Nel kibbutz dove si insegna a "morire con onore" un articolo di Marco Ansaldo
Testata: La Repubblica Data: 30 agosto 2004 Pagina: 17 Autore: Marco Ansaldo Titolo: «Israele, il kibbutz che insegna a morire»
A pagina 17 di Repubblica di oggi, 30-08-04, Marco Ansaldo firma l'articolo «Israele, il kibbutz che insegna a morire "Primo: chiudere il cerchio della vita" », che di seguito riproduciamo.
TIBERIADE (Israele) - Abbiamo chiuso il cerchio della nostra vita? O abbiamo ancora dei rimpianti? E allora non è il momento di affrontare quella cosa inevitabile che è la morte, e prenderla di petto? Sono queste le domande che ci si pone in una casa immersa nel verde e non lontano dal mare, nei pressi del primo kibbutz fondato in Israele, quello di Moshe Dayan: la scuola dove si impara a morire. Lungo la valle del Giordano, a sud del lago di Tiberiade, nella classe della numerologa Noa Ilan ci sono 14 alunni. Hanno tutti fra i 70 e i 90 anni. In maggior parte donne, gli uomini sono appena uno o due e non partecipano sempre. Qui si «studiano» le morti più diverse. Per incidente. Per malattia. O semplicemente per vecchiaia. E le diverse fasi in cui il corpo si corrompe e «l´anima finisce per distaccarsi». Noa ha 54 anni e ne dimostra dieci di meno. Capelli rossi sciolti, collana rosa con portafortuna al collo, tiene questo corso da 8 anni. «Tento di insegnare alla gente a morire in modo onorato - dice - perché c´è molto onore nella morte. Le ultime parole di una persona che sta per lasciare questa terra sono un´esperienza molto forte, significativa. Non c´è niente di peggio di un vecchio che muore amareggiato». Un incontro a settimana di un paio d´ore, per nove mesi all´anno. Noa lo definisce un corso di mistica, «destinato a portare i partecipanti a una accettazione della loro vita, di cui la morte diviene un momento inevitabile, di completamento». Soprattutto nelle prime lezioni, per risvegliare l´interesse di allievi non sempre disposti a discorsi mistici o religiosi, usa la numerologia, cioè l´analisi della personalità basata sul valore numerico del proprio nome e data di nascita. Gli studenti mettono le sedie in circolo. C´è Aviva, 75 anni, nata in Egitto e arrivata in Israele dopo la guerra. Meriam, 70 anni, genitori polacchi, fondatrice di un altro kibbutz. E Mira, 73 anni, superstite dell´Olocausto. «Siamo pensionate - racconta Aviva - ma nonostante questo siamo tutte donne ancora molto attive e ben dentro la vita. La nostra generazione è stata educata alla razionalità. L´apertura ai temi sociali si e´ sviluppata solo negli ultimi anni. Il seminario nella Casa dell´Anziano ci ha permesso di sbirciare questa nuova cosa, e credo ci abbia arricchito. Qui parliamo della nostra vita, delle cose fatte, del destino di esseri umani, con uno sguardo rinnovato verso la parte finale dell´esistenza». Si ride, qualche volta si piange, soprattutto si discute. «Siamo fasciati di razionalità e cinismo», ammonisce Mira. «Questo corso però ci ha ammorbidito», replica Pnina. «È meglio prepararsi al passaggio - conclude Noa - poiché se una cosa si conosce, fa meno paura. Così deve essere l´approccio alla morte: deve venire da un luogo della coscienza che è comprensione e accettazione. Non bisogna rimuovere il problema né ignorarlo. Bisogna conoscerlo e riconoscerlo». Dieci anni fa Noa lesse un libro tibetano sulla concezione buddista della vita e della morte. Ne rimase affascinata, e decise di farne partecipi i vecchietti della valle del Giordano non lontani dal suo kibbutz. «Il modo in cui i monaci si avvicinano al momento estremo - spiega - o in cui pensano e preparano la morte mi e´ sembrato unico. Quei religiosi buddisti riescono quasi a individuare e a dirigere il momento in cui moriranno. Tutti i loro cari si siedono attorno a chi sta per andarsene, e lo accompagnano. Vedono la morte come un processo bello e sacro». Dopo qualche lezione gli anziani non si vergognano più di affrontare i propri sentimenti verso la fine. Osano parlare della morte, anche a fronte della vita che hanno vissuto: che cosa hanno raggiunto e se i loro desideri sono stati realizzati, se stanno per separarsi dal mondo con dolore e rimpianto, o se invece hanno imparato ad accettare l´inevitabile. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla direzione de La Repubblica. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.