martedi` 26 novembre 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






Il Foglio Rassegna Stampa
07.09.2004 Dimenticare Maalot e l'Algeria
terrorismi passati sotto silenzio

Testata: Il Foglio
Data: 07 settembre 2004
Pagina: 1
Autore: un giornalista - Carlo Panella
Titolo: «Il precedente del 74 - Non c'entrano Bush e Sharon, allora non si parla di terrore algerino»
Nell'articolo "Ma'alot prima di Beslan", pubblicato da Informazione Corretta dello 06-09-04, abbiamo ricordato la strage compiuta da terroristi palestinesi in una scuola israeliana nel 1974, tragico precedente della strage di Beslan. Soltanto Il Giornale la aveva ricordata. Oggi, 07-09-04, lo fa Il Foglio, in una perfetta ricostruzione che di seguito riproduciamo.
New York. La strage di bambini della scuola numero uno di Beslan, in Ossezia del nord, non è la prima nella storia del terrorismo moderno. Trent’anni fa, a Maalot, tre guerriglieri palestinesi del Fronte democratico di liberazione della Palestina (Fdlp) uccisero 21 liceali israeliani e i loro tre insegnanti, prima di essere a loro volta ammazzati dai soldati d’Israele. Era il 15 maggio 1974. Ricorreva il 26° anniversario dell’indipendenza d’Israele. Era un giorno di festa, il primo dopo la guerra del Kippur, scoppiata l’autunno precedente. La bella cittadina di Maalot si trova nella Galilea occidentale, a meno di un’ora di auto da Haifa. Era stata fondata negli anni Cinquanta, quando centinaia di migliaia di ebrei dovettero scappare dai paesi arabi nordafricani
ostili e rifugiarsi in Israele. Il governo li accolse costruendo nuovi insediamenti: Maalot era uno di questi. Un gruppo di studenti della scuola media superiore di Safed era in gita verso l’altopiano del Golan, dove per il giorno seguente erano previste lunghe camminate. Quella notte i ragazzi erano ospiti di una scuola a Maalot: dopo aver mangiato i giovani si sistemarono sul pavimento con i loro sacchi a pelo, cantarono fino a notte inoltrata e poi si misero a dormire. I terroristi palestinesi intanto, nascosti nei paraggi, li tenevano sotto osservazione. Per non essere riconosciuti si erano travestiti con uniformi dell’esercito israeliano. Scesero verso Maalot attraversando la frontiera dal Libano, penetrarono nella cittadina addormentata e attaccarono la scuola. Per entrare nell’edificio uccisero un guardiano e qualche ragazzo. Alcuni degli studenti riuscirono a scappare saltando da una finestra al secondo piano, ma a decine vennero presi come ostaggi. Era la prima volta che accadeva nella storia di Israele. Il mattino dopo i terroristi vennero identificati come appartenenti all’Fdlp. E’ questo un gruppo marxista-leninista esistente ancora oggi, guidato dall’intellettuale palestinese cattolico Nayef Hawatmeh, 67 anni, che si staccò dal Fronte popolare per la liberazione della Palestina del dottor George Habbash nel 1969. Alla base della separazione c’erano dispute dottrinarie tra fazioni entrambe filosovietiche: questi due gruppi, infatti, pur facendo parte dell’Olp, si distinguevano dal Fatah di Yasser Arafat perché non si limitavano a combattere per l’indipendenza della Palestina, ma miravano a una rivoluzione comunista panaraba. Hawatmeh continua ancora oggi a guidare da Damasco il suo Fdlp, che dal 1999 è stato tolto dalla lista delle organizzazioni terroristiche compilata dagli Stati Uniti: la Siria finanzia il gruppo, che si è opposto agli accordi di Oslo. Nel febbraio del 1999 Hawatmeh aveva addirittura stretto la mano dell’allora presidente israeliano, Ezer Weizman, ai funerali di re Hussein di Giordania ad Amman. Allo scadere dell’ultimatum Una volta preso possesso della scuola di Maalot, i terroristi esplicitarono la loro richiesta: chiedevano la liberazione di tutti i guerriglieri palestinesi detenuti nelle carceri israeliane. L’ultimatum non lasciava tempo: il governo avrebbe dovuto soddisfare le richieste entro le ore 18 dello stesso giorno: "Dopodiché cominceremo a uccidere i ragazzi". La Knesset, il parlamento israeliano, si riunì immediatamente in una seduta d’emergenza, convocata dal governo presieduto da Golda Meir. La politica ufficiale proibiva ogni trattativa con i terroristi, ma il coinvolgimento di giovani ragazzi rese accettabile un’eccezione. Alle 15 dello stesso giorno il governo optò per la negoziazione, anche se i terroristi rifiutarono di prorogare il termine. Un quarto d’ora prima della scadenza dell’ultimatum la brigata di fanteria d’élite Golani attaccò l’edificio in cui erano asserragliati il commando e gli ostaggi. Fu una carneficina. I terroristi, prima di venire tutti uccisi, ammazzarono 24 ostaggi e ne ferirono 134. I ragazzi si nascondevano sotto i banchi, urlavano di paura. I guerriglieri li cercavano uno a uno, li trovavano e li scannavano come bestie. In Israele si accesero le polemiche fra i sostenitori della linea morbida e quelli che si opponevano alla negoziazione con critiche "tecniche" all’attacco delle forze speciali. Hawatmeh organizzò a Beirut una serie di dimostrazioni in onore dei fedayn caduti, definiti "nobili martiri". Quella fu infatti una delle prime volte in cui i sequestratori erano disposti al suicidio: avevano dislocato nell’edificio alcune bombe in caso di attacco, e avevano fin da subito dichiarato le loro intenzioni estreme. Nonostante il tragico bilancio, Israele imparò la lezione: raffinò i metodi per sventare questa tipologia di attacco e, due anni dopo, riuscì a salvare tutti gli ostaggi con l’operazione "Entebbe", quando, in Uganda, alcuni palestinesi dirottarono un aereo.
A pagina 2, l'articolo di Carlo Panella "Non c'entrano Bush e Sharon, allora non si parla di terrore algerino", ricorda le efferate imprese del terrorismo fondamentalista algerino, le cui cause non possono in alcun modo essere fatte risalire alla politica americana in Iraq o alla sovrapposizione fra islamismo e questioni nazionali.
Forse per questo si tace delle centinaia di vittime fatte anche quest'anno da un conflitto non meno sanguinoso di quello iracheno.
Ecco il pezzo:

