Come manipolare l'opinione pubblica anche senza dire falsità un articolo di Alberto Stabile
Testata: La Repubblica Data: 12 ottobre 2004 Pagina: 13 Autore: Alberto Stabile Titolo: «Cacciate il nostro comandante, ha massacrato una bambina»
Un titolo choc, "Cacciate il nostro comandante, ha massacrato una bambina" per un articolo documentato, firmato da Alberto Stabile su LA REPUBBLICA di oggi, 12-10-04 .Crediamo di dover fare alcune osservazioni in merito, perché ci pare si tratti di un esempio da manuale di come si possa manipolare l' opinione pubblica anche senza fornire informazioni inesatte o distorte che la ingannino. Premesso che quanto scrive Alberto Stabile è sostanzialmente corretto, e fornisce al lettore gli elementi indispensabili per formarsi un' opinione dei fatti, tuttavia l' insieme del modo in cui Repubblica "porge" queste informazioni è deviante, ed a nostro avviso corrisponde ad una deliberata manipolazione.
1) Capita in ogni situazione di conflitto che individui o gruppi, sottoposti ad una forte e continua tensione, possano talvolta commettere atti inconcepibili per loro stessi in una diversa situazione 2) Da quanto risulta ad oggi, pare che un ufficiale israeliano, in tali condizioni, abbia commesso un crimine al quale ogni coscienza si ribella 3) Tale crimine è stato denunciato dai suoi stessi sottoposti, altri militari israeliani esposti ad identica tensione ed ai medesimi pericoli del loro ufficiale, ma evidentemente dotati di una migliore tempra morale 4) La denuncia è stata raccolta e resa pubblica non da una radio dell' opposizione, ma dalla stessa radio dell' esercito.
Tutto ciò non giustifica in alcun modo quanto è successo - l' uccisione di una bambina, a quanto pare con una efferatezza degna di un criminale - ma rende evidente che:
1) Anche in condizioni estreme, gli standard etici delle forze armate israeliane sono elevati e tali da imporre la salvaguardia delle vite di civili innocenti anche a rischio della propria; se in questa evenienza tali regole sono state infrante da un ufficiale, gli altri militari lo hanno denunciato 2) Non ci risulta che episodi analoghi, in cui un criminoso eccesso commesso da un ufficiale in condizioni di grave pericolo, siano stati mai denunciati e sottoposti al giudizio della magistratura, neppure in nazioni evolute e civili 3) E' immediato ed automatico il raffronto fra questa uccisione di una bambina, che indubbiamente sarà punita con tutto il rigore della legge, e le stragi di innumerevoli bambini commesse deliberatamente e con preordinato calcolo dai terroristi arabi, esaltate come atti di eroismo e di martirio dai loro referenti politici e dalla popolazione, anzi premiati con ingenti donazioni in denaro alle famiglie.
Ebbene, Repubblica ha dedicato all' episodio una pagina intera, sei colonne con un titolo centrale a 4 colonne e due fotografie, che non fanno cenno alcuno alle considerazioni sopra esposte, ma tendono solamente ad esaltare l' indignato orrore dei lettori. Inoltre, in una posizione più elevata della pagina, quasi a farne un cappello politico che indica un "colpevole", campeggia la foto di Sharon che in realtà dovrebbe invece illustrare un articolo che informa sul voto negativo del parlamento per il suo progetto di ritiro unilaterale dalla striscia di Gaza. A Stabile si può imputare di avere, come al solito, minimizzato il terrorismo palestinese ("intifada armata" la definisce Stabile), e di non avere in alcun modo fatto cenno agli aspetti che possono segnare la differenza fra questo omicidio di una bambina in una zona di guerra, e gli omicidi a sangue freddo progettati e commessi contro altri bambini, le loro mamme e nonne, in gran numero e con plateale gioia.
