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La Repubblica Rassegna Stampa
17.11.2004 Hamas diventa la parte aggredita, Iran e Siria innocenti calunniati
nella cronaca di Alberto Stabile

Testata: La Repubblica
Data: 17 novembre 2004
Pagina: 16
Autore: Alberto Stabile
Titolo: «Abu Mazen nel mirino di Hezbollah»
(a cura della redazione di IC)
Da pagina 16 di LA REPUBBLICA di oggi, 17-11-04, riproduciamo l'articolo di Alberto Stabile "Abu Mazen nel mirino di Hezbollah":

GERUSALEMME - Abu Mazen tratta con i gruppi armati. Per niente intimorito dall´avvertimento subito domenica sera, l´ex premier palestinese subentrato ad Arafat nella guida dell´Olp continua la sua missione a Gaza con un obbiettivo preciso: convincere il fronte della guerriglia, Hamas, Jihad islamica e le altre organizzazioni del rifiuto a dichiarare una tregua o almeno un cessate il fuoco unilaterale per i due mesi che mancano alle elezioni del 9 gennaio.
Apparentemente Hamas, se colpita, non intende rinunciare al suo "diritto" di rappresaglia.
Sebbene un improvviso pudore gli faccia scrivere tra virgolette la parola "diritto", a proposito delle stragi di Hamas, , Stabile non si trattiene dall'invertire i ruoli dell'aggressore e della vittima tra l'organizzazione terroristica islamista e Israele. Quelle di Hamas sarebbero infatti, per lui, "rappresaglie" agli attacchi israeliani. In realtà Hamas colpisce Israele senza aspettare nessun colpo, non ha proclamato nessuna tregua, in passato ha sempre sfruttato i periodi in cui Israele si è astenuta dal colpirla per riorganizzarsi e compiere nuovi attentati e comunque non nasconde che il suo obiettivo strategico è la distruzione di Israele, per cui rappresenta una minaccia costante.
Sembra, anche, che il movimento islamico non intenda partecipare alle elezioni per la presidenza dell´Autorità palestinese (il che non vuol dire boicottarle) esattamente come fece nel ´96. Ma bisognerà aspettare la fine del soggiorno di Abu Mazen nella Striscia per capire quali risultati ha ottenuto la sua missione.
Nel frattempo, l´uomo che si è proposto come un probabile successore di Arafat dovrà continuare a guardarsi le spalle. Secondo i servizi di sicurezza israeliani, che da molto tempo hanno nel mirino l´Iran e la Siria, il vero pericolo per Mahmud Abbas (Abu Mazen, secondo il suo nome di battaglia) potrebbe venire da quei gruppi della guerriglia che hanno legami organizzativi, finanziari e logistici con gli Hezbollah libanesi. La premessa essendo che l´Iran e la Siria, cioè i due paesi sponsor degli Hezbollah, non vogliono che gli eredi di Arafat chiudano il capitolo della violenza terroristica, disarmino le fazioni armate e tornino al tavolo della trattativa.
L´intelligence israeliana avrà le sue ragioni per dirlo. Ma la sparatoria di Gaza, di cui si sa ormai tutto, avviene in un contesto completamente diverso, dove gli Hezbollah non c´entrano. C´entra, invece, la spaccatura che s´è aperta all´interno di al Fatah a Gaza quando Yasser Arafat era ancora in vita. Una spaccatura che vede due schiere l´un contro l´altra armate: da una parte l´asse formato dal capo di Fatah nella Striscia, Ahmad Hillal, assieme a Mussa Arafat, parente del defunto raìs e da questi nominato a suo tempo capo dei Servizi di sicurezza di Gaza; dall´altro il potente Mohammed Dahalan, ex ministro della Sicurezza Interna durante il governo di Abu Mazen e boss di Khan Yunis, che gli avversari accusano di aver fomentato l´anarchia violenta che s´è abbattuta a Gaza nell´ultimo anno.
L'intelligence israeliana ha anche denunciato il sostegno fornito dall'Iran e dalla Siria ai gruppi palestinesi contrari allle trattative con Israele.
Stabile sembra invece suggerire che le ultime accuse ai due paesi siano infondate e rientrino in una campagna contro di loro, ma l'ipotesi della faida interna non è alternativa a quella delle ingerenze esterne.

Ora, l´unico segnale certo che si può decifrare nell´intrecciarsi di trame e di manovre che segna la battaglia per la successione è l´emergere di una alleanza tra Abu Mazen e Dahalan. Le parole dette, ieri, a Gaza, da Dahalan per smentire una sua candidatura suonano come un´investitura a favore dell´ex premier: «Abu Mazen - ha detto Dahalan - può essere il ponte tra il passato, il presente e il futuro. Quando parlo di ponte, voglio dire che egli può mettere insieme tutte le generazioni». Valutazione, forse, eccessivamente ottimistica.
Non si può dire, infatti, se le Brigate Al Aqsa, che rappresentano l´espressione di una frattura politica e generazionale con la vecchia leadership, accetteranno questo compromesso. I segnali che giungono dall´interno dell´organizzazione armata sono contraddittori. In un´intervista al Financial Times, il capo delle Brigate di Jenin, Zacharia Zubeidi ha fatto capire che sarebbe disposto ad appoggiare la candidatura di Abu Mazen, se «eletto liberamente», fino a quando rispetterà le richieste «inalterabili» avanzate dal popolo palestinese: uno Stato creato sui confini precedenti alla guerra del ´67 , con Gerusalemme come capitale e con le garanzie per il ritorno dei rifugiati. «Ma se Abu Mazen - ha continuato Zubeidi - arretrerà da queste richieste noi non lo riconosceremo».
Si sa che le brigate Al Aqsa, come i Tanzim, la milizia giovanile del Fatah, vorrebbero candidare Marwan Barghuti, il popolare dirigente dell´Intifada condannato a cinque ergastoli per terrorismo. Ma forse stanno realizzando che, oggi, per una candidatura Barghuti mancano le condizioni.
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