Premiare il terrorrismo per sconfiggerlo? una politica illusoria e immorale
Testata: La Repubblica Data: 19 ottobre 2004 Pagina: 15 Autore: Antonio Cassese Titolo: «Il terrorismo e la politica miope»
Nell'editoriale "Il terrorrismo e la politica miope", pubblicato da LA REPUBBLICA di oggi, 19-10-04, Antonio Cassese sostiene la necessità di combattere il terrorrismo, oltre che con la repressione, anche "attraverso azioni politiche a lungo termine". Il terrorismo infatti, come "tutti" saprebbero "è", secondo Cassese, "anche la risposta perversa e fanatica a problemi di fondo della comunità internazionale: ad esempio la drammatica arretratezza dello sviluppo economico e sociale di molti paesi del terzo mondo, la questione palestinese, la mancata risposta politica ad aspirazioni all'indipendenza (come in Cecenia)". In realtà, come tutti potrebbero sapere, ma in troppi si ostinano ad ignorare: 1)il terrorismo islamista non ha nulla a che vedere con la povertà; non solo, infatti, Osama Bin Laden è un miliardario, anche i terrorristi suicidi provengono quasi sempre, come provano tutti gli studi scentifici e le inchieste giornalistiche serie sull'argomento, dagli strati benestanti delle società di provenienza 2)il terrorismo non mira affatto alla soluzione del "problema palestinese" o di altre controversie nazionali; infatti il terrorismo suicida ha iniziato a colpire in Israele all'indomani dell'accordo di Oslo, allo scopo di farlo fallire, ed è ripreso con forza dopo l'offerta di Barak ad Arafat, che poteva risolvere definitivamente la questione; allo stesso modo l'invasione wahhabita del Daghestan, guidata dal terrorista Bassayev, ha determinato la perdita dell'indipendenza della Cecenia, che era stata concessa alla fine della precedente guerra 3) il terrorismo mira però, effettivamente, a ottenere crescenti concessioni politiche che, quando sono state fatte, hanno però sempre incoraggiato i terroristi a proseguire nella loro tattica, e i militanti di cause che ad essa non avevano ancora fatto ricorso ad adottarla. Il ragionamento di Cassese andrebbe quindi ribaltato: il terrorismo deve essere sconfitto per poter dare una giusta soluzione ai problemi politici che esso "sequestra". Pensare di sconfiggere il terrorrismo imponendo a Israele, o a qualsiasi altro stato, concessioni politiche dannose per la sicurezza è una catastrofica illusione. (Piuttosto, viene da osservare, un buon modo di combattere il terrorrismo sarebbe quello di dare soddisfazione alle cause che non ne fanno uso. Cause altrettanto e spesso assai più fondate di quelle sostenute dai terroristi e che vengono però sistematicamente ignorate, avvalorando il messaggio che soltanto la violenza e le atrocità pagano). Degna di nota è questa frase dell'articolo, completamente infondata: "I leader politici sembrano però tutti presi dall´azione a brevissimo termine, si sforzano di reprimere, catturare e processare, e talvolta, come in Israele, vanno per le spicce e uccidono tutti quelli che sospettano di terrorismo." Israele non uccide tutti quelli che "sospetta" di terrorismo, ma capi riconosciuti delle organizzazioni e terroristi armati in combattimenti o durante tentativi di attentati.
