La democrazia, per il quotidiano comunista, è il sistema politico che sceglie la guerra con Israele sarebbero questi gli amici dei palestinesi
Testata: Il Manifesto Data: 17 novembre 2004 Pagina: 5 Autore: Michele Giorgio Titolo: «A Gaza l'unità dell'Olp alla prova Dahlan»
I palestinesi oltranzisti responsabili dell'avvertimento mafioso ad Abu Mazen, ribattezzato "scontro", diventano, nell' articolo di Michele Giorgio "A Gaza l'unità dell'Olp alla prova Dahlan", pubblicato dal MANIFESTO di oggi 17-11-04, onesti nazionalisti impegnati a salvaguardare i processi democratici, impedendo l'estromissione degli arafattiani dalle cariche politiche. Un ritratto "edificante" e tendenzialmente agiografico di Ahmed Helles, segretario di Al Fatah a Gaza, omette la sua alleanza con il corrotto Musa Arafat e non annette particolare importanza al fatto che si tratta probabilmente del mandante dell'aggressione ad Abu Mazen. Emerge la particolare concezione di "democrazia" del quotidiano comunista, almeno per quanto riguarda i palestinesi. Una concezione che può essere così riassunta: In democrazia, anzitutto, la corruzione deve essere denunciata solo quando riguarda i politici più disposti al dialogo con Israele e alla lotta al terrorismo (Il Manifesto non ha infatti mai denunciato la corruzione del regime di Arafat) Profondamente antidemocratico, in secondo luogo, è ogni tentativo di combattere il terrorismo, espressione spontanea dei sentimenti popolari. Profondamente democratico, in terzo luogo, è minacciare o uuccidere gli avversari politici, se questi sono ritenuti "servi di Israele" Infine, per sintetizzare, la democrazia palestinese è quel sistema politico che conduce alla guerra (sistematicamente perduta) con Israele e che consente all'estero ai simpatizzanti della causa di prosegure all'infinito la loro campagna contro Israele e il loro lamento sulle disgrazie del popolo di cui dicono di essere amici.
Ecco l'articolo: Yasser Arafat è morto solo una settimana fa ma a Gaza qualcuno già pianifica la rimozione immediata dalle cariche politiche di rilievo agli «arafattiani», ovvero a quei dirigenti politici e militari che avevano un rapporto stretto, diretto con il presidente palestinese. La sparatoria di domenica sera a Gaza city durante una commemorazione funebre per Arafat - una trentina di militanti delle Brigate dei martiri di Al-Aqsa e di tanzim guidati dal segretario locale di Al-Fatah, Ahmed Helles, si sono scontrati con le guardie del corpo del nuovo leader dell'Olp Abu Mazen e dell'uomo-forte di Gaza ed ex ministro Mohammed Dahlan, causando due morti e diversi feriti - ha dato una improvvisa accelerazione al confronto in atto tra le varie anime di Al-Fatah. A Gaza in queste ore si parla a bassa voce, ma qualcuno non esita a dire che «Dahlan intende farla pagare ad Ahmed Helles, farà di tutto per costringerlo a lasciare Al-Fatah, con le buone o le cattive». A Gaza city si respira di nuovo un clima pesante, simile a quello dello scorso luglio quando Dahlan fomentò una rivolta nei ranghi di Al-Fatah e delle Brigate dei martiri di Al-Aqsa, preparata a tavolino. Una atmosfera cupa che si è fatta sentire anche durante i nuovi colloqui avviati ieri da Abu Mazen con i 13 movimenti politico-militari palestinesi, compresi Hamas e Jihad. Si è discusso anche di una ipotesi di una tregua con Israele, che potrebbe essere esaminata dalle fazioni durante una riunione al Cairo a fine mese. Helles, uno dei fedelissimi di Yasser Arafat, è il segretario di Al-Fatah nella Striscia di Gaza. Non ha le doti del grande politico, non è un buon oratore, ma è considerato un nazionalista convinto. A ciò abbina anche l'apartenenza ad una delle hammule (clan familiare) più importanti di Gaza che ha dato tanti militanti e funzionari prima all'Olp e dopo all'Anp. «Il suo confronto con Dahlan non è legato alla lotta per il potere e il controllo militare di Gaza, come nel caso di Musa Arafat (il capo dell'intelligence militare) - ci ha detto il giornalista Safwat Kahlut, di Jabaliya - si tratta di un conflitto ideologico e politico sul futuro dei Territori occupati e sul ruolo di Al-Fatah». Helles ha seguito con sgomento nell'ultimo anno il flusso di militanti di Al-Fatah che entravano nella corrente che fa riferimento a Dahlan. Quest'ultimo, grazie al controllo del servizio di sicurezza preventiva (Ssp) è riuscito ad assicurarsi una importante fonte di finanziamento per il suo progetto politico. Gli agenti del Ssp infatti sono incaricati di controllare il traffico commerciale ai valichi di Minthar (Karni) e Sufa, tra Gaza e Israele. Un responsabile ministeriale palestinese ha spiegato che «gli agenti di Abu Shbak chiedono agli uomini d'affari palestinesi il pagamento di una "commissione" per assicurare l'uscita verso Israele o l'ingresso rapido a Gaza di qualsiasi prodotto o merce». Le «commissioni» (ma sarebbe più giusto chiamarle «tangenti») raccolte in un anno sono stimate in alcuni milioni di dollari che vengono impiegati per rafforzare il consenso a Mohammed Dahlan in Al-Fatah (gli iscritti schierati con l'ex ministro ricevono un salario mensile). Helles, che invece non ha a disposizione fondi, si è opposto per quasi un anno allo strapotere di Dahlan - i due gruppi si scontrarono violentemente il primo gennaio, durante le celebrazioni per l'anniversario Al-Fatah - ma adesso ha compreso che la sua battaglia è perduta poiché, dopo la nomina di Abu Mazen e su indicazione di Dahlan, gli arafattiani e coloro che non accettano la «visione strategica» dei due alleati verranno esclusi dalle posizioni di potere. Dahlan da parte sua sa bene che senza la rapida uscita di scena di Helles non potrà mai avere il controllo assoluto di Al-Fatah a Gaza, necessario per conquistare in futuro anche la Cisgiordania. La sparatoria di domenica sera a Gaza city ha perciò aperto una fase di grave incertezza alla base del principale movimento politico palestinese mentre la candidatura formale di Abu Mazen a prossimo presidente dell'Anp dovrebbe essere presentata nei prossimi giorni, dopo una ultima riunione dei vertici di Al- Fatah.
Mentre rimane incerta l'ipotesi di una candidatura di Marwan Barghouti, che sconta una condanna plurima all'ergastolo in un carcere israeliano, ci sono già altre due candidature: il docente universitario di Nablus Abdel Sattar Qassem, 56 anni, un islamista moderato che si batte da anni contro la corruzione e l'ex-ministro dello sport Talal Seder, 50 anni. Anche il ricco uomo d'affari di Nablus, Munib al Masri, 67 anni, un amico personale del presidente palestinese sta considerando la possibilità di candidarsi. Non ci saranno invece candidati di Hamas e Jihad, che boicotteranno le elezioni, fondate sugli accordi di Oslo che loro rifiutano. Intanto entro la fine di novembre, 13 fazioni palestinesi si riuniranno al Cairo per discutere di elezioni. Colloqui simili erano cominciati lo scorso gennaio, sempre in Egitto, ma si interruppero quando Hamas e Jihad affermarono che non avrebbero mai accettato che l'unico a sedere al tavolo di eventuali negoziati con Israele fosse Arafat, rivendicando la necessità di una propria rappresentanza. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione del Manifesto. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.