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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
11.11.2004 Se il dialogo non riprenderà, sostiene Guido Olimpio, la colpa sarà di Israele che chiede all'Anp misure antiterroristiche
non dell'Anp che non le adotta

Testata: Corriere della Sera
Data: 11 novembre 2004
Pagina: 11
Autore: Guido Olimpio
Titolo: «E i militanti aspettano un segnale da Barghouti»
Mentre concede alle ipotesi di un complotto israeliano per uccidere Arafat un credito che non meritano, Guido Olimpio, nell'articolo "E i militanti aspettano un segnale da Barghouti", non ne concede alcuno alla dichiarazione di Sharon per cui l'uscita di scena di Arafat potrebbe segnare "l'alba di una nuova era" di dialogo. Questo perchè Sharon si ostina a chiedere ai palestinesi una decisa azione contro i terroristi.
Una richiesta persino ovvia, che per Olimpio non è che una "vecchia musica", che vorrebbe smettere di sentir suonare.
Sharon scrive Olimpio, "non ha aiutato per nulla" Abu Mazen, il che è falso: Israele aprì una linea di credito per il premier, che venne invece silurato da Arafat.
Non una riga, ovviamente, sul terrorismo di Barghouti, indicato come il leader cui andrebbe il consenso dei palestinesi dei territori

Ecco l'articolo:

Gerusalemme — La base di Al Fatah chiede di votare, non vuole che un «Karzai qualsiasi» assuma il potere con una investitura dall'alto. I tanzim, gli attivisti del movimento, si augurano che la promessa di elezioni fatta ieri sia mantenuta e in tempi ragionevoli. Perché non hanno simpatia per Abu Ala e Abu Mazen. Il loro cuore batte per Marwan Barghouti, detenuto in una prigione israeliana dove sta scontando cinque ergastoli. In tanti nei territori, in caso di elezioni, lo vorrebbero vedere candidato. E da Nablus elementi che sono in contatto con «radio carcere» non escludono sorprese da parte di Barghouti. L'uomo che ha guidato la rivolta gode di una popolarità schiacciante, ha carisma ed è considerato un leader.
Il nome di Barghouti può risollevare le sorti del Fatah, paralizzato da una profonda crisi. L'esatto opposto della coppia Abu AlaAbu Mazen, la cui legittimità è in discussione. E' bene ricordare che i due Abu piacciono a Israele, «impressionano positivamente» gli Stati Uniti, hanno il sostegno dell'Unione Europea, ma non accendono l'entusiasmo dei palestinesi.
In queste ore angoscianti, i militanti del Fatah scrutano attentamente gli sviluppi all'interno e all'esterno della Mukata. Pur detestando le sparate di Suha Arafat, condividono la teoria del complotto. E a più livelli. Innanzitutto vogliono vederci chiaro sulla malattia. I dirigenti palestinesi hanno escluso l'avvelenamento, però qualcuno che lavorava all'interno della Mukata (forse un cuoco) sarebbe stato arrestato. Forse non tutti credono al veleno nei pasti o nelle medicine del raìs, però pensano che possa essere accaduto qualcosa di strano. Con un tocco di ironia, un giornale arabo ha invitato Abu Mazen «a non mangiare e non bere nulla che gli venga offerto dentro la Mukata».
Il ministro degli Esteri Nabil Shaat ha dirottato la responsabilità comunque su Israele, imputando la malattia del leader al lungo assedio imposto dai soldati. La fine di Arafat, aggiungono i militanti delle Brigate Al Aqsa, è stata accelerata da sua impossibilità di uscire dalla Mukata e dalle cure non appropriate. C'è chi vede in questo ragionamento un possibile segnale di violenze diffuse. O quantomeno una forma di pressione. Un equilibrio precario dove peserà il comportamento degli attuali responsabili palestinesi e di Israele.
E qui è il «secondo complotto». I tanzim del Fatah temono che sia stato confezionato un pacchetto istituzionale sulla loro testa con Abu Ala premier e Abu Mazen capo dell'Olp. Un esponente delle Brigate Al Aqsa incontrato qualche giorno fa a Nablus è stato chiaro: chiediamo garanzie sul voto, pretendiamo trasparenza nella gestione dei fondi. Da Tunisi, dove vive in esilio, si è fatto vivo il «falco» Farouk Khaddumi. L'alto esponente palestinese e di fatto attuale numero due dell'Olp ha subito sottoscritto le richieste del Fatah. Quattro i punti chiave del suo intervento. 1) Non è stato nominato «successore» da Arafat. 2) Sarebbe «onorato» se «i fratelli» volessero nominarlo alla testa dell'Olp. 3) Ha chiesto la convocazione di un congresso all'estero «per non essere spiati dagli israeliani». 4) Ha sollecitato un ritorno di tutti i fondi nelle casse dell'organizzazione.
Gli osservatori, se, da un lato, riconoscono la possibilità di una nuova realtà, dall'altro guardano a Israele. In occasione del primo governo di Abu Mazen, Gerusalemme non ha aiutato per nulla il capo del governo. Oggi i commentatori più autorevoli ed esponenti dell'esercito invitano Sharon a passi concreti verso i successori «temporanei» di Arafat. La liberazione dei prigionieri, l'alleggerimento della chiusura dei territori, i permessi di lavoro, la fine delle operazioni militari sono alcune delle misure suggerite. Il premier ha replicato che la prima mossa spetta ai palestinesi, con un'azione decisa contro i terroristi. E' forse l'alba di «una nuova era» (parole di Sharon), ma la musica è quella vecchia.
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