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La Stampa Rassegna Stampa
01.09.2004 La strategia di Hamas e di Arafat dietro la strage di Beersheva
l'analisi di Fiamma Nirenstein

Testata: La Stampa
Data: 01 settembre 2004
Pagina: 3
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «Una sfida al ritiro da Gaza e alla leaderhip di Arafat»
A pagina 3 de La Stampa Fiamma Nirenstein firma l'articolo "Una sfida al ritiro da Gaza e al potere di Arafat, un'analisi dell'attentato di Beersheva nel quadro della strategia politica di Hamas.
Analisi attenta e motivata il cui contenuto appare però distorto dal titolo scelto dalla redazione: se è vero infatti che la Nirenstein legge l'attentato come funzionale alla volontà di Hamas di assumere un ruolo di leadership a Gaza,in alternativa ad Arafat è anche vero che individua i quest'ultimo colui che avrebbe potuto bloccare la strage e non l'ha fatto: "una delle sue mille mosse degli ultimi giorni", volte a conservare e consolidare il proprio potere.
Anche la ripresa dell'espressione "purezza delle armi" nel sottotitolo è furinte: nel testo l'autrice precisava "se si può applicare questa espressione a gesti vili e ripugnanti come il terrorismo". Di questa riserva non c'è traccia nel sottotitolo, che dunque non rispetta il contenuto dell'articolo.
Ecco il pezzo:

I due orripilanti attentati di Beersheba si pongono nella tradizione del terrorismo più accurato, della saga strategica del sangue innocente versato quanto più largamente possibile in momenti delicati, della mossa crudele ma ponderata,che ne chiama altre e provoca reazioni e ristabilisce un clima in cui ci si può aspettare di tutto e si rimescolano le carte.
Lo sfondo dell’attentato di ieri, il primo grande attacco suicida riuscito da mesi, ha tre aspetti. Prima di tutto,il previsto sgombero da Gaza e da parte della Cisgiordania degli insediamenti israeliani. Domenica il Consiglio di Sicurezza aveva fronteggiato (letteralmente, dato che gli scontri fra il primo ministro e alcuni dei suoi oppositori erano stati duri come non mai) un Ariel Sharon deciso a tutto pur di stringere i tempi e portare a termine il suo piano. Il 24 ottobre ha detto «Arik» la riunione programmatica decisiva del Consiglio, il 13 novembre la ratifica del parlamento, e a febbraio, un mese prima del previsto, lo sgombero. Era anche stato stabilito che la polizia, e non l’esercito, dovrà materialmente sgomberare i coloni renitenti alla legge, in modo che non si crei la sensazione della guerra civile.
Arafat è del tutto contrario alla prospettiva dello sgombero, che, come primo risultato, può sottragli il controllo diretto della Striscia e la consegna a chi, sul posto, come Mohammed Dahlan o Hamas può gestire il territorio e i relativi poteri ad essi connessi; in generale, salvo che per i pochi riformisti che desiderano un autentico passaggio di potere che costringa l’Autonomia a gestire il potere in funzione interna e non solo dell’Intifada, nessuno fra i palestinesi desidera fino in fondo il disimpegno. Esso infatti viene visto come una scelta riduttiva, parziale, insufficiente rispetto al problema nazionale palestinese, e diventa quindi un’ammissione di sconfitta l’accettarlo. Dunque, la tendenza a destabilizzare Sharon è netta: e infatti gli attentati già hanno mobilitato la destra che già punta l’indice, ancora più dura, sul programma del primo Ministro: «Vogliamo dargli i Territori per premiarli dei morti e dei feriti di oggi?», dice Uzi Landau, il capo della fazione del Likud antagonista.
In secondo luogo, se la rivendicazione di Hamas è realistica, e ha un senso il suo richiamo di nuovo allo sceicco Yassin, se è vero che il nome di uno dei terroristi suiciidi è quello di Ahmad Abed el Khawasme, un membro del Gotha di Hamas, comandato, pare, da Ibrahim Hamed, parente di Khaled Mashal, il capo di Hamas con sede a Damasco, questo significa che Hamas si è ripresentato in grande stile per ricandidarsi a una leadesrhip generale e semmai anche al governo di Gaza. Ci sono state molte settimane di scontro duro fra le varie fazioni di Fatah, un misero reciprico attaccarsi senza costrutto sui temi della corruzione e della povertà strategica. Ma mentre tutti si agitavano Hamas, questo è il messaggio dell’attentato di ieri, seguitava a lavorare sotterraneamente contro il vero nemico, Israele, senza macchiarsi nelle beghe interne.
Il grande attentato di ieri suona dunque anche come un’alternativa di leadership basata sulla purezza delle armi, se si può applicare questa espressione a gesti vili e ripugnanti come un attentato terroristico. D’altra parte, l’attacco sarebbe anche parte di un piano generale per creare confusione e ritardi: Arafat è sempre colui che se non dà una diretta luce verde pure, perchè si possa agire, non solleva una paletta rossa. Se lo fa, nessuno si muove. E in questo caso è dunque permesso pensare che l’attacco di Beersheba sia una delle sue mille mosse degli ultimi giorni: incontrare tre volte Mahmoud Dahlan, mandare il primo ministro Ahmed Qreia al Cairo con promesse di riforme, rimettere in circolazione persino Abu Mazen, spedire un gruppo di inviati a Ginevra per denunciare le condizioni dei prigionieri palestinesi, preparare un programma di riforme rifiutando tuttavia che a gestirlo sia chicchessia, e persino condannare, come del resto ha fatto anche Hamas il rapimento dei due giornalisti francesi in Iraq. Stiamo assitendo a manovre a tutto campo per evitare lo sgombero oppure, in caso di necessità, di gestire il potere territoriale che ne deriverà.
Ultimo punto, ma certo molto importante: il recinto di difesa non era stato ancora costruito nell’area di Beersheba. Mentre il nord e il centro, attaccate centinaia di volte, hanno già lunghi chilometri di recinto e alcuni chilometri di muro lungo la statale numero 6 e vicino a Gerusalemme, la zona del sud è scoperta, e i palestinesi provenienti da sud di Hebron entravano con una certa facilità in Israele. Adesso le cose cambieranno. Oltretutto, il recinto così come è progettato passa quasi in coincidenza della Linea Verde, e quindi non dovrebbero sussistere impacci giuridici perchè Sharon ordini una grande accelerazione dei lavori. Questo è stato uno dei temi principali di ieri. Il Ministro della Polizia Tzachi a Neghbi ha ripetuto più volte: «la mia esperienza mi suggerisce una cosa molto semplice: dove c’è il recinto non ci sono attacchi terroristici, dove invece non c’è , il terrorismo uccide».
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