Jihad in Europa: ucciso regista olandese per aver denunciato l'oppressione della donna nell'islam e una femminista americana si schiera contro la minaccia del fondamentalismo islamico
Testata: Il Foglio Data: 03 novembre 2004 Pagina: 4 Autore: Aart Hering - Phyllis Chesler Titolo: «Ucciso come Fortuyn, stava girando un film sulla morte di Fortuyn - Femminista americana e paria tra le sue sorelle»
IL FOGLIO di oggi, 03-11-04, pubblica un ritratto del regista olandese Theo Van Gogh, assassinato ieri mattina, probabilmente per le sue citiche all'islam. Ecco l'articolo: Amsterdam. Per la seconda volta in due anni e mezzo l’Olanda resta sgomenta per un assassinio politico. Ieri mattina alle 8.45 il regista e giornalista Theo Van Gogh, andando in bici nel Linnaeusstraat, nel centro di Amsterdam, è stato superato da un altro ciclista che gli ha sparato diversi colpi d’arma da fuoco. Mentre Van Gogh cercava di fuggire a piedi, l’assassino lo ha inseguito e finito con un coltello. Il regista è morto sul colpo. Poco dopo, la polizia è riuscita a catturare il presunto autore dell’attentato, che nel frattempo aveva ferito un passante e un agente. Come d’obbligo in Olanda, la sua identità non è stata resa nota. Si tratta di un uomo di 26 anni, con la doppia nazionalità olandese e marocchina. L’assalitore ha lasciato il coltello e una lettera (il cui contenuto non è stato ancora reso noto) sul corpo del regista, il che prova che si tratti di un omicidio premeditato e aumenta le probabilità che Theo Van Gogh, uno dei più noti critici dell’islam in Olanda, sia diventato la prima vittima del jihad nel paese. L’assassinio del regista, quarantasette anni, mostra delle somiglianze e coincidenze più che preoccupanticon quello di Pim Fortuyn, l’astro nascente della nuova destra olandese che il 6 maggio 2002 cadde sotto il piombo di un sicario solitario, un ecologista e animalista fanatico nemico della diversità culturale e conservatrice di Pym. Come Fortuyn, anche van Gogh fu una voce fuori del coro, con delle idee politiche molto esplicite, specie sull’impossibilità di una società multiculturale. E non è un caso che proprio in questi giorni stesse completando le riprese per "0605", il film che narra l’ascesa e l’uccisione dello stesso Fortuyn. Il film, il cui titolo deriva dalla data della morte di Fortuyn, entrerà comunque nelle sale cinematografiche olandesi all’inizio del 2005. Ma prima sarà visibile su Internet, perché i diritti sono già stati acquistati da Tiscali, che lo metterà in rete a dicembre. Theo van Gogh, pronipote del fratello del pittore Vincent, Theo appunto, è sempre stato un provocatore. Già il suo primo film, Lüger di 1981, scandalizzò il pubblico con una scena in cui tre gattini finirono nella lavatrice. Dopo una serie di cortometraggi, negli anni Novanta vinse due volte il Vitello d’Oro per il miglior film olandese. Nel frattempo era diventato anche presentatore televisivo e collaboratore di una lunga serie di giornali e riviste, dove di solito partiva sbattendo la porta. Van Gogh usava uno stile spesso ironico ma anche estremamente aggressivo, con feroci attacchi personali ai vip olandesi. Inclusi i reali, perché in un paesi dove pochi si scomodano a contrastare la monarchia, Theo era un membro attivo dell’Associazione Repubblicana. (Comunque, anche la regina Beatrix ieri ha espresso il suo "orrore e sgomento" per l’assassinio.) E mentre molti attori che hanno lavorato con van Gogh lo descrivono come una persona amabile e piena di humour sul set, lui stesso si era affrettato a dichiarare che faceva il gentile solo per farli lavorare meglio. Più per il tono che per il contenuto, parecchi giornali si rifiutarono di pubblicare i commenti di van Gogh, che finirono poi prontamente sul suo sito privato e molto frequentato, De Gezonde Roker (Il Fumatore Sano: un riferimento alla sua abitudine di fumare Gauloises a catena). Inoltre, con le sue analisi taglienti e la sua mole inconfondiblie – ricci biondi, occhi blu, vestiti sciatti e decisamente sovrappeso – divenne una presenza pressoché costante in vari programmi televisivi. Da diversi anni van Gogh, il quale amava chiamarsi un ‘reazionario vecchio stile e un visionario mal compreso’, si occupava del problema della minoranze etniche, specie quelle musulmane. "Non credo nell’integrazione", usava dire. E nei suoi articoli e interventi esprimeva una feroce critica all’ideale della società multiculturale, che rischierebbe di trasformare l’Olanda in ‘una specie di Belfast’: "C’è qui una cultura che si mette costantemente contro le norme e i valori dell’Occidente e difende l’aggressione e l’arretratezza dell’islam. Questo mi rode parecchio". Com’era nel suo carattere, non esitò a usare