Gli scenari del dopo Arafat l'analisi di Fiamma Nirenstein
Testata: La Stampa Data: 08 novembre 2004 Pagina: 5 Autore: Fiamma Nirenstein Titolo: «Suha protagonista fino all'ultimo»
A pagina 5 della STAMPA di oggi Fiamma Nirenstein scrive di come (e con quali difficoltà) Suha Arafat giochi "la parte della grande burattinaia", e delle prospettive politiche nel dopo Arafat. Ecco l'articolo:
DAL momento in cui Arafat sarà dichiarato morto, comincerà il conto alla rovescia. Il dramma si sta infuocando, avanzano nuovi attori, mentre Abu Mazen e Abu Aala si avviano verso Parigi dicendo «Bisogna prepararsi al peggio». Nelle stanze di Parigi Suha Arafat gioca la parte della grande burattinaia, ma il suo potere comincia a infrangersi; dal Medio Oriente arriva in Francia il rombo lontano del terremoto del potere, i servizi israeliani avvertono che dopo la morte di Arafat potrebbe esserci una grande ondata di violenza. Suha da giorni aspetta di avere qualche minuto con Arafat in grado di dire, di firmare, di comunicarle qualcosa di importante e riesce a tenere lontani fino a sabato sera Mohammed Dahlan, Muhammad Rashid e Nabil Abu Rudeinah, tre uomini forti, ciascuno a suo modo. Dahlan è là come uomo d’arme di Abu Mazen, colui che dovrebbe mantenere al Fatah la terribile striscia di Gaza, fitta di Hamas e di scontri armati fra fazioni e gang; Rashid è il grande confidente economico di Arafat, ovvero controlla o almeno conosce la dislocazione di somme che, si dice, toccano fra 3 e 7 miliardi di dollari; Abu Rudeinah, di professione portavoce, di fatto è una cassaforte di segreti perché è stato sempre il vero guardiaspalle del raiss nel chiuso della Muqata. L’alleato di Suha è un personaggio di amianto, Faruk Qaddumi, rimasto in esilio contro l’accordo di Oslo, che a Parigi assume il ruolo di guardia della signora Arafat e sbraita contro gli altri dell’Olp perché parlano troppo in tv e li tiene fuori. Lui solo, con Suha, vuole essere padrone della situazione in cui si deve decidere quando staccare i famosi fili mentre l’aria si fa sempre più pesante. Ma Suha non è la moglie di una famigliola unita, immersa nel dolore; è la moglie di Mr.Palestina con cui ha contratto un matrimonio da molto tempo formale e a distanza, ormai invisa anche nell’ospedale francese dove, gelidi, la pregano di dare personalmente alla stampa i suoi bollettini. Alla lunga, registra il vento delle critiche dall’Autonomia, critiche pericolose e cariche di chissà quali veleni. La signora, ormai francesizzata, non può certo rivendicare un passato di combattente accanto al marito. Così Suha tentenna e incontra i tre fino ad allora tenuti fuori anche se non lascia loro vedere il raiss morente. Dahlan dopo questo incontro è ripartito per Gaza, pare, per portare un messaggio: forse per consegnare informazioni segrete sui tempi e i desiderata della persona che secondo la legge francese deve essere quella che stacca la spina. Forse proprio per comunicare ad Abu Mazen e Abu Ala la notizia che li ha spinti a prendere l’aereo per Parigi. E veniamo allo scenario locale: due segni non buoni per la tanto desiderata prospettiva di pace. Il primo solo apparentemente estraneo: un veicolo senza pilota che Nasrallah, il capo degli Hezbollah, si è ieri vantato di fronte a una delle solite adunate islamiste di aver recuperato illeso dopo averlo pilotato a piacere sul Nord d’Israele. Una vera provocazione, soprattutto perché in Israele si valuta che l’aereo senza pilota possa essere di provenienza iraniana col solito tramite siriano. Come dire: «Non pensate che vi aspetti un periodo migliore col cambiamento di leadership, ci stiamo preparando in molti a rendere la vita difficile a una prospettiva pacificata». In secondo luogo, Hamas, specializzato nel chiudere «finestre di opportunità» di pace, ora ci prova di nuovo: da Beirut, un importante capo dell’organizzazione terrorista, Osama Kamdan, manda a dire intanto che gli israeliani non devono aspettarsi di ottenere proprio niente se non ancora guerra per lo sgombero che Sharon prepara. A Gaza invece, dove Abu Ala ha fatto la nota riunione con tredici organizzazioni ed è uscito cercando di spargere ottimismo, Abu Zuhri, portavoce di Hamas ha chiesto «Un periodo di transizione in cui si terranno elezioni in cui il popolo sceglierà i suoi rapprentanti», ovvero non il passaggio di potere che Abu Mazen e Abu Ala stanno cercando di operare nel modo più indolore. Hamas vuole i suoi dividendi diretti, li vuole subito e lo dice esplicitamente. E ogni suo desiderio è una minaccia. Ma ciò che crea più problemi è che Abu Zuhri ha spiegato chiaramente, perchè Abu Ala non si illudesse di tornare a Ramallah con un assenso, che «Non c’è spazio per nessuna decisione unilaterale» (un chiaro riferimento a Fatah, il partito dominante ndr) e che occorre una leadership «palestinese unita». Ovvero, una richiesta partecipare alla gestione del grande potere, a cui Abu Ala si è guardato bene dall’obiettare, anche se Abu Zuhri ha aggiunto quello che probabilmente gli uomini che vogliono imboccare una strada nuova non vorrebero mai senitrsi dire: «Escludiamo un cessate il fuoco con Israele. La resistenza continua e si fermerà solo quando cesserà l’occupazione». Tutto questo significa che la famosa «finestra di opportunità» che si dovrebbe aprire con l’avvento di una leadership moderata e decisa a affrontare il terrorismo, è fra l’incudine di una serie di grosse provocazioni internazionali (basti pensare cosa potrebbe fare un piccolo aereo carico di esplosivo o di armi chimiche su uno spazio minuscolo come quello israeliano) e l’incertezza di Abu Ala e Abu Mazen fra accettare o rifiutare una gestione unitaria con le organizzazioni che firmeranno i prossimi attentati terroristici. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare il proprio parere alla redazione de La Stampa. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.