Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein".
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)
Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine.
Dietro il sequestro delle italiane: Al Qaeda o ex agenti della polizia segreta di Saddam le analisi di Lorenzo Cremonesi e Guido Olimpio
Testata: Corriere della Sera Data: 09 settembre 2004 Pagina: 5 Autore: Lorenzo Cremonesi - Guido Olimpio Titolo: «Hanno agito come le squadre di Saddam - La strategia dei "piccoli Osama"»
Sul Corriere della Sera di oggi, 09-09-04, due sono le ipotesi sull'identità dei rapitori di Simona Pari e Simona Torretta. Una, argomentata da Lorenzo Cremonesi nell'articolo "Hanno agito come le squadre di Saddam", è che si tratti di ex membri della polizia segreta del regime baathista. Ecco il pezzo: Non solo avevano ben pianificato il blitz e sapevano esattamente chi colpire i rapitori di Simona Pari, Simona Torretta e dei loro due collaboratori iracheni. Ma soprattutto il loro modus operandi ricorda da vicino quello degli agenti delle squadre speciali di Saddam Hussein. «Gente ben addestrata, educata. Rasati, pettinati, parlavano un arabo impeccabile, al cento per cento iracheni della buona società. Nessun tipo di accento straniero. Avevano studiato le mappe della nostra palazzina. E c'era un capo. Un tizio con la giacca scura che restava in disparte e impartiva ordini brevi, secchi. A un certo punto uno dei rapitori è scivolato sulla scala che porta al primo piano. Era salito a perquisire le stanze da letto delle due italiane, il mitra M.16 gli è caduto a terra. E subito si è rivolto al capo per scusarsi con un inequivocabile saidi, come nella gerarchia militare si parla al comandante», dicono i testimoni. Nessuno vuole dare nomi, regna la paura. Però serpeggia un sospetto, inevitabile in situazioni di questo genere: «Forse c'è una spia tra noi. I terroristi hanno una talpa che bazzica nel giardino tra gli uffici del Ponte per e di Intersos».Si ricostruiscono i momenti prima del blitz, si cercano di ricordare le telefonate strane, eventuali auto parcheggiate di fronte. Comunque, per tanti il blitz dell'altro ieri ha riproposto come un terribile incubo le memorie della dittatura. Il Mukhabarrat, il famigerato servizio segreto di Saddam Hussein responsabile di infiniti crimini, aveva al suo interno un' unità specializzata nei rapimenti. La chiamavano «Al Ameliat al Khassa» ed era incaricata di far sparire gli oppositori del regime, capi tribù troppo indipendenti, gente scomoda alla nomenklatura. «Magari sono stati riciclati, ora lavorano per l'estremismo islamico, o per gli ex baathisti che operano tra Falluja e Mahmudia, attorno a Bagdad», confida un ex ufficiale del Mukhabarrat. Solo ipotesi, per ora. Perché, al momento, tra gli amici e colleghi di lavoro dei rapiti regnano sgomento, confusione, timore. La polizia del governo Allawi promette di creare un'unità speciale per occuparsi del caso «con la massima priorità». Una notizia accolta qui con scetticismo. Cosa può fare questa polizia che a Bagdad non è neppure in grado di regolare il traffico? Ieri mattina, i colleghi dei rapiti sono tornati nel giardino delle due organizzazioni umanitarie a Bagdad per lanciare un appello ai sequestratori e alla società civile. «Liberateli. Hanno sempre lavorato per il bene del nostro popolo», dicono alla piccola folla di giornalisti locali e stranieri. Al banco degli oratori spicca il turbante bianco dello sceicco Anwar. Un personaggio citato spesso dalle «due Simona». Quasi non passava giorno senza che lui venisse a trovarle negli ultimi mesi. «Il nostro angelo custode», lo chiamavano scherzosamente. Perché Anwar è uno dei capi locali tra la comunità sciita attorno a Sadr City, dove il «Ponte per...» fa da garante, ha in cura il ripristino di alcune scuole elementari. Ieri non ha risparmiato le parole. «Questo rapimento non è islamico e non è iracheno — ha detto Anwar —. Va contro la nostra religione e contro il nostro popolo. Vi preghiamo, continueremo a pregare: liberatele subito». Un altro attivista dei diritti umani locale, Mohammad al Mussawi, ha ricordato gli aiuti mandati dalle due associazioni italiane a Falluja in aprile e a Najaf soltanto tre settimane fa, quando la città santa sciita era al centro di una feroce battaglia. Poi legge un fax arrivato direttamente da un comitato di Falluja, una cinquantina di chilometri dalla capitale, che ieri era ancora sotto i bombardamenti americani: «Le organizzazioni delle persone rapite sono contrarie all'occupazione. Ci hanno difeso ai tempi dell'embargo, non fate loro del male». E si parla anche dei due iracheni rapiti con le italiane. I sequestratori avevano una lista con i nomi delle persone da prelevare. La ragazza, Manhaz Assam, 29 anni, si occupa di coordinare i programmi di Intersos. Di origine curda, è sempre vestita in modo tradizionale, con il capo coperto per non urtare le sensibilità dei quartieri dove opera. «I rapitori hanno aperto la porta e se la sono trovata davanti. Lei forse ha reagito. Loro le hanno inferto una scarica elettrica con un manganello speciale. E' svenuta ed è stata caricata in auto di peso». Sono spezzoni di memoria di quei cinque terribili minuti. Altri emergeranno nei prossimi giorni. Raad Ali Abdul Aziz, classe 1969, è un brillante ingegnere civile che ha anche una cattedra all'università di Bagdad. Lavora al «Ponte per...» da cinque anni. Prima della guerra l'anno scorso le sue conoscenze tecniche erano preziose per i programmi di ristrutturazione della rete idrica irachena, danneggiata dal conflitto del 1991 e dall'embargo internazionale. Nell'ultimo anno è stato lui a seguire nel dettaglio la ristrutturazione delle scuole. I rapitori non gli hanno dato neppure il tempo di replicare. Dopo la verifica del nome è stato spinto verso i gipponi in attesa fuori dalla villetta L'altra, sostenuta da Guido Olimpio in "La strategia dei piccoli Osama. Stupire il mondo con la violenza", rimanda a gruppi legati ad Abu Musab al Zarqawi, che aspira alla leadership di Al Qaeda. Ecco il pezzo: Il sequestro di Bagdad ha il marchio dei «piccoli Osama». Non hanno una preparazione religiosa, non hanno la pazienza degli ideologi del martirio, sono interessati solo a stupire in modo truculento. La regola numero uno è uccidere. La regola numero due è usare la morte per promuovere il proprio gruppo. La regola numero tre è infischiarsene di tutto: tradizioni, doveri, testi sacri. La regola numero quattro prevede l'uso della tecnologia moderna (video, Internet, tv) per proiettare la propria immagine sulla scena internazionale e fare proselitismo tra chi è ai margini. Beslan e Bagdad sono distanti migliaia di chilometri le une dalle altre. Le motivazioni dei gruppi sono diverse, le cause che li spingono pure, così come gli avversari che vogliono eliminare. Però c'è un comune denominatore: la distruzione del prossimo e l'autodistruzione. Da documentare. Il filmato della palestra di Beslan, con i piccoli ostaggi terrorizzati, non è diverso dai video che arrivano dall'Iraq. LE MOTIVAZIONI — Il sequestro ha una duplice lettura. Pressione sull'Italia intera perché si ritiri dall'Iraq, monito all'infedele, quale sia il suo lavoro. Questo spiega perché abbiano colpito giornalisti e operatrici umanitarie. E' già avvenuto in Algeria per mano dei movimenti salafiti, in Cecenia da parte dei banditi-guerriglieri suggestionati dai messaggi di Jihad, nell'Afghanistan dei talebani. L'ideologia salafita — che propugna un Islam radicale e conservatore — ha subito un'ulteriore deriva estremista e ha catturato le menti di numerosi estremisti. Vale per l'Iraq, la Turchia, il Marocco e l'Europa, aree teatro degli ultimi gravi attentati, messi a segno da mujahidin che si riconoscono in questa visione di scontro totale. LO SCONTRO — I massacri iracheni hanno avuto un contraccolpo negli ambienti integralisti. Sulla pubblicazione «Sawt Al Jihad», organica ad Al Qaeda, è comparso un interessante dibattito tra due gruppi ideologici. Uno schierato sulle posizioni del giordano Abu Musab Al Zarkawi, il principe dei tagliatori di teste. L'altro allineato alla linea di Osama Bin Laden. Il secondo ha, di fatto, pubblicato un manifesto contro Al Zarkawi, strutturato attorno a una serie di capi di accusa. Eccone alcuni: 1) Non devono essere uccisi i civili (ostaggi compresi). 2) Gli attacchi devono essere concentrati sulle forze della coalizione. 3) I collaborazionisti non vanno puniti con la morte. 4) E' stato un errore far affluire un così gran numero di mujahidin dall'estero: «Gli iracheni sono sufficienti e si crea una grande confusione al punto che non si sa chi compia gli attacchi». 5) L'attuale tattica porta alla distruzione dell'Iraq. 6) Le azioni devono essere concentrate solo sui «Crociati» e non estese ai miscredenti. 7) La lotta va condotta con mezzi moderni e non con «sistemi antiquati»: un paragone tra l'azione dell'11 settembre a New York e le autobomba che insanguinano l'Iraq o i coltellacci usati per gli sgozzamenti. LA GUIDA — Il manifesto non significa che gli uomini più vicini ad Al Qaeda siano diventati mansueti. L'obiettivo resta la guerra all'Occidente e ai regimi che lo appoggiano. Ma non si può escludere che gli ideologi siano preoccupati della fuga in avanti dei «piccoli Osama» come Al Zarkawi. Un dibattito che va avanti da mesi nei forum islamici con pareri diversi. A giudizio di alcuni esperti dell'intelligence, la stessa offerta di tregua di Bin Laden all'Europa (ammesso che sia vera) se da un lato è una pura forma di ricatto per giustificare attentati, dall'altra nasconde un segnale più politico, ossia il progetto di diventare un interlocutore. Un disegno estraneo a chi è ancora impegnato a farsi un nome sequestrando e uccidendo persone inermi. IL MARCHIO — Varie testimonianze raccontano che Al Zarkawi, all'epoca del soggiorno in Afghanistan, se ne stesse in disparte, pensando a come creare una sua formazione, osando persino criticare il Grande Maestro del terrore. I prossimi mesi diranno se prevarrà il «marchio Osama» che vuol uccidere con colpi selezionati e spettacolari ma dilatati nel tempo. Operazioni costose (quasi mezzo milione di dollari per abbattere le Torri Gemelle) e preparate per anni. Oppure, se il mercato dell'orrore sarà nelle mani delle «sottomarche qaediste» che ammazzano ogni volta che possono, con attacchi devastanti a basso costo: 10 mila euro per fare 200 morti a Madrid. Ma nel mondo del neoterrore non ci sono certezze. Le voci che rimbalzano dall' Afghanistan dicono che forse è oggi Ayman Zawahiri, il braccio destro di Bin Laden, a dettare le mosse patrocinando una svolta ancora più intransigente. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare il proprio parere alla direzione del Corriere della Sera. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.