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Il Foglio Rassegna Stampa
22.09.2004 La minaccia di un attentato nucleare
è possibile una difesa?

Testata: Il Foglio
Data: 22 settembre 2004
Pagina: 3
Autore: un giornalista
Titolo: «Come evitare che al Qaida tenga un chilo d'uranio in balcone»
A pagina 3 del Foglio di oggi, 22-09-04, un articolo sulla proliferazione nucleare e sul rischio di un attentato nucleare.
Roma. Scenario numero uno: un gruppo
di terroristi islamici nasconde bombe nucleari
nel territorio degli Stati Uniti, minacciando
di farle esplodere se l’occidente non
se ne sta buono mentre una coalizione di
eserciti arabi cerca di spazzare via Israele
dalla faccia della terra. Scenario numero
due: agenti cinesi nascondono bombe atomiche
in furgoni di pesce congelato, distruggendo
le principali città degli Stati Uniti.
Scenario numero tre: al Qaida fa scoppiare
a New York una bomba atomica da 10 kiloton
trafugata da arsenali russi, uccidendo
un milione di persone. Scenario numero
quattro: un commando di terroristi suicidi
dirotta un aereo e lo lancia su una centrale
nucleare. Fantapolitica del genere catastrofico?
Lo scenario numero uno, sì: è la trama
di "Il farone delle sabbie", best-seller scritto
nel ’97 da Valerio Massimo Manfredi. Lo
scenario numero due è un racconto, che
comparve alla fine degli anni 60 su Selezione
del Reader’s Digest, basato sulla "confessione"
di una Commissione d’inchiesta del
Congresso, secondo cui all’epoca gli Stati
Uniti non disponevano di un’effettiva difesa
contro un attacco nucleare condotto con
mezzi non convenzionali.

Il "cerchio esterno"