(a cura della redazione di Informazione Corretta)
Ecco l'articolo: Siamo tutti d´accordo che dall´11 settembre il terrorismo ha cambiato il volto della comunità internazionale. E che costituisce un crimine intollerabile, oltre che per la sua spietatezza, per quel che i penalisti chiamano "la depersonalizzazione della vittima", il fatto cioè che il terrorista non uccide le sue vittime perché ha qualcosa di specifico contro di esse. Il fine del terrorista è spargere terrore per coartare la volontà dei governi; egli perciò uccide, distrugge o prende in ostaggio chiunque, uomini, donne, bambini, vecchi, civili o militari. La loro identità non gli interessa. Uccide perché deve inviare un segnale. Tutti siamo perciò vittime potenziali di atti terroristici. È l´insicurezza totale. Ma cosa hanno fatto gli Stati per opporsi a questo orribile dilagare di violenza? Non se ne sono stati certo con le mani in mano. Basti pensare che il primo tentativo di adottare una convenzione internazionale contro il terrorismo risale al 1937. Finora i governi hanno utilizzato due tipi di misure: alcune a breve, altre a medio termine. Le prime sono di natura essenzialmente repressiva: ricerca dei colpevoli attraverso le forze di polizia e di intelligence, punizione attraverso i tribunali, distruzione delle basi terroristiche all´estero con missili ed aerei, e via dicendo. Le seconde sono di più ampio respiro e mirano a coordinare a livello internazionale la repressione ad opera di ciascuno Stato: accordi internazionali che organizzano lo scambio di intelligence, che istituzionalizzano la cooperazione tra Stati, che istituiscono meccanismi per bloccare il finanziamento delle organizzazioni terroristiche, che prevedono sanzioni economiche contro gli Stati che tollerano o aiutano i terroristi. Ma questi sforzi non hanno portato a molto: le organizzazioni terroristiche continuano a spargere terrore e morte, e sembrano imprendibili. Certo, qualche risultato l´Onu lo ha ottenuto. Ad esempio, per anni i diplomatici si sono accapigliati a New York sulla definizione di terrorismo, sostanzialmente perché i paesi arabi sostenevano che quella definizione non poteva includere i "combattenti per la libertà" e cioè i guerriglieri delle guerre di liberazione nazionale e i palestinesi, i cui atti a loro dire non potevano essere definiti terroristici. Ancora una Convenzione della Lega Araba del 1998 riprendeva questa eccezione. Ebbene, negli ultimi anni anche i paesi arabi hanno finito per accettare l´idea che le stragi dei palestinesi sono atti terroristici. L´assurda eccezione definitoria è caduta. Un altro risultato positivo: le sanzioni economiche internazionali sono state talvolta efficaci, come nel caso della Libia (contro cui vennero adottate nel 1992, dopo Lockerbie). Ma tutto ciò non basta. Vi sarebbe una terza strada per lottare più efficacemente contro le organizzazioni terroristiche: attraverso azioni politiche a lungo termine. Come tutti sanno, il terrorismo è la anche la risposta perversa e fanatica a problemi di fondo della comunità internazionale: ad esempio, la drammatica arretratezza dello sviluppo economico e sociale di molti paesi del terzo mondo, la questione palestinese, la mancata risposta politica ad aspirazioni all´indipendenza (come in Cecenia). Ebbene, l´unico modo di porre mano ad una soluzione radicale consiste nell´affrontare con coraggio quei problemi di fondo, pur sapendo che il fanatismo religioso e l´odio non scompariranno da un giorno all´altro. I leader politici sembrano però tutti presi dall´azione a brevissimo termine, si sforzano di reprimere, catturare e processare, e talvolta, come in Israele, vanno per le spicce e uccidono tutti quelli che sospettano di terrorismo. Ma non dimentichino quel ci hanno insegnato i politologi: che la pace in senso negativo (l´assenza di conflitti) è irraggiungibile, se non si lotta per la pace in senso positivo, e cioè la realizzazione, per quanto incompleta, della giustizia sociale. Paradossalmente i terroristi, come tutti gli estremisti, ottengono l´effetto contrario di quel che volevano. La molla principale (ma certo non esclusiva) della loro azione è costringere i Paesi industrializzati a destinare risorse alla lotta contro la povertà, la fame, l´arretratezza, l´occupazione di territori stranieri. Quei Paesi invece stanno destinando sempre più le loro risorse finanziarie e umane alla repressione del terrorismo, distogliendole dalla lotta al sottosviluppo e dalla soluzione dei grandi nodi politici della comunità internazionale. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla direzione de La Repubblica. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.