Arafat sarà curato a Parigi l'analisi di Fiamma Nirenstein
Testata: La Stampa Data: 29 ottobre 2004 Pagina: 10 Autore: Fiamma Nirenstein Titolo: «La Palestina sotto choc. Il Raiss malato a Parigi»
LA STAMPA di oggi pubblica a pagina 10 l'articolo di Fiamma Nirenstein "La Palestina sotto choc. Il Raiss malato a Parigi", che di seguito riproduciamo. Comunque vada a finire è la fine di una epoca: Arafat vola via lontano da Gaza e dal suo popolo, è molto malato e un nuovo gruppo dirigente si affaccia all’orizzonte. Palestinesi e israeliani sono tutti sono choc. Il Medio Oriente senza Arafat sembra una pura impossibilità, fra il formicolare dei media alla ricerca della verità sulla salute del raìs e della leadership del domani, sembra esserci un buco nero. Cosicchè l’universo dei palestinesi è risorto, anche se temporaneamente, quando ieri sera Muhammad Rashid, esperto di finanze arrivato da Londra dopo una giornata di silenzio, è entrato nella stanza chiusa dove solo i compagni della cerchia organizzativa di Arafat montavano la guardia al raìs con i medici. Poco dopo infatti un video di fattura artigianale, ha mostrato un Arafat in pigiama celeste che sorretto vistosamente dal suo segretario personale e da un team di medici, sorrideva vivacemente alla telecamera. Palesemente sofferente, anzi, molto malmesso, ma in vita e in coscienza. Questo era il messaggio che alla fine della seconda giornata di voci incontrollate l’Autonomia Palestinese, l’Olp, Fatah, hanno inteso inviare: non è ancora arrivata la fine di mister Palestina, fermate i bollenti spiriti, le lacrime, e anche i progetti personali. Rashid è stato decisivo nell’affrontare il cuore del problema: come curare Arafat. Le sue condizioni sono assai gravi, probabilmente si tratta di leucemia, come avrebbero confermato in serata fonti dell’anp. Lo dimostra anche dopo anni di assenza l’arrivo, gelido ma significativo, di Suha, la moglie. Così, si è preparata l’ambulanza che dovrebbe portare il raìs a Amman. Un aereo è pronto a trasferirlo poi a Parigi. Quando gli è stato comunicato il trasferimento, Arafat ha rifiutato con decisione. Israele sembra pronto a qualsiasi aiuto perché Arafat venga curato: sembra bizzarra questa attenzione per un nemico acerrimo, padre del terrorismo antisraeliano, per cui si è parlato di espulsione e eliminazione tante volte. Ma Israele, garantendo che potrà tornare dopo le cure, vuole evitare che l’eventuale disperazione che si propagherebbe se il Capo storico dovesse sparire, si trasformi in manifestazioni violente e attacchi terroristi, a catena. Israele cerca di limitare i danni temendo di essere accusato; sia Sharon che Mofaz non dicono una parola di troppo. Gioca anche la volontà di salvare una vita umana in ogni caso, anche nel caso di Arafat. Infine, il mondo tiene tutti gli occhi puntati sulla Muqata, guai a fare un passo sbagliato. I palestinesi intanto sono scossi dall’ansia del futuro e le grandi manovre non mancano. Al centro Abu Mazen, l’ex primo ministro che è insieme un fedelissimo del Fatah militante e l’uomo che ha ripetuto che il terrorismo andava fermato. Per questo, Arafat lo ha sostituito con Abu Ala: adesso i due sembrano schierati fianco a fianco, convinti che se resisteranno nel ruolo di rappresentanti della vecchia guardia proveniente dall’esilio a Tunisi sostenuti dai cinquantenni cresciuti nella prima Intifada (come Mohamed Dahlan e Jibril Rajoub) ce la possono fare. Insomma, per ora un vero erede non c’è. Perchè, come dice lo studioso Barry Rubin, se Mubarak o Bashar Assad occupano la cima della loro piramide di potere, Arafat è la piramide stessa. Egli è il combattente del Fatah, il capo dell’Autonomia Palestinese, il capo della polizia, dell’esercito, suoi la strategia, la teoria, i rapporti internazionali, è l’uomo che auspica un milione di «shahid» per conquistare Gerusalemme, ma che poi siede all’Onu e tratta con tutti i leader europei. Arafat per i palestinesi è molto più di un simbolo, Arafat è il verbo. Chi conosce il mondo palestinese sa che l’odio che si alimenta contro la corruzione del suo gruppo, la miseria e la guerra continua in cui ha mantenuto il suo popolo, possono rapidamente diventare, anche presso gli uomini di Hamas, espressioni di infinito rispetto, ammirazione, dedizione. Con Arafat non si scherza. Il progetto di Sharon dello sgombero unilaterale da Gaza potrebbe subire un colpo: l’unilateralità era frutto della scelta di Arafat di lanciare l’Intifada dei martiri invece di accettare le proposte di Ehud Barak. Certo, se ci sarà il caos, e non un’ordinata nuova leadership, di nuovo mancherà l’interlocutore e Sharon attuerà il suo piano. Ma se l’asse Abu Masen-Abu Ala, che sono più giovani, funziona, c’è da prevedere uno stallo del ritiro da Gaza e un ritorno alla Road Map. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare il proprio parere alla redazione de La Stampa. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.