Ecco l'articolo: GERUSALEMME - «Quell´ufficiale deve essere rimosso. E´ una vergogna che sia ancora al suo posto. O va via lui, o ce ne andiamo noi». Il soldato parla alla Radio militare con voce contraffatta. Per prudenza, usa il telefonino personale. La sua è una delle tante chiamate partite dalla postazione "Ghirit", sulla famigerata Philadelphy Road, al confine sud di Gaza, dopo l´uccisione di Iman al Hams, una bambina palestinese di 13 anni, colpevole di essersi ritrovata nel mirino dei soldati mentre stava andando a scuola per una strada vietata. Una morte, quella di Iman, che sta facendo vibrare le coscienze, al punto da indurre i soldati a denunciare il comportamento del loro comandante, cosa assai rara nell´esercito israeliano. All´inizio sembrava solo un incidente, uno dei tanti incidenti in cui cadono vittime i civili palestinesi stritolati dalla tenaglia azione-reazione, l´intifada armata, da un lato e la perdurante occupazione israeliana dall´altra. Siamo a Rafah, la città a sud della striscia di Gaza, quasi al confine con l´Egitto, teatro di una guerra quotidiana che va avanti ormai da un anno, con l´esercito impegnato a stroncare il contrabbando d´armi che, attraverso i tunnel scavati sotto al confine, vanno a irrobustire l´arsenale della rivolta. Sono circa le otto e mezza del mattino di martedì 5 ottobre, quando Iman, una ragazzina che sembra più piccola dei suoi 13 anni, assieme ad altre compagne, tutte con la divisa verde delle scolare palestinesi e lo zaino dei libri sulle spalle, sta andando a scuola. Il gruppetto è in ritardo e per far prima prendono la Philadelphy Road, che è come decidere di attraversare il fronte di questa guerra senza fine. Ma, dicono fonti palestinesi, quella è una strada che gli scolari di Rafah fanno spesso, confidando nella loro buona sorte. Solo che quella mattina la tensione è a mille. C´è stata una sparatoria. I soldati hanno appena ucciso un cecchino palestinese. I militari hanno i nervi a fuor di pelle, quando Iman s´avvicina alla zona proibita. A questo punto dovrebbe scattare una procedura esattamente codificata. I militari dovrebbero intimare l´alt all´intruso, procedere alla sua identificazione e, se non si ferma, sparare colpi di avvertimento in aria. Soltanto dopo, sono autorizzati a sparare per fermare lo sconosciuto. In effetti, partono alcuni colpi d´avvertimento. Iman e le sue compagne fuggono terrorizzate. Nella sua corsa, la bambina si libera dello zainetto che l´impaccia. E allora, secondo la versione fornita dall´Esercito, temendo che la sacca contenesse dell´esplosivo, i soldati mirano per colpirla. Conviene a questo punto che a parlare siano gli stessi militari: «Iman giaceva immobile a terra. Il comandante della compagnia si è allora avvicinato al corpo e vi ha conficcato due colpi (in gergo miltare, Vidu hariga: ossia accertamento della morte). E´ tornato verso la nostra posizione, quindi s´è fermato, ha fatto dietrofront, ha messo il fucile in posizione automatica è ha svuotato l´intero caricatore. L´ha sforacchiata». Nelle loro postazioni i soldati seguivano sgomenti: «Eravamo allibiti, scioccati, Ci tenevamo la testa nelle mani. Provavamo una grande dolore per lei. Era solo una bambina. Come si fa a crivellarla a bruciapelo?». Poi, un retroscena che solo loro potevano conoscere: «Il fatto è che lui moriva dalla voglia di uccide qualche terrorista, ha sparato alla bambina solo per liberarsi di quella pressione». La storia è finita prima alla Radio di Stato, in un servizio della popolarissima reporter di guerra Carmela Meashè, il cui numero di telefono si dice che i militari israeliani conoscano a memoria. E dalla radio nell´ordine del giorno di una riunione di governo durante la quale, a difendere l´ufficiale in questione è sceso in campo il Capo di Stato maggiore in persona, Moshè Yaalon. Dopo che l´ipotesi che lo zainetto contenesse una bomba s´è rivelata infondata, il capo delle forze armate ha tentato di trovare una giustificazione all´assurda morte di Iman suggerendo la bambina poteva essere stata assoldata dai ribelli come esca, per costringere i soldati della postazione «Ghirit» a scoprirsi e cadere in preda ai cecchini palestinesi. Ma questa nuova ipotesi è smentita dai fatti. L´unico a scoprirsi è stato l´ufficiale che ha voluto dare il colpo di grazia a Iman, accanendosi poi su quel corpicino, e nessuno gli ha sparato contro. «Noi gli gridavamo attraverso la radio: Non sparare, non sparare, è solo una bambina. Ma lui non sentiva», racconta un altro soldato alla Radio militare. Mentre un ufficiale, che vuole restare anonimo, aggiunge che è incomprensibile come l´ufficiale in questione sia rimasto al suo posto. «Un esercito morale come le Forze armate israeliane, avrebbe dovuto sospenderlo immediatamente. Lui, l´ufficiale chiamato in causa, per nulla impressionato dalle critiche, si difende affermando che la maggior parte dei colpi che hanno centrato Iman sono stati sparati nella prima fase dell´incidente dai soldati nelle postazioni. Ed è questa ricostruzione che fa ribollire di sdegno i soldati: «Quello lì ci ha infangato, ci ha trascinato al livello di belve umane. L´esame dei proiettili dirà la verità». La Procura militare ha aperto un´inchiesta. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla direzione de La Repubblica. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.