Roma. Una famiglia di cinque pastori inermi è stata massacrata venerdì scorso all’arma bianca: centoquaranta i morti per terrorismo islamico nei primi tre mesi del 2004; quaranta ad aprile 2004; ottanta a giugno 2004; più di quattrocento da gennaio a oggi; novecento i morti nel 2003. Questo, non in Iraq. Non in Cecenia. In Algeria. Ma non se ne parla, non se ne scrive sui giornali. Eppure, le notizie di questa strage continua sono diffuse con regolare cadenza dalle agenzie di stampa. Questa impressionante contabilità delle vittime è aggiornata con pignola solerzia. Ma i mass media non ne parlano. Eppure, si tratta di cifre assolutamente equivalenti a quelle dell’Iraq ed esprimono con crudezza la profondità e l’estensione del terrorismo in Algeria: provengono da un paese dove c’è stata una vera e propria guerra civile che ha fatto tra il 1991 e il 1998 tra i cento e i centocinquantamila morti che sono lì a indicare che quella guerra civile non è affatto finita, a differenza di quello che pensa il fondatore di Repubblica, che in un editoriale domenica sosteneva che il terrorismo in Algeria si placò quando se ne andarono i francesi. Il terrorismo islamico nel paese si è cronicizzato, impiantato e ha straordinarie capacità d’azione. Questo strano silenzio sulla vitalità del terrorismo islamico in Algeria ha molte ragioni, ma una supera le altre: la sua stessa esistenza, la sua origine, smentiscono tutte le analisi correnti. In particolare due: tra tutte le ragioni della sua nascita e attività, neanche con i maggiori sforzi è possibile tirare in mezzo Stati Uniti (e tantomeno l’Amministrazione di George W. Bush) e ancora meno Israele, nei cui confronti gli algerini sono prodighi di odio, mentre non hanno mai mosso un dito per dare una mano ai palestinesi (alla fine degli anni 80, due reparti dell’esercito algerino, che forse avrebbero dovuto andare in Libano per proteggere i campi profughi, fecero sapere che si sarebbero ammutinati se fosse arrivato l’ordine di imbarcarsi; l’ordine non arrivò mai). Il potere, il governo contro cui i terroristi algerini combattono, che ha guidato la società che li ha partoriti, è stato per trenta anni il pupillo, il prediletto dalla gauche mondiale, il campione del "fronte antimperialista". E’ stato il politicamente correttissimo sistema oligarchico- ditattoriale quarantennale del Fnl, diorigine nasseriana, identico, insomma, a quello dell’Olp di Yasser Arafat, che riuscì a strappare l’indipendenza dalla Francia nel 1962 dopo una guerra di liberazione che fece un milione di morti. Peggio: il Fnl vinse quella sua guerra, non con la guerriglia contadina, ma con una martellante azione di terrorismo urbano, essenzialmente contro i civili, contro caffè, bar, cinema dei coloni francesi, dei pieds noir. Quest’attività terroristica era approvata in pieno dalle sinistre europee (non dal Pcf, che per anni sostenne che l’Algeria era "territorio metropolitano francese" e lottava contro il Fnl), e italiane, compresa la Dc, con Enrico Mattei, presidente dell’Eni che forniva generosi – e interessati – finanziamenti ai dinamitardi algerini. Il terrorismo islamico algerino, ampiamente insuperato per la sua vitalità, la sua longevità, il numero dei morti che miete, insomma, è la prova che è la società arabomusulmana,
anche quella più "laica e moderata", senza "contaminazioni imperialiste
o globaliste" a produrlo, a generarlo, a non saperlo stroncare. Né vale la spiegazione che la sua resistenza sia dovuta alla capacità di intrecciarsi con questioni nazionali interne. Perché è vero che il numero relativo più grande di morti negli ultimi due anni si è avuto in Cabilia, regione abitata da berberi, che parlano una lingua propria, il Tamazight, che lottano per la propria autonomia, ma è altrettanto vero che azioni terroristiche si sono avute in tutto il paese, anche nel centro di Algeri e in città che distano centinaia di chilometri dalla capitale, a Tebessa, nella foresta di Chrea, nella regione di Buira, 120 km a sud-est di Algeri, a Zubiria, nella regione di Medea, a
Larba. Poco importa che la leadership del principale gruppo terrorista sia di Abdelber Abu Omar, guida religiosa del Gspc, Gruppo salafita per la predicazione e il combattimento del leader storico Nabil Sarhaoui,
quello che conta è che tutti sono gruppi "salafiti" e che hanno lo stesso, identico credo fondamentalista dei gruppi che operano in Iraq. Importa ancora di più che siano stati proprio loro, gli algerini, ad aprire la strada di un rapporto con i media fatto di rapimenti ed uccisioni, per intimorire, condizionare, punire. La stessa strada che oggi i loro emuli seguono in Iraq.
Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione de Il Foglio. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.

lettere@ilfoglio.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT