Il rifiuto di chiamare i terroristi con il loro nome e la dipendenza dalla barbarie in cui cade la Francia Daniel Pipes e Alain Finkielkraut
Testata: Il Foglio Data: 08 settembre 2004 Pagina: 1 Autore: Francesca Pierantozzi - Daniel Pipes Titolo: «Non chiamiamola più resistenza-La Francia agisce come Pètain dandosi arie da De Gaulle, questo è triste»
A pagina 1 dell'inserto Il Foglio di oggi pubblica l'articolo di Daniel Pipes: "Non chiamiamola più resistenza, ma alla fantasia non c'è limite", sull'uso degli eufemismi da parte dei media di fronte al fenomeno terrorista. Ecco il pezzo La riconosco quando la vedo" è la celebre risposta data dalla Corte suprema americana alla dibattuta questione della definizione di pornografia. Potrebbe non essere meno ostico definire che cosa sia terrorismo, ma la perversa uccisione di scolari, di gente a un funerale, di coloro che sono seduti ai tavoli di lavoro nei grattacieli, calza la definizione "la riconosco quando la vedo". Ma i media, in genere, rifuggono dall’uso del termine "terrorista", preferendo ricorrere a eufemismi. Prendiamo l’assalto alla scuola di Beslan del 3 settembre, che ha portato alla morte di 400 persone circa, molte delle quali bambini. I giornalisti hanno saccheggiato i dizionari dei sinonimi, trovando almeno una ventina di eufemismi. Assalitori – la National Public Radio; aggressori – l’Economist; attentatori – il Guardian; predoni – l’Associated Press; commando – l’Agence France Press (…); criminali – il londinese Times; estremisti – la United Press International; combattenti – il Washington Post; gruppo – l’Australian; chiamiamola più resistenza, ma guerriglieri – editoriale, New York Post; assassini – la Reuters; sequestratori – il Los Angeles Times; ribelli – in un titolo del New York Times; rapitori di bambini – londinese Observer; miliziani – il Chicago Tribune; perpetratori – il New York Times; radicali – la BBC; ribelli – titolo del Sydney Morning Herald; separatisti – il Christian Science Monitor; e per finire il mio preferito attivisti – il Pakistan Times. Le origini di questa riluttanza a utilizzare il termine "terroristi" sembrano risiedere nel conflitto arabo-israeliano, a una strana combinazione di simpatia verso i palestinesi e di timore nei loro confronti. […] Nidal al-Mughrabi della Reuters ha messo in guardia sul sito www.newssafety.com i colleghi a Gaza che onde evitare guai occorre: "Non utilizzare mai il termine ‘terrorista’ per descrivere gli assassini e i militanti palestinesi; la gente li considera degli eroi del conflitto". La riluttanza a chiamare i terroristi con il loro vero nome può raggiungere assurdi livelli (…). L’1 aprile del 2004, Morning Edition – notiziario della National Public Radio – annunciò che "l’esercito israeliano ha arrestato 12 uomini, considerati dei militanti ricercati". Ma CAMERA, la Commissione per l’Accuratezza del Servizio Informazioni sul Medio Oriente in America, fece rilevare l’inesattezza della notizia e il 26 aprile 2004 la NPR rettificò: "E’ stato riportato che ufficiali dell’esercito israeliano avevano asserito di aver arrestato 12 uomini che erano dei militanti ricercati". Ma l’esatta frase detta dai militari israeliani era: "terroristi ricercati". Metro, testata tedesca, il 3 maggio 2004, pubblicò una foto che mostrava due mani coperte da un paio di guanti, appartenenti a una persona che prendeva le impronte a un terrorista morto. La didascalia recitava: "Un ufficiale di polizia israeliano prende le impronte a un palestinese morto. E’ una delle vittime cadute ieri nella striscia di Gaza". Una delle vittime! L’uso eufemistico si è poi diffuso dal conflitto arabo-israeliano agli altri teatri. […] Così, l’accezione "militanti" è diventata il termine standard cui ricorrere per non c’è mai limite designare i terroristi. Queste restrizioni linguistiche auto-imposte talvolta inducono i giornalisti alla confusione. La BBC – che in genere evita di utilizzare il termine "terrorista" – nel riportare la notizia dell’uccisione di uno dei suoi cameraman, si è trovata a ricorrere a quel vocabolo. Per citare un altro esempio, nel motore di ricerca del sito web della BBC è inclusa la voce terrorista, ma nella pagina collegata