parole forti: "Perché io non posso dare dello scopacapre a un musulmano? Non ha forse scritto l’imam Khomeini che quando la donna ha le mestruazioni, l’uomo può prendersi la capra? E le nostre donne, non si sentono forse continuamente insultate per strada da uomini marocchini? E allora, noi dobbiamo accettare tutto questo? Che strana forma di tolleranza è questa!". Ma nello stesso tempo, nel 2002 per la tv olandese van Gogh diresse un telefilm in dodici puntate, intitolato Najib e Julia. E in questa tragedia d’amore puberale tra un pizza-corriere marocchino e una ragazza bene olandese si dimostrava assai più benevolo verso i musulmani d’Olanda. La molla che probabilmente ha fatto scattare l’ira dei fondamentalisti islamici è il film recente, Submission. In questo cortometraggio, che quest’estate è stato trasmesso dalla tv pubblica olandese, van Gogh mette in mostra delle donne musulmane maltrattate dai mariti in vestiti trasparenti che fanno intravedere i loro corpi nudi con sopra scritti misogini presi dal Corano. Il regista ha preparato quest’opera insieme a Ajaan Hirsi Ali, una exprofuga somala che ora è parlamentare olandese per il partito liberale VVD. Da diversi anni, Hirsi Ali è una delle voci più ascoltate della critica antimusulmana in Olanda, avvertendo i suoi nuovi compatrioti contro l’invadenza di una cultura assolutista e misogina di cui lei stessa è rimasta vittima. Sia lei che van Gogh sono stati ripetutamente minacciati da estremisti musulmani e dopo la trasmissione del film hanno goduto per un breve periodo di una scorta della polizia, cosa finora molto rara in Olanda. In Olanda lo sconforto è totale. Van Gogh aveva molti nemici, e ne andava fiero, ma un omicidio sembrava impensabile. Anzi, un secondo omicidio perché il paese aveva ormai superato il trauma di quello di Fortuyn, archiviato come un atto di uno squilibrato solitario. In questo caso però, pare che il delitto (anche se uscito dalla testa di un fanatico isolato) faccia parte di un disegno terroristico mondiale, quello della guerra santa islamica. E come tale è la prova che ormai non ci possiamo più sentire al sicuro neanche in casa nostra, dice la gente. Ad Amsterdam ieri sera si è già svolta una prima commemorazione pubblica. Con fischi e trombe perché, come disse il sindaco Job Cohen, "Theo non avrebbe voluto una cosa tranquilla". Le reazioni sono pressoché unanimi, inclusa quella dei musulmani moderati. Secondo la capogruppo alla Camera della Sinistra Verde (non proprio il partito di van Gogh), Femke Halsema, "con lui l’Olanda perde un provocatore professionale con il senso dell’humour, un ottimo regista e anche un combattente per la libertà d’espressione. Theo poteva esprimere dei giudizi molto duri, anche su di noi, ma non perdeva mai il suo impegno. E’ rimasto vittima dell’ultima vergognosa intolleranza. Purtroppo sembra inevitabile che anche in Olanda personaggi pubblici debbano ricevere una protezione personale’. A pagina 4 un intervento della femminista americana Phyllis Chesler: Un tempo, in compagnia di femministe, progressisti, sinistroidi e attivisti dei diritti umani e civili mi sentivo come a casa mia. Ora mi guardo dietro le spalle. In questi giorni parlo a voce alta e allo stesso tempo tengo la bocca chiusa. Siamo in guerra e non ho tempo da perdere. Quando mi sono messa a scrivere sull’inumanità delle donne nei confronti delle donne, smascherando i modi in cui le donne hanno interiorizzato i valori sessisti, molte femministe mi hanno consigliato di smettere, dicendomi che "il movimento" sarebbe stato danneggiato se le donne o le femministe fossero state viste non esclusivamente come legate da un sentimento fraterno e moralmente angeliche. Non potevo nemmeno immaginare che una pensatrice femminista sarebbe stata disposta a sacrificare la verità in nome di una linea politicamente corretta. Mi sbagliavo. Avevo idealizzato le femministe, credendo che fossero tutte delle idealiste anticonformiste soltanto perché alcune di noi un tempo lo erano state. Nel corso degli anni, ho generalmente mantenuto una posizione di minoranza nel movimento femminista, o perlomeno rispetto alla corrente ultimamente predominante nei media e nel mondo accademico. Per esempio, non ho mai considerato la prostituzione come una "professione del sesso" che deve essere legalizzata. Ritenevo che le madri perdevano la custodia dei figli non perché fossero delle cattive madri ma perché erano delle donne. La maggior parte delle femministe erano a favore di una procedura di affidamento dei figli che non tenesse conto del genere sessuale, cosa che avrebbe favorito i padri anche più di quanto il sistema patriarcale già li favorisce. Ho sempre pensato che il diritto a