Ritratto dei due successori di Arafat l'analisi di Fiamma Nirenstein
Testata: La Stampa Data: 10 novembre 2004 Pagina: 7 Autore: Fiamma Nirenstein Titolo: «Vizi e virtù dei due Abu, i Raìss del futuro»
A pagina 7 LA STAMPA di oggi, 10-11-04, pubblica un articolo di Fiamma Nirenstein sui successori immediati di Yasser Arafat e sulle loro possibili politiche. Ecco l'articolo: GERUSALEMME Ramallah già mostra di vivere, con le lacrime, le luci accese nella notte, con una situazione densamente emotiva e la folla che si addensa intorno alla Muqata, quello che il mondo ancora non si è sentito dire chiaramente: Arafat agonizza verso la sua fine nella notte del Khader, quando il Corano fu consegnato a Maometto, una notte forse prescelta intenzionalmente, dopo tanti giorni di coma profondo e di terribili pettegolezzi, per tornare all’epos palestinese. La successione vera e urgente si è delineata ieri sera, quando Saeb Erekat è scoppiato in lacrime annunciando che il Raìss ha avuto un’emorragia celebrale, ovvero che bisogna prepararsi all’annuncio della sua morte. I palestinesi forse non avevano ben capito, nonostante la lunga agonia, che tutto sta per cambiare, che muore il loro vecchio destino e se ne prepara uno nuovo, buono o cattivo non si sa. Che sia buono dipende dalla quantità di innovazione rispetto alla linea messianica di Arafat, dipende dal pragmatismo che sapranno mostrare i due leader che di sicuro, almeno in questa fase, prenderanno in mano le sorti dei palestinesi. I due sono il primo ministro attuale, Abu Ala, ovvero Ahmed Qorei, nato nel 1937, e l’ex primo ministro, oggi Segretario generale dell’Olp, Abu Mazen, ovvero Mahmud Abbas, nato nel 1935. Il più importante è il secondo, perché ha accumulato molti punti sia di fronteai suoi elettori palestinesi per il lungo «pedigree» patriottico, sia di fronte al mondo intero: per soli ottanta giorni è stato un capo del governo che Arafat guardava «obtorto collo» fino a espellerlo nel settembre 2003, proprio perché aveva mostrato un volto possibilista agli Stati Uniti e a Israele firmando la Road Map, biasimando (sia pure per motivi non morali ma di opportunità) il terrorismo e cercando di strappare a Arafat almeno parte del controllo delle cinque milizie armate. Questo lo rende un candidato apparentemente capace di aprire uno spiraglio in quella famosa «finestra di opportunità» che la scomparsa di Arafat fa intravedere. Ma i molti motivi che rendono Abu Mazen carismatico presso il suo popolo non hanno a che fare con la pace, ma con la sempiterna guerra palestinese. E’ un fondatore di Al Fatah, negli Anni 50 in Qatar ha raccolto uomini e denaro e ha sempre fatto da secondo al capo che cominciava, nel 1964, a scatenare attacchi terroristici prima dalla Giordania e poi dal Libano. Abu Mazen è anche un diplomatico e un intellettuale, un uomo di viaggi segreti e altolocati. Ma Israele non gli perdona volentieri la sua tesi all’università di Mosca, si può immaginare quanto benevola e veritiera, su «I rapporti segreti fra nazismo e sionismo». Per altro, Abu Mazen ha poi sconfessato il revisionismo. Anche perché è stato uno degli architetti degli accordi di Oslo, e uno dei primi a dialogare con la sinistra israeliana. Insomma, forse sarebbe l’uomo adatto a dare una sterzata. Ma il problema è che di fronte al pericolo di caos totale e di guerra civile fra i vari gruppi, oggi la preoccupazione più grande della nuova leadership sarà mantenere una solida tregua con Hamas, ammettendola nelle stanze del potere, come Abu Ala ha già promesso, e di fatto non combattendo il terrorismo. Abu Ala, il secondo uomo nel futuro dei palestinesi, durante il processo di Oslo è stato il preferito degli israeliani: allegro, carismatico, barzellettiere e spregiudicato tanto da essere sospettato di vendere cemento allo Stato ebraico per costruire la parte in muratura del recinto di separazione. Subito dopo l’uscita di Abu Mazen ne ha preso il posto, tenendo un profilo molto più basso, non pronunciando mai una parola di antagonismo col Raìss né contro il terrorismo. E’ un vero politico, la sua lobby gli conferisce un potere autonomo di cui si è sempre fatto quietamente forte. Di mestiere è stato un banchiere di successo, e di sicuro, anche se i conti di Arafat sono misteriosi, deve avere qualche idea su come agire per ritrovare i fondi e farli tornare nel budget dell’Autonomia palestinese. E’ stato anche lui nell’Olp fin dal 1960 e non è diventato importante finchè non ha messo a disposizione dell’organizzazione la sua grande abilità economica, che si è mostrata in tutto il suo splendore soprattutto in Libano, dove i suoi investimenti hanno aiutato enormemente lo sviluppo dell’organizzazione. Neppure lui sogna il ritorno dei profughi del 48, né si immagina che Israele debba sparire dalla carta geografica. Ma di nuovo, come per Abu Mazen, è tentato dall’agitare le solite bandiere, fata morgana che attrae il popolo e piace al nuovo trend arabo-islamista. E’ difficile ma bello immaginare che Abu Mazen e Abu Ala saranno i due Abu della pace. Guai però a crederlo senza alcuna prova. Sarebbe davvero la strada per spingerli a proseguire sul sentiero della doppiezza di Arafat. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare il proprio parere alla redazione de La Stampa. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.