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La Stampa Rassegna Stampa
22.09.2004 Una società impoverita e affaticata dalla guerra
conflitti sociali in un paese che nonostante il terrorismo cerca di salvaguardare benessere e giustizia

Testata: La Stampa
Data: 22 settembre 2004
Pagina: 6
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «Lo sciopero degli enti locali mette in ginocchio Israele»
Sulla Stampa di oggi, 22-09-04, Fiamma Nirenstein firma un articolo sullo sciopero degli enti locali in Israele, nel quale mette in luce gli effetti della guerra terroristica sferrata contro il paese sulla sua economia e sul suo tessuto sociale.
Migliaia di lavoratori senza salario che si presentano al lavoro ogni mattina mentre scorrono i mesi in cui la famiglia non vede un soldo: un mese, due mesi, quindici mesi, talora, incredibile a dirsi, tre anni. Questo è accaduto in Israele, e questo ha portato allo sciopero generale di ieri, uno sciopero che è già costato solo ieri un miliardo di shekel, quasi 200 milioni di euro. Il datore di lavoro dei lavoratori senza salario, è l’autonomia locale nelle sue varie branche: il comune, la scuola, il consultorio, la compagnia di pulizie, l’asilo d’infanzia.
Amir Perez il capo del sindacato, enormi baffoni alla Stalin, retorica bruciante e facile, raccontava ieri sera mentre indiceva lo sciopero generale che un bambino è andato a scuola portando per pranzo soltanto la rosetta senza niente dentro per un anno, finchè i suoi compagni se ne sono accorti e lui, vergognandosi, è fuggito. Piangeva anche Perez mentre indiceva lo sciopero che dalle otto e mezzo ha chiuso gli sportelli e le porte di tutta Israele. Uno sciopero che gode della solidarietà popolare e che è quindi un gran bel colpo per il sindacato, e un brutto colpo per il governo. Netanyahu, ministro delle finanze denuncia senza tregua la sospetta manovra politica che si nasconde dietro la mossa estrema del sindacato. Lo sciopero nasce da una crisi verticale delle autonomie locali nato da appalti sbagliati o malversati, da assunzioni comunali enormemente gonfiate, da imprese edilizie e in genere organizzative non ben calcolate o addirittura dettate da interessi.
Una situazione di debito e confusione che ha bloccato i versamenti statali alle autonomie locali da parte di un governo già enormemente provato dalle spese sostenute per la difesa dall’Intifada che dura ormai da quattro anni. Bibi Netanyahu ministro delle Finanze dice che i soldi dei lavoratori sono già stati stanziati da tempo, che, allo stato delle cose, finirebbero in debiti che non hanno nulla a che fare con i salari e gli stipendi dei lavoratori, che tocca ai comuni di fornire un piano di effettivo utilizzo del denaro a favore dei lavoratori, e invece questo piano non è mai stato presentato, che non esiste la possibilità di passare i soldi dal governo ai comuni senza un piano e una riforma, altrimenti sarebbero versati di nuovo in un buco nero da cui difficilmente passeranno alle tasche giuste e in cui comunque si ricreerà una situazione di emergenza in breve tempo.
Perez dice invece che il governo è incapace e egoista, che l’insensibilità verso le famiglie è orribile,che la proposta di Sharon di versare intanto parte dei soldi dovuti (250 milioni di shekel, ovvero 45 milioni di euro) è cinica e truffaldina.
Lo shock del paese ha la sua massima rappresentazione simbolica nell’aereoporto Ben Gurion, dove niente arriva e niente parte. Se l’aereoporto è chiuso, in Israele, che ha tre quarti dei confini chiusi dall’ostilità circostante, non entra e non esce nessuno: sono bloccati così i turisti, le famiglie, i lavoratori che tornano a casa fra il capodanno ebraico e Yom Kippur, che si celebra venerdì prossimo. Sono bloccati nella generale disperazione affari vitali per un’economia disastrata, missioni religiose e pellegrini di ogni genere. Con la faccia contorta dalla responsabilità e dall’ansia dice Zeev Sarig direttore dell’aereoporto: «Sono entrati solo due aerei carichi di feriti e qualche cassa da morto. Non abbiamo fatto atterrare neppure la squadra di calcio». Anche i porti sono chiusi; anche i ministeri, la dogana, gli istituti di previdenza, i consigli religosi, il personale non insegnante delle scuole, gli addetti alla spazzatura, i bagnini, i telefoni, gli ospedali se non per le emergenze. Un disastro.
Amir Perez, il capo dell’Histadrut, il leggendario sindacato che è rimasto per anni e anni la vera spina dorsale della storia israeliana, è adesso in corsa, data l’età di Shimon Peres e la mancanza di una leadership legittimata a succedergli,è senz’altro interessato a un’ingresso politico fiammeggiante nel partito laburista, e questo sciopero glielo fornisce. Sullo sfondo, comunque, la conflittualità di una società impoverita e affaticata dalla guerra, che con le unghie con i denti ha tenuto al primo posto con gli Usa la sua high tech e il suo progresso scientifico che resta ancora l’asse di un’economia di guerra che rifiuta di essere tale.
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