La politica estera di George W. Bush nel discorso alla convention repubblicana
Testata: Il Foglio Data: 07 settembre 2004 Pagina: 1 Autore: George W. Bush Titolo: «Il credo di GWB»
Pubblichiamo, nell'imminenza delle elezioni presidenziali americane, un importante documento: George W. Bush spiega la sua politica estera in una parte del discorso alla convention repubblicana. Ripresa dal Foglio 04-09-04 Tre giorni dopo l’11 settembre ero sul luogo dove tanti americani erano morti, tra le rovine delle torri gemelle. Degli operai con il casco in testa mi gridavano: "A ogni costo". Un tipo mi ha preso per il braccio e mi ha detto: "Non mi abbandonare". Da quel giorno mi sveglio ogni mattina pensando che cosa fare per proteggere meglio il nostro paese. Non cederò mai nella difesa dell’America… a ogni costo. Per questo abbiamo combattuto i terroristi in tutto il mondo, non per orgoglio, non per sete di potere, ma perché sappiamo che è in gioco la vita dei nostri concittadini. (…) Stiamo lavorando per far avanzare la libertà nel grande medio oriente, perché la libertà porterà con sé un futuro di speranza e la pace che noi tutti vogliamo. E ce la faremo. La nostra strategia sta avendo successo. Quattro anni fa l’Afghanistan era la base di al Qaida. Il Pakistan era terra di transito per i gruppi terroristici. L’Arabia Saudita rappresentava un terreno fertile per rastrellare fondi destinati ai terroristi. La Libia stava segretamente approntando armi nucleari, l’Iraq era una continua minaccia. E al Qaida era ancora libera di pianificare i suoi attacchi. Oggi il governo di un Afghanistan liberato combatte contro il terrore. Il Pakistan si attiva per catturare i leader del terrorismo. L’Arabia Saudita fa operazioni di polizia ed esegue arresti. La Libia sta smantellando i suoi programmi militari. L’esercito del libero Iraq sta combattendo la sua battaglia per la libertà. E più di tre quarti dei membri chiave e degli affiliati di al Qaida sono stati catturati o uccisi. Noi siamo stati i primi, altri ci hanno seguito, e sia l’America sia il mondo sono oggi più sicuri. Questo processo ha coinvolto sia l’utilizzo di un’attenta attività diplomatica sia uno scopo morale e alcune dure decisioni. La più dura ha riguardato l’Iraq. Sapevamo che Saddam Hussein aveva un bel record di orrori, aggressioni e appoggio al terrorismo. Conoscevamo la sua costante inclinazione allo sviluppo, persino all’utilizzo di armi di distruzione di massa. E sappiamo che dopo l’11 settembre è necessario che il nostro paese cambi modo di pensare. Dobbiamo e vogliamo affrontare le minacce all’America prima che sia troppo tardi. Per noi Saddam Hussein costituiva una minaccia. (…) E io mi sono trovato ad affrontare il tipo di decisioneche si deve prendere solo nella sala ovale, una decisione che nessun presidente vorrebbe prendere, ma che deve essere preparato a dover prendere: "Dimentico la lezione dell’11 settembre e mi fido della parola di un pazzo… Il pubblico: No! (Bush) … o mi attivo per difendere il mio paese? Di fronte a questo tipo di decisione, ogni volta opterò per difendere l’America. Proprio perché ci siamo attivati a difendere il nostro paese, i regimi assassini di Saddam Hussein e dei Talebani fanno ormai parte del passato, più di 50 milioni di persone sono state liberate e la democrazia sta arrivando (…) Le società libere in medio oriente saranno società che nutrono speranze e quindi non rancori che servono a coltivare violenza da esportare. I governi liberi in medio oriente potranno combattere i terroristi invece di dare loro rifugio. E ciò ci aiuterà a mantenere la pace. (…) I nostri soldati conoscono l’importanza storica del nostro impegno. Un nostro soldato ha scritto a casa: "Stiamo trasformando una società un tempo malata in un posto che offre speranza. I vari