Testata: Il Foglio Data: 28 agosto 2004 Pagina: 3 Autore: un giornalista Titolo: «"L'occidente non aiuti troppo Dahlan, farebbe il gioco di Arafat"»
A pagina 3 Il Foglio di oggi pubblica l'articolo "L'occidente non aiuti troppo Dahlan, farebbe il gioco di Arafat", un'analisi delle possibilità di Mohammed Dahlan di emergere come leader palestinese alternativo ad Arafat. Ecco il pezzo: Roma. L’Autorità nazionale palestinese sta vivendo la crisi più grave dall’anno della sua fondazione, il 1994. L’opposizione al governo del rais è eterogenea: al suo interno convivono componenti moderate del suo stesso partito, Fatah, e gruppi armati, i cui obiettivi non sono esattamente gli stessi. La nuova guardia chiede infatti riforme, la fine della corruzione, lo svecchiamento della leadership tramite la convocazione di elezioni, e la riapertura dei negoziati con Israele (in una paradossale coincidenza d’interessi con il governo Sharon) mentre le milizie sono votate alla continuazione della lotta armata. Il piano di disimpegno da Gaza del premier israeliano ha accelerato questo processo di crisi, aprendo il dibattito sul vuoto di potere che si creerà all’indomani del ritiro. I timori sono che Jihad e Hamas assumano il controllo della Striscia. Gli sforzi dell’Autorità sono volti a condurre il movimento al proprio interno al fine di neutralizzarne la concorrenza. L’ingresso di Hamas nell’Anp è "soltanto una questione di tempo", ha affermato Jibril Rajoub, uno dei Consiglieri per la sicurezza di Arafat. "E’ passato un anno da quando il premier Abu Ala è in carica e ancora non c’è stato un incontro ufficiale – ha spiegato al Foglio, dal Meeting di Cl di Rimini, Silvan Shalom, ministro degli Esteri israeliano – Questo per il fatto che a governare è soltanto Arafat. Io, al contrario di altri israeliani, credo che ci sia una leadership alternativa fra i palestinesi ma è impotente finché c’è Arafat. Il piano israeliano, sostenuto da egiziani e americani, è nato proprio perché abbiamo difficoltà a trovare un dialogo con i palestinesi". Le brigate Martiri al Aqsa, braccio armato dello stesso partito di Arafat, Fatah, rappresentano l’opposizione in arall’Autorità. Il 15 luglio hanno pubblicato un rivoluzionario comunicato in cui si scagliavano contro la leadership del presidente, mettendo sullo stesso piano la corruzione dell’Autorità e l’occupazione israeliana. A impersonificare invece la nuova generazione di Fatah, opposta alla vecchia guardia vicina al presidente, l’ex capo della Sicurezza a Gaza, Mohammed Dahlan, che da mesi sfida il rais in una crociata contro la corruzione del governo e per il rinnovamento degli apparati di sicurezza. Dahlan, che gode di un vasto sostegno tra le fila dei giovani di Fatah, nei mesi scorsi è riuscito a proporsi a livello internazionale come valida alternativa. In realtà, sul terreno Dahlan può contare su un supporto popolare relativo, confinato a Gaza, dove sono forti le sue milizie private, e all’interno di Fatah, ma non sembra godere della stessa sorte nella West Bank. Inoltre la sua sfortuna sembra arrivare proprio dall’occidente e da Israele, alla disperata ricerca di un’alternativa forte ad Arafat e di una controparte con cui dialogare. "In occidente si cerca di capire chi sono le più importanti figure palestinesi che possono riempire la scena in caso di vuoto – dice al Foglio Khalid Abu Aker, giornalista palestinese – così si guarda a Dahlan. Molte persone in Palestina vedono Dahlan come qualcuno creato dall’occidente. Questo è il problema. Se qualcuno deve rimpiazzare Arafat, che sia o no Dahlan, è di competenza dei palestinesi. Molti che oggi si lamentano di Arafat non sono pronti a sostenere nessun altro al di fuori di lui, perché lo vedono come qualcuno serio nel trattare la causa palestinese, più cosciente di altri. Se andassero a votare adesso voterebbero Arafat, guardano a lui come a qualcuno che non è imposto dall’America e dall’occidente. Anche se non sono d’accordo con la sua mentalità, sentono che è la persona giusta al momento. L’attitudine americana verso Arafat non lo indebolisce, lo aiuta internamente: tutti guardano a lui come a qualcuno che sta facendo fronte a una cospirazione israelo- americana".Le voci dei finaziamenti La credibilità di Dahlan sul piano internazionale ha giocato a suo sfavore, idebolendolo sul fronte interno. Hanno un peso le voci che vogliono che gli Stati Uniti lo abbiano finanziato con 100 milioni di dollari. "Dahlan non ha abbastanza sostegno all’interno del suo stesso partito per andare contro Arafat – dice al Foglio Gershon Baskin, israeliano, codirettore dell’Israel/Palestine Centre for Research and Information – C’è una situazione tipica che si è presentata fin all’inizio dell’occupazione nel 1967: le forze israeliane pensano di poter determinare la leadership palestinese. Ci hanno provato con Dahlan, che è però dipinto dal rais e da altri nell’Autorità come un burattino israeliano. Le voci che Dahlan stia ricevendo un supporto finanziario consistente dagli amercani non sono positive per lui, in una situazione in cui cerca di emergere come leader alternativo. In Palestina nessuno può fare niente finché c’è Arafat". Secondo Kenneth W. Stein, professore di Storia contemporanea del medio oriente alla Emory University d’Atlanta, il fatto che Dahlan sia ben conosciuto dagli israeliani è la sua fortuna e la sua debolezza. Stein afferma che i palestinesi temono che un cambio al vertice possa portare a una guerra civile, e sanno che una tale ipotesi andrebbe a favorire Israele. Quindi prefersicono tenersi Arafat. Dahlan si è posto come il simbolo della lotta alla corruzione, ma non ha convinto molti palestinesi a causa del suo passato nebuloso. Infatti, nonostante un’infanzia in un campo profughi e un soggiorno nelle carceri israeliane, è stato capo della Sicurezza a Gaza in un periodo in cui c’erano abusi di potere e corruzione. E’ sentito come un personaggio che usa le riforme per raggiungere i propri interessi. Ma la sfida più grande sulla via di una sua possibile candidatura ad alternativa valida è quella di riuscire adaffievolire il simbolo incarnato da Arafat. "Arafat negli ultimi 40 anni è diventato un’icona – dice al Foglio Mahdi Abdul Hadi, presidente della Palestinian Academic Society for the Study of International Affairs – ma c’è una contraddizione in questo simbolo: è un leader amabile, affascinante ma anziano, debole e corrotto. Questo ha creato una crisi nell’establishment politico: la vecchia guardia contrapposta alla nuova guardia. Ora, stiamo aspettando una transizione. Tutti i nomi che si incontrano non sono definitivi. Non è semplice diventare un leader in Palestina. E’ una lunga storia. Certo, tutti questi nomi continuano a indebolire Arafat. Ma Arafat è un maestro di tattica e sopravvivenza, contiene la rabbia della società. Non c’è per ora alternativa ad Arafat. Dahlan non è interessato a governare. Certo, ha ambizioni, contatti, arriva da una prigione, da un campo profughi, è un self-made man, bene, eccellente, ma ci sono ottomila palestinesi in prigione, c’è Marwan Barghouti, ci sono tanti altri. E’ troppo presto per fare nomi e per sfidare l’attuale leadership di Arafat. Arafat è anziano, debole e corrotto, ma è sempre l’icona, non puoi sostituire l’icona con una nuova faccia ora".
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