I bambini scudi umani del terrorismo palestinese e un sondaggio che diventa certezza per la stampa italiana come terribili dati di fatto vengono ignorati, e incerte supposizioni sono trasformate nella verità
Testata: Il Foglio Data: 02 novembre 2004 Pagina: 3 Autore: un giornalista Titolo: «In Palestina»
A pagina 3 del FOGLIO di oggi, 02-11-04, l'articolo «In Palestina "bambini collaterali" sono strumenti di guerra», che di seguito riproduciamo. Roma. E’ normale che un militante ricercato, che può essere ucciso da un momento all’altro dalle forze di sicurezza, scelga di rifugiarsi in un’abitazione civile piena di bambini? Non è normale e infatti non è mai accaduto nelle mille storie di terrorismo conosciute, dai Tupamaros uruguagi sino ai Tamil dello Sri Lanka. Men che meno nelle mille storie della resistenza europea, dalla Spagna all’Ucraina. Invece in Palestina accade. E’ considerato normale che un dirigente di al Fatah braccato si rifugi appositamente in case piene di bambini. Non per difendersi – perché sa benissimo che ormai gli israeliani colpiscono lo stesso – ma per portarsi con sé nella morte anche i piccoli e usarli per efficace propaganda. L’ennesima conferma è l’intervista a Nasser Jamal, capo delle Brigate dei Martiri di al Aqsa di Nablus, uomo di Arafat, apparsa domenica sul Corriere della Sera. La giornalista racconta di averlo incontrato in una casa in cui la televisione è accesa e trasmette un cartone animato di Tom e Jerry e che "c’è una schiera di bambini a fargli da scudo". La frase è inequivocabile: Nasser Jamal si fa scudo di una schiera di bambini. All’orrore della scelta si accompagna lo stupore del lettore cui la notizia è consegnata senza commento, come se anche la giornalista la ritenesse una scelta come tante, acquisita. In questo episodio però, risalta una scelta criminale di Nasser Jamal e anche la spiegazione dell’alto numero di morti di donne e bimbi a seguito delle operazioni anti terrorismo israeliane. L’esercito israeliano è l’unico al mondo nato, cresciuto e immerso in un continuo dibattito etico sulle azioni lecite o no (con quello tedesco è anche il solo in cui i soldati possono rifiutare ordini inumani); ha però deciso, dopo un tormentato dibattito, durante l’Intifada di al Aqsa, di colpire ugualmente terroristi palestinesi, anche se si fanno scudo di bambini. Israele ha scelto in mancanza d’alternative, pena l’impossibilità d’impedire che i terroristi continuino a fare strage di civili innocenti. Scelta terribile, che attira al paese critiche feroci, soprattutto in Europa. Ma chi critica Israele, e i soldati americani a Fallujah, obbligati alla stessa scelta, pena l’inazione, chiude da anni gli occhi su questa nuova "tattica islamica" che usa bambini come strumenti di guerra. La strategia è evidente, pubblica, rivendicata, ma quasi mai denunciata sulla stampa occidentale. Iniziò Ruhollah Khomeini mandando centinaia di migliaia di bambini, i bassiji, a morire sui campi minati iracheni, durante la guerra contro Saddam Hussein. Continuano oggi i terroristi palestinesi e iracheni che agiscono in mezzo ai civili, per coinvolgerli, volutamente, nel tiro di risposta alle loro azioni. Continua la stessa Autorità nazionale palestinese che usa della sua televisione, dei suoi giornali, delle sue scuole per educare i bambini al culto del martirio, per spingerli a diventare "martiri", anche imbottendosi di esplosivo per uccidere civili innocenti. Da qui esce Amer al Fahr, sedici anni, che ieri si è fatto esplodere nel mercato di Tel Aviv, uccidendo tre israeliani. Da qui la disperazione di sua madre, Samira Abdallah: "Chi ha mandato a morte mio figlio deve vergognarsi". Nelle manifestazioni palestinesi è ormai abituale vedere sfilare bambini, anche di pochi anni, incappucciati e ricoperti di candelotti di dinamite di cartapesta, mascherati da "martiri islamici". Da questo disprezzo della vita dei propri piccoli, da questa oscena strumentalizzazione delle loro vite, nasce la logica di Beslan, dei terroristi islamici ceceni che hanno fatto dei bambini osseti le loro vittime. E’ questa un’articolazione della cultura della morte che ispira il loro islam scismatico. Peggio ancora, questo farsi scudo di minori per trascinarli con sé nella morte del jihad diventa addirittura strumento di propaganda. Queste "morti collaterali" non casuali, ma predeterminate dagli stessi palestinesi, che accompagnano l’azione d’israeliani e americani contro i terroristi, vengono poi usate per spiegare al mondo che israeliani e americani sono spietati. Invece sono spietati tutti quei Nasser Jamal che si rifugiano in mezzo "a una schiera di bambini a fargli da scudo". In prima pagina "Dare i numeri": New York. Smontata la storia delle armi irachene che Bush si sarebbe fatto soffiare dai terroristi (il Pentagono ha spiegato che gran parte dell’esplosivo "scomparso" è in mano americana), c’è stata un’altra bordata mediatica contro la Casa Bianca. La rivista inglese The Lancet, anticipando l’uscita del numero di novembre, ha reso noto che in Iraq, a causa della guerra, sono morte 100 mila persone. Negli Stati Uniti la notizia è stata messa tra le brevi, anche dai giornali liberal, visto che il dato è dedotto da un sondaggio (sì, da un sondaggio) condotto su 800 iracheni. In Italia, invece, titoli, paginate. Lo stesso New York Times, impegnato in una campagna durissima contro Bush, ha avanzato dubbi sulla ricerca e parlato di "scetticismo" su un numero che, tradotto, vorrebbe dire 166 morti quotidiani dal giorno dell’invasione. Dati ufficiali non ce ne sono, per cui ciascuno può dire quello che vuole. Ma finanche il sito iper pacifista "Iraq Body Count", che conta i morti del conflitto, ancora ieri sosteneva che le vittime sarebbero tra le 14 e le 16 mila. Una cifra (contestata) che certo è alta ma, secondo il giornale australiano The Age, infinitamente più bassa rispetto ai morti che faceva il rais: "Secondo le stime Saddam ha ucciso tra 500 mila e un milione di suoi concittadini nei 13 anni dalla guerra del Golfo, non includendo gli effetti delle sanzioni. Dalla cifra più bassa viene fuori una media di 105 morti al giorno". Fosse rimasto al potere, Saddam avrebbe potuto uccidere tra 64 mila e 128 mila iracheni negli stessi 610 giorni dall’invasione. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione de Il Foglio. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.