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La Stampa Rassegna Stampa
13.10.2004 Come Sharon cerca di salvare il piano di ritiro da Gaza
l'analisi di Fiamma Nirenstein

Testata: La Stampa
Data: 13 ottobre 2004
Pagina: 10
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «Il premier in cerca di nuovi alleati»
A pagina 10 della STAMPA di oggi, 13-10-04, Fiamma Nirenstein descrive la strategia politica del premier israeliano Sharon per uscire dall'impasse politica determinata dall'opposizione al piano di disimpegno da Gaza.
Dopo l’umiliazione di lunedì al parlamento, Ariel Sharon da ieri è di nuovo all’attacco: con le prime mosse, dice no alle elezioni anticipate, no al referendum, insiste senza compromessi nella audace scelta strategica di sgombero degli insediamenti da Gaza e parte dell’West Bank. Il messaggio che già lancia cercando di risollevarsi dalla polvere dei 53 voti contro e dei 49 a favore è contro tutti coloro che pensano che Sharon debba tornarsene a casa con i suoi sogni di disimpegno: con questo governo o con un altro, manda a dire il Primo Ministro, la sede decisionale è la Camera, non la piazza col referendum che i settler vogliono, non le urne con le elezioni che il Likud dei ribelli desidera, ma l’aula in cui porterò il programma a un primo voto il 25 di ottobre.
Mai nessuno prima di lui, nella pur breve storia di Israele, aveva ricevuto uno schiaffo così sonoro in una circostanza dal sapore quasi cerimoniale come il discorso sullo stato della Nazione per l’apertura dei lavori invernali della Knesset: ha subito l’attacco aperto dei ribelli, almeno un quarto dei rappresentanti del Likud, la rivolta dei ministri fra cui il ministro degli esteri Silvan Shalom e Bibi Netanyahu, ministro delle Finanze, che non si sono nemmeno dati pena di votare o di astenersi; l’opposizione tutta quanta, compreso Peres, gli arabi, i religiosi di Shas, col pollice verso. Ieri però, Sharon, che lunedì se n’era andato chiuso in un silenzio cupo e inconsueto, infilandosi in macchina circondato dalle guardie del corpo senza degnare di una parola i giornalisti assiepati nel buio, ha reagito da vero duro. Ha invitato a una riunione privata solo i membri del Likud e i ministri che si sono dimostrati amici, e ha contattato il partito religioso sefardita Shas, mentre si avviano stretti contatti con il partito laburista.
Tutto parla della ricerca di una nuova colazione, in cui forse Peres potrebbe essere il ministro degli Esteri al posto di Shalom, e Shas potrebbe ottenere finanzamenti per i suoi progetti di educazione religiosa e di aiuti alle tipiche famiglie ortodosse con tanti figli, ciò che a Netayahu non è mai piaciuto. Sharon cerca nel labirinto creatosi intorno al suo programma di sgombero una strada che non si impelaghi nelle elezioni o in quel referendum cui i settler anelano contando su una forza persuasiva che probabilmente non hanno. Ma i settler sono duri come Sharon, e anche loro vogliono provarci a tutti i costi. Il ministro Ehud Olmert, fra i più fedeli alleati del premier mentre entra nella riunione del Likud spiega: «Se le elezioni portassero a risultati diversi, se potessimo aspettarcene un cambiamento, capirei la foga nello spendere tempo prezioso, consenso internazionale e miliardi. Ma servirebbero solo a riproporre una vittoria di Sharon e una situazione identica a questa. Quindi è bene che i ribelli si diano una regolata, che smettano di cercare di distruggere il piano di sgombero e con esso anche il nostro stesso partito. In una situazione di guerra come quella che abbiamo vissuto in questi anni, tornino alla speranza. Un’unica persona ha in mente un piano che possa migliorare la situazione, Ariel Sharon».
Quello che è successo alla Knesset due sere or sono è la messa in scena di due avvertimenti incrociati, uno da destra e l’altro da sinistra, che si sono avventati sul primo ministro. Da destra agisce uno schieramento allargato paladino degli insediamenti: a causa del terrorismo, ha buon giuoco nello spiegare che sgombero vuol dire premiare il terrore e invitarne di nuovo. Questo schieramento, nel Likud guidato da Uzi Landau, un quieto ex ingegnere ora capo dei ribelli, sostiene che Sharon non ha diritto, secondo le regole della democrazia poichè ha perso il suo referendum dentro il Likud stesso, di impossessarsi del «suo» partito per sgomberare i settler dalle loro case. I settler a loro volta, trattano Sharon da traditore e da dittatore.
Shas, fin’ora all’opposizione è vincolato da una presa di posizione del rabbino Ovadia Jossef sulla santità della terra. Ma adesso le trattative potrebbero portare a convincere rav Jossef che la santità della vita fa premio su quella della terra: il ministro della difesa Shaul Mofaz per convincere di questo l’onorevole vecchio, ieri gli ha srotolato sul tavolo mappe militari di ogni genere, come fosse un generale. Il segnale della destra dunque è chiaro: rinuncia al tuo piano, o il tuo governo è morto.
Da sinistra, il messaggio di Shimon Peres dice col voto contro: vedi di sgomberare velocemente e con ampiezza di vedute, altrimenti non avrai da noi nessun aiuto. Col primo voto della Knesset si vedrà se Sharon riesce a tenere il timone dentro la massima istanza rappresentativa dello Stato, oppure se vinceranno le trame, l’antagonismo, l’odio e anche l’invidia accumulatasi nei confronti del vecchio generale, ormai avanti negli anni, ma determinato. Vuole essere un De Gaulle che, proprio perchè sa fare la guerra, è capace di portare anche la pace.
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