di dollari di profitti illegali, grazie al programma delle Nazioni Unite "Oil for food", più del doppio rispetto alle stime iniziali, e parte di questo denaro potrebbe servire ancora oggi a finanziare la guerriglia e il terrorismo antiamericano in Iraq. E’ quanto scoperto da una commissione d’inchiesta del Senato americano, come rivelava ieri il Washington Post. Norm Coleman, senatore repubblicano del Minnesota, ha sostenuto che era quasi impossibile organizzare una truffa di tale proporzioni senza che le alte sfere dell’Onu se ne accorgessero. Al momento si sa che una parte di questo denaro è stata utilizzata per arredare gli sfarzosi palazzi di Saddam Hussein, ma Coleman non esclude che, ancora oggi, i soldi illeciti "possano servire a finanziare l’insurrezione in Iraq". Le Nazioni Unite, invece, avrebbero dovuto garantire, attraverso "Oil for food", la vendita del petrolio iracheno in modo da utilizzare gli introiti per l’acquisto di cibo e di medicine. La commissione d’inchiesta del Senato ha compilato una lista con le cifre della truffa. Prima del 1996, Saddam aveva già incassato illegalmente 3,9 miliardi di dollari dal contrabbando illegale di greggio. La situazione è peggiorata nel ’96, quando l’Iraq ha ottenuto la possibilità di negoziare direttamente i propri contratti di vendita del petrolio e quelli relativi ai beni da importare: 4, 4 miliardi sono derivati da mazzette sui contratti per gli aiuti a Baghdad, previsti dall’Onu nel contesto del programma "Oil for food". Altri 241 milioni di dollari sarebbero scaturiti da un sovraprezzo della vendita del petrolio iracheno; 2,1 miliardi dalla vendita di altri beni, prevista dal programma. Le compagnie petrolifere avevano
avvisato i vertici dell’Onu, che hanno fatto finta di niente, e la missione britannica al Palazzo di Vetro ha compilato, nel 2000, uno specifico dossier. Anche l’Iran aveva denunciato queste pratiche, ma le proteste non hanno avuto alcun seguito. Ben 9,7 miliardi di dollari sono stati incassati illegalmente dal contrabbando durante il periodo 1996-2003, parallelamente a "Oil for food". Gli investimenti effettuati dal regime iracheno in mezzo mondo, grazie ai pagamenti illeciti fatti all’estero, valgono 403 milioni di dollari. Anche i curdi, nel nord dell’Iraq, si sono ritagliati la loro fetta dai programmi di aiuti previsti da "Oil for food": i senatori americani la stimano intorno a 405 milioni di dollari. La zona curda godeva della copertura aerea americana ed era governata dai due principali partiti dei peshmerga, odiati da Saddam. La commissione d’inchiesta ricorda anche che Saddam ha utilizzato milioni di barili per attività di corruzione: da un lato per nascondere il sistema illegale creato con il programma "Oil for food" e, dall’altro, per esercitare pressioni a livello internazionale contro l’embargo all’Iraq. Benon V. Sevan, responsabile del contestato programma, ha sempre negato di aver intascato mazzette petrolifere. Secondo Charles A. Duelfer, il capo degli investigatorisulle armi irachene – che ha testimoniato davanti ai senatori americani – esistono a Baghdad alcuni documenti che dimostrerebbero
come Sevan abbia beneficiato della vendita di 13 milioni di barili di greggio iracheno. Mark L. Greenblatt, collaboratore della commissione d’inchiesta, ha spiegato che, a partire dal 1998, Saddam "ha concesso grosse partite di greggio a giornalisti, funzionari governativi e terroristi, che poi le facevano rivendere alle compagnie petrolifere tradizionali, incassando sostanziose commissioni". I casi più clamorosi, nel campo del terrore, riguardano i 5 milioni di barili dati ai palestinesi del Fronte popolare di liberazione
della Palestina e gli 11,5 milioni di barili che Abu Abbas, mandante del sequestro dell’Achille Lauro, ha potuto vendere grazie a Saddam.
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