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Il Foglio Rassegna Stampa
17.09.2004 Gli Stati Uniti denunciano l'oppressione religiosa in Arabia Saudita
cambierà la politica americana verso l'inaffidabile alleato?

Testata: Il Foglio
Data: 17 settembre 2004
Pagina: 1
Autore: un giornalista
Titolo: «Prima mossa di Bush per allentare il patto blasfemo con i sauditi»
Svolta della politica americana verso l'Arabia Saudita: il Dipartimento di Stato ne condanna la mancanza di libertà religiosa, in particolare le discriminazioni verso gli sciiti.
Dalla prima pagina del Foglio di oggi, 17-09-04

Roma. "In Arabia Saudita non esiste libertà religiosa". Quest’affermazione segna una svolta nella politica estera americana perché è inserita nel nuovo rapporto annuale del Dipartimento di Stato sulla libertà di religione nel mondo. Il report costituisce un atto fondamentale perché Amministrazione e Congresso nelle violazioni gravi della libertà religiosa possono trovare argomenti per non sottoscrivere trattati, fornire armamenti o agevolazioni commerciali. Ma oggi l’Amministrazione notifica al Congresso che le risultano esistere solo due paesi al mondo in cui non c’è libertà religiosa: l’altro è la Corea del nord. Una compagnia obbrobriosa per uno Stato arabo che per un cinquantennio è stato considerato il più forte – e il più favorito – alleato degli Usa nell’area, dopo Israele. Il verdetto non impone a Washington scelte di rottura con Riad, come ha più volte detto l’ambasciatore John Hanford ai giornalisti, ma il segnale è dato. Non più complicità, nel dimenticatoio le amicizie tra dinastie petrolifere (a partire da quella della famiglia Bush), non più tolleranza: l’islam dei sauditi non è più "moderato". E’ un islam intransigente e liberticida, questo dice il Dipartimento di Stato, non a caso, in piena campagna elettorale. Michael Moore coi suoi stucchevoli scoop sui Bush imprenditori così come i consiglieri di J. F. Kerry sono avvisati: l’arma delle ambiguità nei confronti degli sceicchi del petrolio non può più essere brandita contro George W. Bush. La fotografia che ritrae (vedi Foglio del 10 settembre) lo storico incontro tra il democratico F. D. Roosevelt e il fondatore del regno saudita Abdulaziz ibn Saud, sull’incrociatore Quincey il 14 febbraio ’45, mostra un generale americano inginocchiato davanti al sovrano saudita. E’ una felice sintesi di quanto sia costato a Washington il pur prezioso petrolio dei Saud. Da quell’incontro, fino a oggi, l’America ha fatto finta di non sapere che l’islam salafita o wahabita è totalitario e perseguita a morte le altre religioni e le altre scuole dell’islam. Ma l’11/9 ha chiarito che il calcolo che ha portato a tali complicità con uno dei regimi più feroci del pianeta era autolesionista. Non solo perché 15 su 19 terroristi delle Twin Towers erano sauditi, ma soprattutto perché è apparsa alla luce del sole l’inaffidabilità di Riad nella lotta al terrorismo. Inaffidabilità legata al fanatico credo della dinastia e quindi dello Stato, che della dinastia è proprietà privata.

Le sottolineature dell’ambasciatore Hanford

A riprova del carattere non casuale della denuncia, Hanford ha più volte detto che le violazioni più gravi dei sauditi non riguardano solo le altre religioni, ma soprattutto la minoranza del milione e più di sciiti "sottoposti a discriminazioni nelle scuole, nell’impiego e sui media, e a severe restrizioni nelle loro pratiche religiose". Una sottolineatura tutta politica e graditissima agli sciiti iracheni. In realtà, in ossequio a una disposizione
del secondo califfo Omar, cristianesimo ed ebraismo sono addirittura banditi dal regno e il loro proselitismo è punito con la morte, mentre gli sciiti sono quantomeno tollerati. Ma questa Amministrazione non intende certo ora spendersi per denunciare la persecuzione dei cristiani a opera dei wahabiti (scatenata dal Pakistan al Marocco); quel che le preme è dare un segnale forte a Riad e uno ancora più forte a Najaf, all’ayatollah sciita Ali al Sistani, per il quale il report è musica. Il wahabismo è nato nel 1700, per contrastare – anche politicamente – gli sciiti, accusati del peggiore peccato per un musulmano, il politeismo, perché celebrano una sorta di cristologia messianica nei confronti degli imam (nel 1802 il santuario di Kerbala fu distrutto dai sauditi e iniziò una faida mesopotamica che dura ancora). Oggi gli sciiti sauditi trovano i loro difensori a Washington, mentre gli ex alleati wahabiti ricevono un’accusa infamante. Mossa scaltra e giusta. Intanto la "vecchia Europa" franco-tedesca dorme in panchina.
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