gruppi terroristici che stiamo affrontando in Iraq – continua nella sua lettera – in realtà hanno nel mirino i cittadini che vivono negli Stati Uniti. Questa è una prova di carattere per il nostro paese. Noi, i vostri soldati, stiamo battendoci alla grande e ottenendo vittorie nella lotta contro malvagi terroristi". Quel giovane soldato ha ragione. I nostri concittadini, uomini e donne, in uniforme stanno facendo un gran bel lavoro per l’America. Stanotte voglio rivolgermi a tutti loro e alle loro famiglie: state combattendo una battaglia di proporzioni storiche. Grazie al vostro lavoro e ai vostri sacrifici stiamo battendo i terroristi proprio dove vivono e agiscono, e voi rendete l’America più sicura. (…) Grazie a voi il mondo è più giusto e più in pace. (…) Anche i nostri alleati conoscono l’importanza storica del nostro lavoro. Circa 40 nazioni ci appoggiano in Afghanistan e quasi 30 in Iraq. Apprezzo moltissimo il coraggio e i saggi consigli di leader come il primo ministro Howard, il presidente Kwasnieswski, il primo ministro Berlusconi e, naturalmente, del primo ministro Tony Blair. (…) Io rispetto ogni soldato, di ogni paese, che presta servizio al nostro fianco in questo duro lavoro della storia. L’America è grata, e l’America non dimenticherà. (…) Altri comprendono l’importanza storica del nostro lavoro. I terroristi lo sanno. Sanno che una democrazia viva ed efficace nel cuore del medio oriente screditerà la loro ideologia radicale dell’odio. Sanno che gli uomini e le donne che hanno speranze, obiettivi e dignità non si legano bombe al corpo per uccidere persone innocenti. I terroristi combattono la libertà con tutta l’astuzia e la crudeltà di cui dispongono, perché la libertà è ciò che temono di più. E dovrebbero sentirsi preoccupati, perché la libertà progredisce. Credo nel potere di trasformazione della libertà. L’uso più saggio della forza americana consiste nel far avanzare questo valore. Se i cittadini di Afghanistan e Iraq sapranno cogliere l’occasione, il loro esempio sarà un messaggio di speranza che si diffonderà in una regione vitale. I palestinesi sentiranno che la democrazia e la riforma sono alla loro portata, così come la pace con Israele, nostro buon amico. Le giovani donne del medio oriente vedranno avvicinarsi il giorno in cui otterranno uguaglianza e giustizia. I giovani uomini capiranno che la dignità e il progresso della nazione sono fondati sulla libertà, non sulla tirannia e sul terrore. I riformatori, gli esuli e i prigionieri politici sentiranno che il sogno di libertà non potrà essere negato loro per sempre. Con il progredire della libertà, cuore dopo cuore, nazione dopo nazione, l’America sarà più sicura, il mondo più pacifico. L’America ha già agito in questo senso in passato e c’è sempre stato chi ha dubitato. Nel 1946, 18 mesi dopo la caduta di Berlino in mano alle forze alleate, un giornalista scrisse sul New York Times: "La Germania è un paese che sta attraversando una fase acuta di crisi economica, politica e morale. Le capitali europee hanno paura. In ogni quartier generale militare ci sono ufficiali allarmati, che tentano con ogni mezzo di fronteggiare le conseguenze della politica di occupazione che – ammettono – è stata un fallimento". Così conclude la citazione. Forse, quella stessa persona scrive articoli ancora oggi. Fortunatamente avevamo Truman, un presidente risoluto che ha perseverato insieme al popolo americano, sapendo che una nuova democrazia al centro dell’Europa avrebbe portato stabilità e pace. E proprio perché quella generazione di americani ha tenuto duro nella causa della libertà, oggi viviamo in un mondo migliore e più sicuro. Le tirannie del XX secolo Il progresso che noi e i nostri amici e alleati perseguiamo nel grande medio oriente non sarà facile da conquistare, né