Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein".
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)
Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine.
Iraq: cosa dimostra l'omicidio di Baldoni, cosa aspettarsi dopo la resa di Moqtada Sadr due analisi
Testata: Corriere della Sera Data: 28 agosto 2004 Pagina: 1 Autore: Angelo Panebianco - Ennio Caretto Titolo: «Gil alibi crollati - Pipes: Il leader dei ribelli va neutralizzato»
In prima pagina sul Corriere della Sera di oggi, 28-08-04, Angelo Panebianco firma l'articolo di fondo "Gli alibi crollati". Della morte di Enzo Baldoni, ricorda Panebianco, possono essere ritenuti responsabili soltanto i terroristi iracheni, che non combattono per "liberare" il loro paese, ma per essere "liberi" di opprimerlo. Verità che non tutti, in Italia, sono disposti ad ammettere. Ecco il pezzo: Il momento di dolore e raccapriccio per l'assassinio di Enzo Baldoni è durato poco. Perché la «politica» (nei suoi aspetti peggiori) ha reclamato subito i suoi diritti. Ed ecco un fiorire di dichiarazioni della sinistra estrema, nelle sue varie componenti, il cui succo è: più che gli assassini materiali, il colpevole è il governo italiano, essendo questo omicidio «il frutto infame di una guerra sbagliata di cui anche il governo Berlusconi è pienamente responsabile». E se i dirigenti della sinistra estrema si lanciavano all'attacco dei «veri responsabili», non da meno si comportava, nei fili diretti radiofonici, la parte del «popolo di sinistra» che sull'omicidio manifestava la propria opinione: c'è in Iraq una guerra di occupazione condotta dagli occidentali, italiani compresi, e Baldoni è una delle vittime. La sinistra moderata fa quel che può per arginare questa ondata, che è sì cavalcata dalla sinistra estrema, ma che coinvolge, presumibilmente, anche una parte del suo elettorato. Così, in una nota della segreteria Ds, dopo parole, che fanno onore a Piero Fassino, di condanna «verso gli autori di questo orrendo assassinio che nessuna ragione politica può giustificare», si cerca di gettare acqua sul fuoco invocando una poco probabile «iniziativa comune» europea e chiedendo al governo italiano di farsene promotore. Le reazioni all'omicidio di Baldoni testimoniano due cose. La prima è che la sinistra moderata non è riuscita a spiegare a settori rilevanti del suo seguito che in Iraq, quali che siano stati gli errori americani, in questo momento non c'è nessuna guerra di occupazione (da parte occidentale) e nessuna guerra di liberazione (da parte irachena). Ci sono, invece, numerose bande di assassini che vorrebbero ottenere il ritiro degli occidentali per impadronirsi dell'Iraq. Per queste bande è vitale impedire che si svolgano le regolari elezioni previste per il gennaio 2006. Esse sanno che il «popolo» non voterebbe per loro. Come prova il fatto che la maggioranza degli iracheni è sciita e gli sciiti, a schiacciante maggioranza, seguono il leader religioso moderato Sistani, non il bandito Moqtada Al Sadr. Né è stato spiegato a sufficienza che la forza multinazionale è ora in Iraq sotto mandato dell' Onu per appoggiare un governo provvisorio che sta cercando faticosamente di rimettere in piedi le istituzioni statali e con l'avallo di quella Conferenza nazionale cui, ad agosto, hanno partecipato i rappresentanti di tutte le etnie e gruppi religiosi della società irachena. Non c'è, al momento, nessuna guerra di occupazione (e le modalità stesse dell'omicidio di Baldoni lo provano). C'è il tentativo di non abbandonare l'Iraq in mano a minoranze armate e di non fare incagliare il processo di formazione di un governo costituzionale regolarmente insediato. La seconda considerazione è che i terroristi hanno visto giusto: l'Italia resta un Paese diviso. Guardando alle nostre reazioni interne, essi hanno diritto di considerarci l'anello più debole della catena occidentale. Ma il ricordo di ciò che è accaduto alla Spagna dovrebbe suggerire a molti ben altri comportamenti. A pagina 11 un'intervista di Ennio Caretto alllo studioso americano di islam Daniel Pipes, sulla situazione in Iraq dopo l'accordo fra al-Sistani e Moqtada Sadr. Ecco il pezzo, "Pipes: "Il leader dei ribelli va neutralizzato": «Sollevato, ma scettico». Così si definisce Daniel Pipes, l'esperto di Islam più ascoltato dalla Casa Bianca, sull'accordo tra Sistani e Al Sadr. Ma teme che la crisi riesploda in futuro. Secondo il direttore dell' Istituto sul Medio Oriente, «Al Sadr rappresenterà un pericolo finché non verrà neutralizzato». Neutralizzato come? «O con la sua totale emarginazione da parte di Sistani e degli altri grandi Ayatollah o con il suo arresto da parte del governo iracheno o delle forze armate americane. Al-Sadr è un violento e nutre forti ambizioni politiche. Ma non ha successori né molti seguaci: se lo si elimina, si elimina un intero movimento. Uno sviluppo del genere non avrebbe gravi ripercussioni, anzi stabilizzerebbe l'Iraq». Lei non pensa che la sua intesa con Sistani regga? «Due settimane fa, le dissi che la battaglia di Najaf si sarebbe conclusa con un compromesso e non con la nostra vittoria, ma aggiunsi che non sarebbe stato risolutivo. Sistani ha accresciuto il suo prestigio e potere, ma la sua linea moderata è destinata a scontrarsi di nuovo con quella di Al-Sadr, che non è uno che si arrenda facilmente. Forse la prossima volta non gli offrirà una via d'uscita». Il governo di Bagdad e le truppe Usa non rischiano di essere scavalcati da questi due leader? «Il premier iracheno Allawi e i nostri militari si sono dimostrati all'altezza della situazione, almeno sinora. Non hanno fatto gravi errori, nemmeno in un frangente delicato come quello di Najaf, dove Al-Sadr ha sfruttato a loro danno il simbolismo dei luoghi sacri». Mi sbaglio o lei non è più così pessimista? «Credo di essere realista. Penso che gli Stati Uniti resteranno in Iraq per 3-5 anni e, alla fine, otterranno qualche risultato. Ma l'Iraq oscillerà per 10-20 anni tra la Repubblica islamica e la democrazia occidentale. Non ci illudiamo che divenga un modello per il Medio Oriente o per i Paesi islamici in Asia». Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare il proprio parere alla direzione del Corriere della Sera. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.