Lo scenario numero tre non è invece letteratura:
fu il preciso allarme, rivelatosi
infondato, che l’11 ottobre 2001, un mese dopo
l’assalto al World Trade Center, arrivò all’Amministrazione
Bush, attraverso un agente
della Cia, nome in codice Dragonfire. Lo
scenario numero quattro si è già verificato,
ma scomposto. Nel novembre 1972 tre cittadini
americani armati di pistole e bombe a
mano dirottarono un aereo di linea e obbligarono
il pilota a puntare sulla centrale nucleare
di Oak Ridge, nel Tennessee. Il loro
scopo non era quello di fare una strage, ma
quello di ricavare soldi, e infatti permisero
al pilota di raddrizzare la rotta quando la
compagnia aerea promise di pagare loro
due milioni di dollari di riscatto. Che non furono
versati: quando l’aereo atterrò all’Avana
vennero subito arrestati dalle autorità
cubane. Al contrario, i dirottatori dell’11 settembre
2001 si impadronirono di quattro aerei,
con l’intenzione di lanciarli contro edifici.
Che cosa sarebbe successo se qualcuno
di loro avesse pensato di portare a termine
l’impresa iniziata dai tre pirati di Oak Bridge,
29 anni prima?
Eugene Habiger è un generale a quattro
stelle in pensione, responsabile dell’arsenale
nucleare strategico americano fino al ’98
e poi del programma antiterrorismo del dipartimento
dell’Energia fino al 2001. In
un’intervista rilasciata nel maggio 2002 al
New York Times Magazine ha detto che un
attentato nucleare "non è questione di se, è
questione di quando", e ha spiegato quella
che secondo lui è l’unica soluzione definitiva
al problema: "Sono andato a vivere a San
Antonio", lontano dai presumibili obiettivi
più sensibili dei bin Laden di turno.
Un punto di vista meno individualista è
nel libro "Nuclear terrorism: the ultimate
preventable catastrophe", di Graham Allison:
decano della John F. Kennedy School of Government di Harvard, ex assistant secretary
alla Difesa dell’Amministrazione Clinton,
oggi direttore del Belfer Center for
Science and International Affairs. "L’unico
modo per eliminare la minaccia del terrorismo
nucleare è quello di privarlo di armi e
materiali alla fonte". Ma le fonti, nel mondo
moderno, sono quanto mai diffuse. Sono cinque,
secondo il Trattato di Non Proliferazione
(Tnp) del 1970, i paesi riconosciuti come
nucleari: Stati Uniti, Urss, Regno Unito, Cina
e Francia. Ma Cina e Francia non vi hanno
aderito che nel ’92, mentre lo sfasciarsi
dell’Unione sovietica ha messo alcune migliaia
di ordigni nelle mani di Ucraina, Bielorussia
e Kazakhstan. E’ stato un capolavoro
diplomatico, ben descritto nel libro di Allison,
quello con cui gli Stati Uniti hanno
persuaso questi governi a rinunciarvi. Anche
il Sudafrica del post-apartheid, dopo
aver aderito nel 1991 al Tnp, ha confessato
nel 1993 di aver posseduto ordigni che poi
aveva distrutto. In compenso si sono dotati
apertamente di bombe atomiche l’India e il
Pakistan, che non hanno aderito al Tnp. Non
ammette ufficialmente di aver ordigni del
genere ma ne fa trapelare l’esistenza in via
ufficiosa Israele, anch’esso non membro del
Tnp. E la Corea del Nord, dopo aver affermato
il suo diritto a dotarsi di atomiche nel
2002 ed essersi ritirata dal Tnp nel gennaio
del 2003, ha rivelato di essere divenuta potenza
nucleare nell’aprile del 2003. Quanti
sono adesso gli ordigni nucleari in circolazione?
Le stime più accreditate parlano di
19-20 mila bombe in possesso della Russia,
contro 10.500 degli Stati Uniti, anche se con
vettori e organizzazione migliori. Seguirebbero
la Francia con 450, la Cina con 400, il
Regno Unito con 185, Israele con un numero
imprecisato tra 100 e 300, l’India con 80, il
Pakistan con 25, la Corea del Nord con da
due a otto bombe. Tra le ex-potenze nucleari
l’Ucraina ha smantellato 4000 ordigni, il
Kazakhstan 1800, la Bielorussia 1.200, il Sudafrica
"tra 4 e 6".
Attorno a questo che potremmo definire il
"cerchio interno" dei paesi dotati di nucleare
militare c’è poi il "cerchio esterno" del
nucleare civile. Ovvero, 104 centrali negli
Stati Uniti, 59 in Francia, 53 in Giappone, 35
nel Regno Unito, 29 in Russia, 19 in Germania,
16 in Corea del Sud, 14 a testa per Canada,
India e Ucraina, undici in Svezia, nove in
Cina e in Spagna, sette in Belgio, sei in Bulgaria
e in Slovacchia, cinque in Svizzera,
quattro in Repubblica Ceca, Finlandia e Ungheria,
due in Argentina, Lituania, Messico e
Sudafrica, una in Armenia, Brasile, Paesi
Bassi, Pakistan, Romania e Slovenia. Di questi
paesi i più dipendenti dal nucleare civile
sono Francia e Lituania, che ne traggono i
tre quarti del proprio approvvigionamento
d’energia. Segue il Belgio, con oltre metà, poi
Bulgaria, Corea del Sud, Slovacchia e Ucraina,
con oltre il 40 per cento. L’Iran non ne
avrebbe bisogno, vista la sua abbondante disponibilità
di petrolio. Ma si sta dotando di
due centrali, da qui il sospetto che si stia preparando
al salto verso il nucleare militare.