un’assistenza infantile di qualità fosse altrettanto importante del diritto all’aborto. Non ho mai pensato che il femminismo fose destinato "soltanto alle donne" o che gli uomini fossero il "nostro nemico". Non mi sono opposta alle istituzioni della religione; anzi ho creduto che una versione più profonda del femminismo stesse trasformando tutte le più importanti religioni del mondo. La maggior parte delle femministe erano appassionate atee e, con molte buone ragioni, consideravano la religione come l’oppio dei popoli. Ma oltre al rifiuto delle femministe americane a riconoscere il sessismo delle donne (cosa comprensibile, visto che non è facile ammettere i propri errori), c’era la questione ben più preoccupante del razzismo e dell’antiamericanismo delle femministe americane. Noi lavoravamo ed eravamo pagate per fare politica femminista: ma qual era l’obiettivo delle nostre ire? Il nostro stesso paese: l’America. E quale l’oggetto delle fantasie romantiche delle femministe? I jihadisti islamici, i barbari che premono alle nostre porte. Venivano visti come combattenti per la libertà, non come tiranni totalitaristi che vogliono riportarci indietro nel VII secolo a forza di bombe. Echi incolpavano le femministe per le sofferenze i dolori del mondo? Il piccolo e assediao Stato democratico di Israele! In un lampo il movimento femminista americano era diventato un subordinato di proprietà del partito democratico o, peggio ancora, della sinistra staliniana. Un pensiero indipendente e la tanto sbandierata diversità erano assolutamente proibiti. Si poteva essere "diversi": gay, disabili, di colore o poveri finché si seguiva la linea di partito. Essere lesbica era una cosa "alla moda", se non si compromettevano le possibilità di vittoria di John Kerry. In innumerevoli manifestazioni pacifiste, le lesbiche e i gay portavano magliette con la scritta "Sono una palestinese".Che grande svolta! Invece di combattere il sistema patriarcale, ce la prendevamo contro Israele al fine di soddisfare la visione "politicamente corretta" della realtà che ha preso il controllo dei nostri intellettuali. La vera minaccia per le donne Alcune femministe americane mi hanno detto che l’America "si meritava l’11 settembre" perché colpevole di terribili crimini; che persino i comuni cittadini che si trovavano nelle torri gemelle erano colpevoli perché "beneficiavano della nostra economia che ha portato alla miseria i palestinesi". Le femministe americane mi hanno anche detto che l’antisemitismo è un mito, che gli ebrei sono dei privilegiati e che lo Stato ebraico pratica l’Apartheid. Le femministe dovrebbero sapere che l’Islam è il massimo colpevole di apartheid religioso e sessuale. Le femministe americane hanno accanitamentecriticato i talebani. Eppure, sono state le prime a criticare l’America per avere invaso l’Afghanistan (io, che un tempo ho vissuto e sono stata tenuta prigionera a Kabul, ne sono stata felice). La sola volta in cui hanno ammesso che l’invasione dell’Afghanistan poteva rivelarsi una cosa positiva è stato dopo la liberazione americana dell’Iraq. Da quel momento in poi l’Afghanistan si poteva considerare un "giusto terreno di caccia" nella guerra contro bin Laden e al-Qaida. L’Afghanistan sì, l’Iraq no. Diverse femministe americane mi hanno detto che si trasferiranno in Europa se Bush verrà rieletto. L’Europa? Pensano all’Europa di trenta o cinquanta anni fa. I sostenitori di Kerry vogliono che le Nazioni Unite mettano le redini all’America di Bush. Sì, vogliono proprio questo, anche dopo che tutti hanno visto l’incapacità dell’Onu ad impedire i genocidi in Bosnia, Ruanda e Sudan (per non parlare del programma oil-forfood, o della demonizzazione dell’Onu nei confronti di un Israele). L’altro giorno David Frum mi ha intervistato per una radio canadese. Mi ha chiesto che cosa avrebbe datto la giovane leader femminista che io ero un tempo alla più anziana leader che sono ora. Ho risposto: la giovane femminista direbbe "Per quel che mi importa, il mondo può andare in fiamme; io mi interesso della giustizia per le donne. Le più scottanti questioni di guerra e pace le abbiamo qui in casa sotto forma di stupro, incesto, prostituzione, aborto, diritti di affidamento e tutte le altre forme civili, legali, economiche politiche di di oppressione nei confronti delle donne". La più anziana risponderebbe: "Hai ragione; però, se ci lasciamo ricacciare nel VII secolo, queste rimarranno solo questioni accademiche. Dobbiamo combattere contro il terrorismo fondamentalista islamico, che rappresenta per le donne una minaccia ancora più terribile". Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione de Il Foglio. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.