quel termine è stato espurgato. Le organizzazioni delle notizie politicamente corrette minano la loro credibilitàcon simili sotterfugi. Come si può credere a ciò che si legge, che si sente o che si vede quando l’evidenza lampante del terrorismo è semi-negata? La cosa peggiore è che i molteplici eufemismi utilizzati al posto del termine terrorista impediscono una chiara comprensione delle brutali minacce che la società civile si trova ad affrontare. È assai scorretto che solo uno su cinque articoli riguardanti l’orrore di Beslan menzioni la sua matrice islamista; ma la cosa peggiore è rappresentata dal miasma terminologico che isola il pubblico dal male del terrorismo. In prima pagina Francesca Pierantozzi intervista Alain Finkielkraut, filosofo francese fortemente critico verso la "dipendenza dalla barbarie" mostrata dal suo paese. Ecco il pezzo: "La Francia agisce come Pétain dandosi arie da De gaulle, questo è triste" Parigi. "La Francia di oggi agisce come Pétain, dandosi arie da de Gaulle. E’ quello che rivela la gestione della crisi degli ostaggi, e mi rattrista profondamente": Alain Finkielkraut, intellettuale e filosofo, sembra condannato ad andare contro corrente. Lo fa quasi con aria di rassegnazione, consapevole che le sue analisi del presente non sempre gli procurano simpatie, quasi mai consensi. Ma lo fa portando sino in fondo il suo ragionamento, davanti a pagine fitte di appunti. Anche i francesi vengono attaccati in Iraq. E’ la fine di un’illusione di innocenza e immunità? "Per i francesi dovrebbe essere la fine dell’innocenza. Ma ricordiamoci quello che è accaduto in Spagna: l’11 marzo un attentato fa centinaia di morti a Madrid. Un giornale israeliano titola, con dolorosa ironia: ‘Benvenuti nel mondo reale’. E gli spagnoli rispondono: ‘No, questo mondo non è il nostro, siamo contro la guerra che l’America conduce contro il terrorismo, dunque non possiamo essere obiettivi del terrorismo’. Qualcosa di simile viviamo oggi, purtroppo, in Francia. Di fronte all’attacco a due concittadini, la Francia, unanime, risponde: ‘Noi non lo meritiamo, ci dovete un trattamento speciale. Noi non abbiamo mai approvato la guerra in Iraq, noi conduciamo in medio oriente una politica favorevole alla sovranità irachena e alla sovranità palestinese. Ci dovete ricompensare: rilasciate gli ostaggi, avete sbagliato obiettivo’. No, purtroppo, per la Francia non è la fine dell’innocenza. All’indomani dell’assassinio di un giornalista italiano, la Francia rivendica uno statuto speciale". La prima richiesta dei rapitori è stata di abrogare la legge che vieta il velo islamico nelle scuole francesi. Si tratta di un pretesto, di una provocazione, di una dichiarazione di guerra? "E’ uno degli effetti della planetarizzazione. Nel nostro mondo senza frontiere non ci sono soltanto medici senza frontiere, farmacisti senza frontiere o umanitari senza frontiere: ci sono anche fatwa senza frontiere. Gli integralisti non temono di fare la guerra agli ebrei e ai crociati dovunque e con i loro mezzi. I rapitori iracheni si sono davvero sentiti offesi dalla legge francese contro l’ostentazione di simboli religiosi nelle scuole. Aggiungo che i musulmani francesi si erano premuniti di dire su tutte le Cnn del mondo arabo che questa legge stigmatizzava l’islam, con gran disprezzo per la verità. Quando la legge era in discussione, il rappresentante della tendenza più estremista del Consiglio francese del culto musulmano aveva dichiarato che l’esclusione delle ragazze velate dalle scuole era per i musulmani l’equivalente della stella gialla per gli ebrei, ricevendo il sostegno di giornalisti e intellettuali progressisti. E’ una menzogna. Questa legge può certo essere criticabile, ma in nessun caso stigmatizza l’islam, in quanto vieta di ostentare tutti i simboli religiosi, e non dovunque, ma all’interno delle scuole, ovvero in un luogo specifico. Molti hanno dimenticato che la laicità francese è stata ben più severa e feroce con la Chiesa cattolica di quanto non lo sia con l’islam. Oggi viviamo le deliranti ricadute della critica riduttrice e falsa di questa legge e gli effetti perversi della dissoluzione tecnologica di ogni frontiera e di ogni sovranità".
