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Panorama Rassegna Stampa
01.11.2004 La "strana colomba" Sharon difende Israele, quando si ritira e quando contrattacca
chi applaude al ritiro, si accorga della necessità del contrattacco

Testata: Panorama
Data: 01 novembre 2004
Pagina: 39
Autore: Giuliano Ferrara
Titolo: «La lezione di Ariel Sharon»
Su PANORAMA del 4-11-04 Giuliano Ferrara, in un articolo pubblicato nella sua rubrica ("L'arcitaliano") spiega a ricorda a coloro che "adesso, e solo adesso hanno capito" la "grandezza politica e morale" di Sharon che, nella politica del primo ministro israeliano, la disponibilità alle "dolorose concessioni" promesse fin dall'inizio del suo mandato e concretizzatesi con il piano di ritiro da Gaza, non può essere disgiunta dalla necessaria determinazione a difendere Israele e a rispondere colpo su colpo all'attacco del terrorismo.
Una determinazione che, di fronte all'assalto islamista ormai rivolto contro l'intero Occidente, costituisce una lezione per tutti.
Ecco l'articolo:

I nuovi amici di Ariel Sharon e del suo coraggio sono i benvenuti tra noi, c’è poco da sottilizzare e distinguere quando si tratta di sradicare Israele e il suo popolo di coloni dalla Striscia di Gaza, rischiando la guerra civile; però la verità esige, per rispetto dei lettori, che si ricordi quante sciocchezze, e gravi, hanno detto e scritto nel recente passato coloro che adesso e solo adesso hanno capito la grandezza politica e anche la forza morale del primo ministro israeliano.
Sharon era quello cattivo, quello grasso, quello impresentabile, quello da processare in tutti i tribunali del mondo, quello che ha cancellato la memoria del grande ascetico Ytzhak Rabin, quello che si oppone alla pace, quello che sfrutta le paure del suo popolo per opprimere un altro popolo, il complice di George W. Bush e di Silvio Berlusconi, l’uomo dei carri armati in Cisgiordania, l’uomo a cui addossare l’inesistente massacro di Jenin, e la sola pronuncia del suo nome, Sharon, valeva più di mille parole, era già di per sé una condanna, l’espressione di un pregiudizio.
Quelli appena meno rabbiosi avevano per lui soltanto parole di diffidenza: non ritirerà mai i coloni, è tutto un bluff, è il capofila delle cordate ebraiche internazionali che stanno all’origine della guerra maledetta in Iraq, è un costruttore di muri, un espropiatore di diritti dei palestinesi, è la testa di turco contro cui battersi nella consapevolezza che questo vuol dire essere persone civili e per bene, che ce lo possiamo dire con compiacimento, con soddisfazione, quanto amiamo la pace e quanto lontani siamo da quell’orco maledetto.
E’ sulla base di queste campagne sciagurate che Shai Cohen, diplomatico israeliano invitato a parlare a Pisa, è stato cacciato da squadristi antisraeliani e antisionisti, e un ebreo invitato a esprimersi in una antica e prestigiosa università italiana per la prima volta dalle leggi razziali di Benito Mussolini, questa volta con la benedizione ideologica del fanatismo combattente che si considera "di sinistra" e "pacifista".
Ora gli stessi che di Sharon hanno fatto un simbolo del male, o come nel caso dell’Economist di Bill Emmot il simbolo di una cattiva politica, scoprono che è "una strana colomba", uno che si impegna a dividere a metà il suo stesso partito per un obiettivo vero di pacificazione e di difesa del suo popolo, scontando immensi rischi e affrontandolo a viso aperto in un’ epica battaglia che onora il meglio di una delle più solide democrazie del mondo, quella israeliana, accerchiata e minacciata di morte dal rifiuto martirologio dei terroristi di Hmas, gli amici della Francia e dell’Europa senz’anima.
Ma non è così, con questa facilità morale, che si cambia idea e si riconosce la realtà, cari amici neosharoniani. Siate i benvenuti, ma siate anche seri. Riflettete, per una volta, mentre alzate nuove e contraddittorie bandiere. Tutto si tiene. Lo sharon che ottiene il drammatico voto di maggioranza della Knesset battendosi come un leone contro i suoi interessi elettorali immediati, e mettendo a rischio la sua vita, è colui che ha ordinato l’autodifesa dello stato e del popolo d’Israele, che ha ordinato di uccidere lo sceicco assassino e i suoi compagni dello stato maggiore di Hamas, è lo stesso che ha appoggiato la guerra contro Saddam Hussein, è lo stesso che ha criticato i risultati del processo di pace di Oslo, fondato sul riconoscimento di Yasser Arafat, premio nobel, come interlocutore credibile dello scambio pace-territori. Su Sharon si possono avere cento e una riserva, la sua è una storia taragica fin da quando era soldato di Tsahal, fin dai tempi foschi e cupi della strage di Sabra e Chatila durante la guerra del Libano, e se c’è un politico di razza al mondo che abbia giocato a sporcarsi le mani in un sentimento ferino e insieme angelico del dovere politico, quello è il primo ministro di Israele che oggi ha vinto la battaglia più grande per cercare di sbloccare una situazione chiusa da tutti i lati
Sharon è uno che negozia qualunque cosa, è un benedetto politico realista che fa scambi di prigionieri, che usa la forza con l’intelligenza di Ulisse, che conosce il dubbio anche quando lo schiaccia come una mosca fastidiosa. E il capolavoro che gli è riuscito, sebbene sia solo agli inizi di una lunga e dolorosa storia, il capolavoro che ora anche il mondo e il demi-monde delle anime belle gli riconoscono, è un capolavoro di unilateralismo, la parola sconcia che gli sciocchi usano per fare della metodologia liberal, per rassicurarsi ideologicamente. Come non c’è dialogo senza identità, non c’è multilateralismo, negoziato efficace, non c’è pace possibile senza il ferreo prposito di difendersi e contrattaccare quando si sia sotto attacco. Vale per bush, vale per Tony Blair, vale per tutti noi. Ce lo insegna Ariel Sharon
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rossella@mondadori.it

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