Quando la sinistra pensa e ragiona e non preferisce i tiranni alle democrazie
Testata: Il Foglio Data: 06 ottobre 2004 Pagina: 1 Autore: Christian Rocca Titolo: «Ignatieff e Berman, gli anti-Bush che difendono la caduta di Saddam»
A pagina 1 dell'inserto, Il Foglio di oggi, 06-10-04 pubblica l'articolo di Christian Rocca "Ignatieff e Berman, gli anti-Bush che difendono la caduta di Saddam", che di seguito pubblichiamo. Ecco la sinistra che ragiona e pensa. New York. C’è una sinistra che continua a sostenere che sia stata una cosa giusta invadere l’Iraq e quindi abbattere il regime tirannico di Saddam. E’ una sinistra che detesta, ma razionalmente, quasi tutte le scelte compiute dall’Amministrazione Bush, che ne denuncia gli errori, l’arroganza e le disattenzioni ma che, nonostante tutto, preferisce battersi per il futuro dell’Iraq piuttosto che perdere tempo ad ascoltare il chiacchiericcio di chi vede il neo fascismo a Washington ma non si accorge che là fuori c’è un nemico che ama la morte come noi amiamola vita. C’è una sinistra americana, insomma, che sa quanto l’Iraq sia centrale nella guerra al fondamentalismo arabo e islamico e che comprende come il fallimento dell’operazione in medio oriente non sarebbe soltanto una tragedia per il popolo iracheno ma anche per l’America e l’occidente. Lunedì sera, ospiti del Consolato canadese a New York, ne hanno discusso lo storico Michael Ignatieff e il saggista Paul Berman. Ignatieff è il direttore del Carr Center for Human Rights a Harvard e ha pubblicato un libro che si intitola "The lesser evil". Il male minore è quello che è costretto oggi a sopportare il mondo occidentale. Non è vero che tutto quello che si fa in nome della libertà è necessariamente bello e buono, ha detto Ignatieff, capita spesso che sia soltanto il male minore. Quando le democrazie combattono il terrorismo non fanno altro che difendere la natura della loro società che si basa sull’assenza di violenza. Eppure combattere il terrorismo richiede proprio l’uso della violenza. E’ questo il paradosso o, come lo chiama Ignatieff, il "male minore". Paul Berman, invece, è l’autore di "Terrore e liberalismo" (Einaudi), che spiega come l’estremismo arabo e islamico sia l’ultima delle ideologie totalitarie. L’approccio dei due intellettuali liberal è simile. Entrambi sono stupefatti dall’atteggiamento di gran parte della sinistra progressista che non comprende come in una guerra dichiarata da gente così spietata sia necessario combattere. Certo l’uso della forza deve essere misurato, non deve essere una vendetta, non deve esserci Abu Ghraib né l’assenza di status giuridico a Guantanamo. Ma qui si rientra nelle critiche contingenti e strategiche all’Amministrazione, che i due scrittori non mancano di sottolineare. Il punto centrale, ben spiegato da Ignatieff, è che, al contrario di quanto si pensa, talvolta l’uso della forza non sminuisce la democrazia liberale americana piuttosto può essere necessario per la sua stessa sopravvivenza: "Bisogna abbandonare il mito del perfezionismo morale, perché se c’è una guerra questa guerra va combattuta. E per combatterla si può essere costretti a una qualche sospensione delle nostre libertà. L’unico modo per accettare una limitazione di questo tipo è che tutto ciò avvenga alla luce del sole, con un dibattito pubblico ed è fondamentale che il governo lo dica apertamente". A Berman non piace l’espressione "guerra al terrorismo", crede sia "ingannevole" perché "suggerisce l’idea che si tratti di una battaglia di piccole proporzioni contro poche persone, un gruppo di criminali da arrestare con un blitz della polizia. Di fronte abbiamo movimenti totalitari, ideologici, di massa, con radici nel fascismo, nel nazismo e nel comunismo". L’idea che la guerra in Afghanistan fosse giusta e quella in Iraq no, nasce da questa sottovalutazione: "Ma per bin Laden l’Afghanistan era soltanto un luogo temporaneo – continua Berman – al Qaida non è nata in Afghanistan o per l’Afghanistan, il mullah Omar non minacciava l’America. Quelli che dicono che in Iraq sarebbe stato meglio continuare con le sanzioni e non scoperchiare la pentola non hanno mai ascoltato il video con cui bin Laden ha rivendicato l’11 settembre. Erano tre i motivi dell’attacco alle Torri. Il terzo era quello dell’appoggio americano a Israele, ma i primi due erano legati all’Iraq: le truppe americane arrivate in Arabia Saudita dopo la cacciata di Saddam dal Kuwait e le sanzioni americane e occidentali all’Iraq". Secondo Osama, è stata l’imposizione delle sanzioni, cioè la soluzione che ancora oggi i realisti di destra e di sinistra sostengono avrebbe mantenuto la pace, ad aver spinto al Qaida all’attacco dell’11 settembre. Ignatieff nota anche la stranezza per cui "milioni e milioni di persone in buona fede e con le migliori intenzioni si ritrovano a manifestare contro la destituzione di un tiranno genocida, guerrafondaio e torturatore del proprio popolo". Conclude Berman: "Come è possibile che i progressisti non sostengano la lotta tra chi vuole la democrazia e chi la vuole negare? Come è possibile che non susciti un sentimento di solidarietà ascoltare per la prima volta un governo iracheno che parla di elezioni e libertà?" Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione de Il Foglio. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.