Il Brasile bloccò l’accesso all’Aiea

L’Aiea, l’Agenzia internazionale per l’energia
atomica, non proibisce l’arricchimento
del combustile fissile a basso livello
a fini civili. Ma impone stretti controlli, per
evitare un arricchimento ad alto livello a
scopi militari. L’Iran prima ha cercato di
eludere tali controlli, poi ha stipulato un accordo
separato con i rappresentanti di Regno
Unito, Germania e Francia, ma alla fine
è emerso che lo aveva violato. Anche la Corea
del Nord ha prima chiuso il suo unico
impianto e poi lo ha riaperto, dopo aver
espulso gli ispettori dell’Aiea. Ma l’agenzia
ha avuto problemi anche con il Brasile, che
lo scorso aprile le ha rifiutato l’accesso all’impianto
per l’arricchimento dell’uranio di
Resende. La Corea del Sud ammette di avere
compiuto di nascosto nel 1982 e 1986 due
importanti tappe verso la costruzione della
bomba atomica, come l’estrazione del plutonio
e l’arricchimento dell’uranio. Il governo
di Seul, come quello di Brasilia, giura di non
voler fare passi ulteriori sulla via del nucleare
militare. Gli esperti ritengono inevitabile
la proliferazione di Giappone e Corea
del Sud, se la Corea del Nord continua sulla
sua pericolosa china. Invece non si è trovata
traccia delle 2-5 bombe che si sospettava
stesse costruendo l’Iraq di Saddam Hussein.
Ma soltanto perché glielo hanno impedito
prima l’attacco israeliano dell’81 al suo reattore
nucleare, poi l’embargo. Stesso motivo
per il quale, secondo Allison, la Libia ha rinunciato
all’atomica.
assistente di Eltsin, raccontò che 84 delle
sparite. Mosca nega la loro esistenza,
assicurano che queste mini-bombe, da
preoccupanti della guerra santa sporca La Corea del Nord è stato il paese che ha
maggiormente venduto in giro per il mondo
sistemi missilistici adatti a testate nucleari.
Tra i suoi acquirenti, oltre a Iran e Iraq,
Pakistan, Arabia Saudita e Yemen. Ma poiché
questo tipo di armi non è il più adatto
al tipo di guerra che fa al Qaida, Allison
mette Kim Jong-il al terzo posto tra i pericoli.
Al secondo c’è il Pakistan. I suoi servizi
segreti sono contigui a bin Laden, la sua
opinione pubblica vi simpatizza in larga misura
e la sua classe dirigente ha a lungo manifestato
la sua intenzione di mettere l’atomica
pachistana "al servizio di tutto l’islam",
prima della recente svolta moderata
imposta al generale Pervez Musharraf
dall’11 settembre 2001. Il padre del suo programma
nucleare, Abdul Qadeer Khan, ha
ammesso di aver iniziato dai disegni di una
centrifuga che aveva rubato da un impianto
olandese in cui aveva lavorato negli anni 70,
e l’atomica pachistana ha poi continuato ad
alimentarsi attraverso un contrabbando di
materiali con Cina, Corea del Nord, Malaysia,
Paesi Bassi, Germania, Iran, Iraq, Arabia
Saudita, Emirati Arabi. Nell’agosto del
2001 ci fu un incontro diretto tra bin Laden
e due ex responsabili del programma nucleare
pachistano: Sultan Bashiruddin Mahmud
e Abdul Majeed. Daniel Pearl stava facendo
un’inchiesta su di loro quando fu rapito
e ucciso.

Al mercato nero 24 anelli

Ma il buco nero maggiore, per Allison, resta
la Russia, il cui immenso potenziale nucleare,
sia civile sia militare, è alla mercè
del crollo del potere d’acquisto e di status di
cui gli scienziati e i militari sono state vittime
con la fine dell’Urss. L’anneddotica è
impressionante: dal marinaio che nel 1999
cercò di piazzare al mercato nero 24 anelli
di palladio-vanadio sottratti al suo sottomarino,
all’ammiraglio della Flotta del Pacifico
che ha rivenduto a Corea del Sud e India
64 navi, tra cui due portaerei; dal tecnico
che aveva nascosto sul balcone di casa un
chilo e mezzo di uranio arricchito sottratto
all’impianto dove lavorava per trovare i soldi
per riparare il frigorifero, ai i tre taglialegna
georgiani che nel 2001 inciamparono
in un generatore a stronzio di fabbricazione
sovietica con una radioattività a livelli da
Chernobyl.
Ma la storia più terrificante è quella che
nel 1987 raccontò il generale Lebed, allora
assistente di Boris Eltsin per la sicurezza
nazionale, secondo cui 84 delle 132 "valigie
nucleari" del Kgb erano sparite. Il governo
russo disse allora che quelle speciali armi,
potenti da 0,1 a un kiloton e abbastanza piccole
da entrare in una valigia, non erano
mai esistite, e lo stesso Lebed smentì le sue
dichiarazioni. I servizi statunitensi ritengono
invece che queste mini-bombe esistano
davvero, se non altro perché loro ne hanno
di simili. Secondo Allison, "non c’è dubbio
che nel processo di transizione dall’Urss alla
Russia si è perso abbastanza materiale da
fabbricarci almeno 20 atomiche". Gli stessi
Stati Uniti hanno potuto ricomprare quasi
mezza tonnellata di uranio altamente arricchito
trafugato in Kazakhstan.
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