Hamas ha detto che è stato un qui pro quo
La reazione francese ha colpito: violento choc nell’opinione pubblica, una mobilitazione imponente e compatta, trattative ai più alti livelli. Secondo molti, la reazione delle autorità italiane davanti al rapimento di Enzo Baldoni non regge il confronto. "Io stesso mi sento parte di questa formidabile mobilitazione, condivido i sentimenti dei miei compatrioti, e ritengo che sia dovere della Francia fare tutto il possibile perché i due giornalisti vengano rilasciati. Quello che assolutamente non condivido è l’autocompiacimento francese. Capisco che la Francia lodi l’unanimità nazionale e che si senta rassicurata dal sentimento di lealtà espresso dai musulmani francesi, ma ritengo osceno che si gioisca ottusamente dell’ondata di simpatia sollevata in tutto il mondo arabo, da quello moderato a quello più integralista. Anch’io mi sarei rallegrato se i rappresentanti del mondo arabo fossero usciti dal loro lungo silenzio sulla barbarie in corso in Iraq e nella cosiddetta resistenza irachena per denunciare la presa di ostaggi in quanto tale. Ma questo non è accaduto: da Arafat ad Hamas passando per la Lega Araba, tutti ci hanno spiegato che si è trattato di un qui pro quo". "Hamas e Arafat non hanno condannato che vengano presi in ostaggio e uccisi dei civili, ma che vengano presi in ostaggio dei francesi, militanti contro la guerra. E non solo il governo francese, pienamente sostenuto dai media, accetta questo tipo di ragionamento, ma lo fa proprio per bocca del ministro degli Esteri. In un’intervista ad al Jazeera, Michel Barnier ha ben spiegato che gli appelli alla liberazione degli ostaggi arrivati dall’insieme dei paesi arabi e musulmani, di qualsiasi sensibilità e orizzonte, premiano ‘quello che fa da lungo tempo la Francia nella regione, in Iraq e in Palestina, per la dignità, la libertà e la sovranità dei popoli’. Lo stesso ministro degli Esteri ha reclamato la liberazione degli ostaggi facendo riferimento alla politica francese, dissociandosi in questo modo da tutti gli altri paesi i cui cittadini hanno subito o subiranno la stessa sorte, nepalesi, americani, inglesi o italiani. Sono sbalordito che si possa ricorrere al bel principio della libertà e della sovranità dei popoli, nel momento stesso in cui si dice alla forza bruta: ‘Sono dalla tua parte, hai sbagliato obiettivo’. Questa è la Francia di oggi: più agisce come Pétain, più prende arie da De Gaulle. Qualunque sia l’esito dell’affare – e voglio ribadirlo ancora una volta, mi auguro con tutto il cuore che tutto si risolva presto e bene – la logica terrorista avrà vinto. Perché sospendere le distinzioni tra il civile e il militare è una logica terrorista. La Francia reclama la propria indipendenza dalla politica americana, ma cade nella dipendenza dalla barbarie, nella misura in cui noi stessi, oggi, ragioniamo in base a una logica barbara". Nel momento in cui la Francia negozia per la liberazione di due concittadini, in Ossezia centinaia di ostaggi, bambini soprattutto, muoiono in una scuola. Anche in questo caso, una pratica senza frontiere? "Constato che oggi la presa di ostaggi si banalizza, anche a causa dei discorsi di chi ne è vittima. Il telegiornale dell’una sull’emittente pubblica France 2 si è aperto con un dibattito dal titolo: ‘Putin, criminale di guerra?’