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Il Manifesto Rassegna Stampa
30.09.2004 La "resistenza islamica" di Hamas e della Jihad
la definizione del quotidiano comunista

Testata: Il Manifesto
Data: 30 settembre 2004
Pagina: 2
Autore: Stefano Chiarini
Titolo: «Sotto il segno di Mattei»
La "più importante autorità sunnita", lo sheik Mohammed Sayd Tantaui, una cui fatwa legittima le stragi di civili israeliani, "l'autorevole religioso egiziano" sheik Yusuf al Qaradawi, per il quale è lecito uccidere i civili americani in Iraq, il "movimento della resistenza islamica" Hamas, l'"organizzazione della resistenza palestinese" Jihad islamica, la "resistenza irachena".
Sono alcune delle definizioni di organizzazioni terrorristiche e teorici dello stragismo contenute nell'articolo di Stefano Chiarini "Sotto il segno di Mattei", pubblicato dal Manifesto di oggi, 30-09-04. La sua tesi centrale, per la quale la liberazione di Simona Pari e Simona Torretta dimostra che l'Italia dovrebbe riprendere la sua tradizionale politica filo-araba, evitando così quello "scontro di civiltà" che esisterebbe solo nelle politiche guerrafondaie di Bush, Sharon e Kerry, alla luce di tali definizioni andrebbe così tradotta: "Allo scontro di civiltà è preferibile la fine della civiltà, la barbarie assoluta che consiste nell'accettare che vi siano vitime designate, le cui vite si valutano un nulla, purchè gli assassini ci lascino, per il momento, in pace".

Nelle brevi immagini del rilascio di Simona Pari e Simona Torretta si vede con chiarezza sullo sfondo la moschea di Umm al Qura, la «madre di tutti i villaggi», già nota come «Umm al Mareq», la «madre di tutte le battaglie», con le sue torri bianche ricoperte di ceramiche azzurre a forma di kalashnikov e con i minareti a rappresentare i missili Scud lanciati dall'Iraq nella prima guerra del Golfo. Non solo. Questo luogo, già di per se assai simbolico, sia dal punto di vista religioso che politico, è anche la sede del Consiglio degli ulema, fondato all'indomani dell'invasione americana per rappresentare la comunità sunnita a livello religioso e politico a fronte del tentativo Usa di escluderla completamente dal potere in quanto portatrice degli ideali del nazionalismo arabo, primo obiettivo questo dei neocons «likudnik» dell'amministrazione Bush decisi a distruggere e «dearabizzare» l'Iraq. Il Consiglio degli ulema, al quale fanno riferimento circa 3.000 moschee, ha al suo interno tutte le correnti sunnite, dai settori più tradizionali, alle tendenze sufi, dai salafiti ai fratelli musulmani, ai wahabiti e non ha mai fatto mistero di sostenere la resistenza contro l'occupazione condannandone però gli eccessi teorici e pratici e soprattutto quelle posizioni portatrici di un discorso di «scontro tra civiltà». Il Consiglio, forte della sua autorità morale, ha giocato un ruolo non secondario nella liberazione di numerosi ostaggi ma mai si era esposto così apertamente e con chiarezza come ha fatto nel caso di Simona Pari e Simona Torretta condannando senza mezzi termini il loro sequestro in quanto contrario agli insegnamenti dell'Islam e controproducente per gli interessi stessi della resistenza. Una posizione difficile quella del Consiglio - invisa non solo agli occupanti ma anche ai gruppi islamisti più estremi che si ispirano ad al Qaida - che ha avuto un' importanza determinante nella liberazione delle due volontarie italiane. E' come se l'intera comunità sunnita da una parte fosse scesa in campo con tutto il suo peso contro l'occupazione e dall'altro avesse deciso di affidarne la direzione, o almeno la gestione politica, ai settori più nazionalisti e moderati. Se l'intervento del Consiglio degli ulema in questo caso ha avuto più successo che in altre precedenti occasioni ciò è dovuto sia alla impopolarità generale del sequestro delle due ragazze italiane, sia soprattutto ad una generale mobilitazione delle massime autorità religiose e politiche del Medioriente e dei più svariati movimenti politici della regione. Settori con i quali l'Italia, per decenni, dai tempi di Enrico Mattei sino alla caduta della prima repubblica, aveva avuto tradizionali rapporti di amicizia, poi abbandonati in favore di un grave appiattimento sulle posizioni dell'amministrazione Usa e del governo israeliano con un sostanziale abbandono del popolo palestinese e dei suoi dirigenti.

Tra le prese di posizione più importanti di queste settimane ci sono senza dubbio quelle della più importante autorità musulmana sunnita della moschea di al Azhar al Cairo, lo sheik Mohammed Sayed Tantaui, dell'autorevole religioso egiziano residente in Qatar, sheik Yousef al-Qaradawi o dell'esponente dei fratelli musulmani Mohammed Mahdi Akef. Per non parlare di quelle venute da importanti organizzazioni della resistenza palestinese, e non solo, legate in qualche modo ai fratelli musulmani da una parte e al nazionalismo arabo dall'altro: tra i primi ricordiamo non solo Yasser Arafat (inquisito in Egitto da giovane per i suoi legami con la fratellanza) ma anche il movimento della resistenza islamica Hamas e la jihad islamica e quasi tutti i gruppi della resistenza irachena a cominciare dalla città martire di Falluja. Tra i secondi, oltre a tutti i movimenti palestinesi laici, numerosissimi movimenti nazionalisti arabi, baathisti, nasseriani, del Magreb e del Mashrek, presenti non più tanto tra la popolazione quanto soprattutto nelle redazioni dei più importanti media della regione. La comunità sunnita, come del resto quella sciita, si sono schierate quindi in queste settimane senza esitazioni per la libertà di Simona Pari e Simona Torretta smentendo in teoria e in pratica ogni teoria di «scontro tra le civiltà», spetta ora a tutti coloro che hanno a cuore una pace giusta far si che questa porta non venga di nuovo chiusa dal governo o dall'opposizione, per seguire le politiche di guerra di Bush e di Sharon. O magari di Kerry.
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