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Il Foglio Rassegna Stampa
09.11.2004 Solo la libertà dell'Occidente può salvare l'Islam
una scrittrice musulmana sull'omicidio di Theo Van Gogh

Testata: Il Foglio
Data: 09 novembre 2004
Pagina: 1
Autore: Irshad Manji
Titolo: «Irshad Manji spiega perchè l'unica speranza per l'Islam è l'occidente»
A pagina 2 dell'inserto il FOGLIO di oggi, 09-11-04, pubblica un articolo di Irshad Manji, dissidente musulmana autrice del libro "Quando abbiamo smesso di pensare?", a commento dell'omicidio di Theo Van Gogh.
Ecco l'articolo:

L’omicidio, martedì scorso, di Theo Van
Gogh, un regista olandese che aveva
criticato alcuni costumi musulmani, ci ricorda
un’inquietante verità: che più di 15
anni dopo la condanna a morte dello scrittore
Salman Rushdie decretata dal governo
iraniano criticare i musulmani rimane ancora
un affare molto rischioso.
Essendo una musulmana dissidente parlo
per esperienza diretta. Il mio libro,
"Quando abbiamo smesso di pensare?", mi
ha reso un bersaglio di rabbia, di odio e di
feroce sarcasmo. Questo perché pongo delle
domande di fronte alle quali noi musulmani
non possiamo più nasconderci. Perché,
per esempio, sprechiamo il talento di un’intera
metà della creazione divina, vale a dire
le donne? Perché oggi nell’islam continua a
dominare un’ostinata vena di antisemitismo?
E, soprattutto, com’è possibile che persino
i musulmani moderati interpretino letteralmente
il Corano se, al pari di ogni altro
testo sacro, è pieno di contraddizioni e ambiguità?
Il problema dell’odierno islam è
che il letteralismo sta diventando l’opinione
comune e universalmente accettata.
I musulmani che si indignano di queste
cose spesso finiscono per rafforzarle nelle
risposte che mi danno. Sul mio web-site ricevo
regolarmente minacce di morte. Alcuni
dei miei aspiranti assassini esaltano le
virtù del martirio e desiderano buttarmi
nelle "fiamme dell’Inferno" in cambio di 72
vergini. Altri vogliono semplicemente sapere
quale sarà il prossimo aereo su cui salirò
in modo da poterlo dirottare. Per qualche
ragione, non sento la necessità di comunicare
i miei spostamenti. Alcune minacce sono state di tipo diretto
e personale. In un aeroporto in Nord
America un musulmano si è avviciniato alla
mia compagna di viaggio e ha detto: "Lei
è più fortunata della sua amica". Quando
gli è stato chiesto che cosa intendesse dire,
ha fatto con la mano il segno di una pistola
e ha premuto il grilletto, proclamando:
"Scoprirà presto che cosa significa".
Ma nonostante tutte queste minacce ci
sono anche buone notizie: ricevo dai musulmani
molto più sostegno, affetto e persino
amore di quanto ritenevo possibile. Due
gruppi in particolare, i giovani e le donne,
hanno sommerso il mio sito web con lettere
di sollievo e gratitudine. Sollievo perché
qualcuno dice ad alta voce ciò che loro
hanno sempre soltanto sussurrato. Gratitudine
perché viene offerta loro la possibilità
di pensare in modo indipendente.
Ecco perché non mi faccio sempre scortare
dalla mia guardia del corpo. Potrà essere
necessario averla nella visita che farò
in Francia la prossima settimana. Ma nella
vita di tutti i giorni mi rifiuto di avere una
protezione stretta. Se voglio convincere i
musulmani del fatto che si può in realtà vivere
dissentendo con l’establishment non
posso farmi proteggere le spalle da un grosso
e tarchiato ragazzone. Devo dare l’esempio.
Finora è andato tutto bene.
Senza dubbio, dopo l’uscita del mio libro,
non ho cercato di andare in Egitto, Siria,
Arabia Saudita o Pakistan (una sfida alla
volta, per favore!). Tuttavia, la relativa sicurezza
con cui in occidente ho potuto mettere
in discussione l’islam (dall’Inghilterra al
Belgio, dall’Australia al Canada, dall’Olanda
agli Stati Uniti), conferma la mia convinzione
che i musulmani in occidente hanno
un’opportunità d’oro. Qui i musulmani
incontrano condizioni favorevoli per riportare
in vita la tradizione musulmana di
pensiero indipendente. Perché nell’occidente?
Perché è proprio qui che già godiamo
della preziosa libertà di pensare e di
esprimere le nostre opinioni, di criticare e
di essere criticati, senza il timore di una
rappresaglia di Stato.
Non sto negando il fatto che alcuni musulmani
sono stati maltrattati e discriminati
dai governi europei. Io stessa ho dovuto
subire queste cose nel 1991, durante
la guerra del Golfo, quando sono stata cacciata
fuori da un edificio federale a Ottava
senza alcun apparente motivo. Comunque, ciò non elimina una cosa fondamentale,
vale a dire che se in occidente i musulmani
osano fare domande sul libro sacro e se
si impegnano a denunciare le violazioni
dei diritti umani compiute in nome di quel
libro, non devono temere di venire violentati,
picchiati, lapidati o condannati a morte
dallo Stato. Ma che diavolo stanno facendo
i musulmani d’occidente con le loro
libertà?
So che cosa vorrebbero da noi molti
giovani musulmani: che ragionassimo in
modo critico non soltanto su Washington
ma anche su noi stessi. In effetti, uno dei
principali stimoli alla scrittura del mio libro
è giunto dai giovani musulmani dei
campus universitari americani e canadesi.
Anche prima dell’11 settembre ho parlato
nelle università del valore della diversità,
compresa la diversità di opinioni.
Alla fine di molti discorsi, vari giovani
musulmani si facevano avanti dal fondo
della sala, si riunivano vicino al palco, discutevano
animatamente e poi si avvicinavano
a me. "Irshad", mi dicevano, "abbiamo
bisogno di voci come la sua per aiutarci
ad aprire le porte di questa nostra
religione; perché, se le porte non si aprono,
noi la abbandoniamo".
Questa gente è in prima linea nella battaglia
per l’anima dell’islam. Quale che siano
i rischi a cui mi espongo, non li abbandonerò
e non gli volterò le spalle, così come
non le volterò al dono della libertà concesso
dalla mia società.
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