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Il Giornale Rassegna Stampa
08.10.2004 Israele ha diritto all'autodifesa
l'ambasciatore d'Israele sull'operazione militare per fermare il lancio di razzi Qassam

Testata: Il Giornale
Data: 08 ottobre 2004
Pagina: 1
Autore: Ehud Gol
Titolo: «Il terrorismo e i diritti di Israele»
Il Giornale di oggi, 08-10-04, pubblica in prima pagina l'articolo dell'Ambascatore di Israele in Italia, Ehud Gol, "Il terrorismo e i diritti d'Israele", che di seguito riproduciamo.
La vigilia della festa ebraica delle Capanne due bambini piccoli giocavano all’ombra di un albero d’ulivo, nel cortile della loro modesta casa a Sderot, una cittadina nel sud d’Israele. Due razzi Qassam, lanciati dalla Striscia di Gaza, hanno colpito il cortile e per Yuval Abebeh, quattro anni e Dorit Aniso, due anni, non c’è stato più nulla da fare. I loro corpi maciullati e sfigurati sono rimasti riversi e muti, mentre il loro sangue scorreva nel piccolo cortile di casa.
Dalla fine del 2001 l’organizzazione terroristica Hamas ha adottato una nuova strategia di lancio di razzi Qassam, e da allora sono stati sparati non meno di 460 razzi; in minima parte su insediamenti della striscia di Gaza, mentre la stragrande maggioranza di essi è stata lanciata contro centri urbani in pieno territorio israeliano, all’interno della linea verde che segna il confine precedente al ’67. sono missili scagliati senza alcuna distinzione, contro la popolazione civile, contro gente semplice e disarmata, in maggior parte nuovi immigrati, proprio come le famiglie dei due piccoli uccisi a Sderòt, i cui genitori sono immigrati in Israele dall’Etiopia.
L’obiettivo di questa nuova strategia è quello di demoralizzare la popolazione e di gettare il terrore tra anziani, donne e bambini. Dubito che molti paesi del mondo, e in particolare dall’Europa, sarebbero disposti ad accettare una situazione del genere, senza reagire a un attacco missilistico contro la propria popolazione indifesa. Israele non ha dubbi, non solo sul suo diritto all’autodifesa, ma anche e soprattutto sul suo dover morale di difendere i propri cittadini. L’esercito israeliano, che dal giorno in cui fu costituito è definito Esercito di Difesa, ha avuto disposizione di agire contro coloro che seminano la morte e di raggiungere la zona dalla quale vengono lanciati i razzi Qassam. La politica di Hamas è sempre stata cinica e crudele: non solo per il lancio premeditato di missili sulla popolazione civile, ma anche per il fatto che ciò avviene da zone palestinesi densamente popolate, e con l’impiego di donne e bambini come scudi umani. Una doppia efferatezza davvero spietata.
Da mercoledì sera, 29 settembre, Israele ha iniziato un’intensa attività contro i focolai del terrorismo a Gaza, colpendo coloro che effettuano i lanci missilistici. Un’operazione nient’affatto semplice che implica un altissimo rischio per la vita dei nostri soldati. Negli ultimi giorni siamo riusciti a liquidare un numero cospicuo di terroristi di Hamas, e la reazione di alcune capitali europee non si è fatta attendere, con critiche sulla portata "sproporzionata" dell’azione di difesa israeliana. Mi chiedo quale possa essere la reazione giusta e proporzionata all’assassinio di due neonati. Forse i contabili europei computano un e considerano un bambino israeliano alla pari di un terrorista palestinese, oppure tengono conto dell’estensione del mondo arabo e forse del mondo musulmano? Che cosa è proporzionato? Quali sono i parametri, ammesso che si possa realmente ragionare in termini così cinici e meschini.
Chi dovrebbe stabilire le proporzioni? L’Onu, le cui vetture, in passato, sono state utilizzate da palestinesi al servizio del terrorismo? Oppure la Corte internazionale dell’Aja? Si potrebbe domandare agli stessi europei o agli Stati membri dell’Onu quali erano le proporzioni, quando lasciarono morire milioni di persone in Ruanda, per poi chiedere fiaccamente scusa dieci anni dopo. E, ancora, quali sono le proporzioni degli stessi europei e della comunità internazionale, che tutt’oggi permettono che si attui la carneficina di un popolo a Darfur, mentre loro sono impegnati in discussioni di natura semantica nei salotti dell’Onu e di altre capitali mondiali. Ma noi facciamo volentieri a meno delle richieste di scusa che arriveranno tra dieci anni, dopo l’uccisione della nostra gente. Per questo, oggi, adesso, faremo tutto il possibile, per difendere la vita dei nostri cittadini.
Sono pochi i Paesi europei che comprendono la necessità di combattere duramente contro il terrorismo. La loro voce non ha ancora peso sufficiente a farsi valere nei confronti di tutti quei Paesi che ignorano il terrorismo e non si schierano, a voce alta e chiara, contro coloro che lanciano i razzi Qassam, o non chiedono all’Autorità palestinese di far agire le migliaia di suoi poliziotti armati, affinché questo fenomeno cessi. Israele continuerà a lottare duramente contro il terrorismo, ma, al contempo, proseguirà nei preparativi per evacuare i residenti e le forze di sicurezza dalla striscia di Gaza entro la fine del 2005, nel contesto del piano di disimpegno e nella speranza di alleviare le difficili condizioni di vita sia degli israeliani sia dei palestinesi. Una lotta decisa a tutto campo contro il terrorismo sarà un chiaro e significativo messaggio, non solo al terrorismo palestinese, ma anche a quello internazionale, ovunque esso operi. Soltanto in questo modo il mondo democratico occidentale potrà sconfiggere il fenomeno.
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