immediato. Eppure gli americani – tra tutti i popoli –non dovrebbero mai sorprendersi del potere della libertà di trasformare vite e nazioni. Quel potere ha indotto i colonizzatori a intraprendere viaggi pericolosi, ha ispirato le colonie alla ribellione, ha posto fine al peccato della schiavitù e ha contrapposto la nostra nazione alle tirannie del XX secolo. E’ stato per noi un onore contribuire all’ascesa della democrazia in Germania, Giappone, Nicaragua, Europa Centrale e nei Paesi Baltici, e quella nobile storia continua. Credo che l’America sia chiamata a patrocinare la causa della libertà nel nuovo secolo. Credo che milioni di persone in medio oriente implorino la libertà in silenzio. Credo che – se ne avranno la possibilità – queste persone aderiranno alla forma più giusta di governo che l’uomo abbia ideato. Credo tutte queste cose, perché la libertà non è un dono dell’America al mondo: è il dono dell’Onnipotente a ogni uomo e donna del mondo. Questo momento nella storia del nostro paese sarà ricordato. (…) Le generazioni future sapranno se abbiamo colto questa opportunità per costruire un futuro di sicurezza e di pace. La libertà di molti e la futura sicurezza della nostra nazione ora dipendono da noi. E stasera, amici americani,vi chiedo di essere dalla mia parte. Negli ultimi quattro anni, abbiamo avuto modo di conoscerci. Anche quando non condividiamo le stesse opinioni, sapete almeno cosa penso e credo. Avrete notato che ho anche alcuni difetti. Talvolta il mio inglese deve essere corretto. (…) C’è chi, osservandomi, nota una certa andatura, in Texas è chiamata "camminata". A volte, sembro un po’ troppo schietto, e di questo possiamo tutti ringraziare la signora canuta che siede laggiù. Una cosa che ho imparato sulla presidenza è che la gente nota qualunque tua mancanza. E che ogni forza disponibile diventa indispensabile. (…) Ho imparato in prima persona che mandare gli americani a combattere è la decisione più difficile da prendere, anche quando è quella giusta. Ho risposto al saluto di soldati feriti, alcuni con un futuro molto doloroso, che sostengono di aver fatto semplicemente il proprio dovere. Ho abbracciato i figli dei caduti, ai quali è stato detto che la madre o il padre è un eroe, ma che avrebbero preferito che i familiari fossero ancora vivi. Ho incontrato genitori, mogli e mariti che hanno ricevuto una bandiera piegata e hanno dato l’estremo saluto a un soldato che amavano. Mi confonde il fatto che tante persone, in quelle occasioni, abbiano detto che pregano per me e mi abbiano offerto parole d’incoraggiamento. Da dove nasce una tale forza? Com’è possibile che persone oppresse da simili sofferenze riescano a sentire tanto orgoglio? È perché sanno che i loro cari sono caduti compiendo una buona azione, perché sanno che la libertà era un bene prezioso per i loro morti. E in quelle famiglie di militari ho visto il carattere di una grande nazione: decorosa, idealista e forte. (…) C’è un tempo per ogni cosa… un tempo per la tristezza, un tempo per la lotta, un tempo per la ricostruzione. E adesso, è il tempo della speranza. Questo giovane secolo sarà il secolo della libertà. Promuovendo la libertà all’estero, costruiremo un mondo più sicuro. Incoraggiando la libertà nel nostro paese, costruiremo un’America più ottimista. Come le generazioni che ci hanno preceduto, la lotta per la libertà è una chiamata che abbiamo ricevuto dall’alto. Questo è l’eterno sogno americano. E questa sera, qui, quel sogno si rinnova. Procediamo, grati della libertà che ci è concessa, fedeli alla nostra causa e fiduciosi nel futuro della più grande nazione del pianeta. (trad. Giovanna Bellasio e Studio Brindani) Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione de Il Foglio. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.