. E’ seguito l’intervento dell’ex leader sindacale Marc Blondel che ha spiegato come la presa in ostaggio dei due francesi sia la diretta conseguenza della guerra di Bush. Non voglio certo dire che il comportamento delle autorità russe o del presidente americano non si debbano analizzare e criticare, ma colpisce la grande difficoltà dell’occidente di accettare di avere nemici. L’occidente non sa pensare il proprio nemico". Ma questo nemico non è oggettivamente difficile da pensare? Per molti il terrorismo fondamentalista ha scatenato una guerra civile all’interno del mondo arabo, colpendo soprattutto i moderati, i laici, nostri naturali alleati. "In teoria è cosí, ma nei fatti i moderati si sono allineati sulla linea degli estremisti. A mia conoscenza finora nessuno ha condannato la presa di ostaggi in quanto tale, ma la presa di ostaggi francesi. Nessuno ha detto: ‘Abbiamo reagito tardi, ma questa volta saremo impietosi’, al contrario hanno promesso di riaddormentarsi non appena la Francia sarà tranquilla. All’ombra di un’apparente moderazione, prospera l’estremismo. E anche quelli che lottano dall’interno contro i propri estremisti, parlano lo stesso linguaggio barbaro. E’ in termini barbari che è stata denunciata la barbarie dei terroristi, perché è barbarie considerare la presa di ostaggi come mezzo di lotta legittima. I rappresentanti dell’islam francese hanno difeso a Baghdad la legge sulla laicità, dimostrando di essere dei repubblicani. Ma quando il nostro ministro degli Esteri reclama uno statuto speciale per la Francia, dimostra che è la Repubblica a essersi schierata sotto lo stendardo dell’integralismo". Il presidente del Senato italiano Marcello Pera ha parlato delle necessità di una solidarietà occidentale. "Se vogliamo evitare " di entrare nella logica degli integralisti e di alimentare quello che chiamano lo scontro di civiltà, basta pensare semplicemente che si tratta di una guerra ‘alla’ civiltà, in quanto tale. La criminalizzazione della presa di ostaggi è una conquista della civiltà, non soltanto occidentale. Per questo si deve criticare senza condiscendenza l’attuale posizione della Francia. Posso comprendere che in Italia qualcuno abbia reagito con ammirazione o invidia davanti alla formidabile mobilitazione della nostra classe politica, mentre in Sardegna un primo ministro in bandana faceva gli onori di casa a un Tony Blair a bocca aperta. Capisco la vergogna che possono aver provato gli italiani, ma dico loro di non ammirare il comportamento dei francesi, che da un punto di vista filosofico ‘giustifica’ l’esecuzione di Baldoni. Se si devono rilasciare gli ostaggi francesi in nome della politica francese, allora significa che bisognava uccidere l’ostaggio italiano a causa della politica italiana: è un ragionamento vergognoso. Se l’Europa fosse qualcosa di diverso da un ectoplasma occupato unicamente a verificare i criteri di Maastricht, imporrebbe il rispetto di criteri di umanità e solidarietà. Trovo che il clima in Francia sia irrespirabile". Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione de Il Foglio. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.