Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein".
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)
Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine.
L'Intifada nonviolenta sarà anche contro il terrore? impossibile giudicarla senza una risposta a questa domanda
Testata: Corriere della Sera Data: 16 agosto 2004 Pagina: 16 Autore: Alessandra Coppola Titolo: «Un Intifada nel nome di Gandhi»
A pagina 16 del Corriere della Sera di ieri, 15-08-04, Alessandra Coppola firma l'articolo "Un'Intifada in nome di Gandhi". La possibilità che i palestinesi rinuncino al terrorismo e scelgano di sostenere le loro rivendicazioni con metodi non-violenti è ovviamente da giudicare favorevolmente. La giornalista evita però di notare alcune vistose incongruenze, forzature propagandistiche e ambiguità dei suoi interlocutori (tutti palestinesi), sulle quali sarebbe indispensabile riflettere. Di seguito il pezzo: E se l'Intifada palestinese abbandonasse le armi e anche le pietre e importasse dall'India la rivolta non violenta del Mahatma Gandhi? In Cisgiordania c'è chi ci crede davvero e ha investito nell'impresa speranze ed energie (con i soldi che arriveranno anche dall'estero: Svizzera e Norvegia), preparando un appuntamento che vuole marcare il primo passo di una nuova rivolta nei Territori: 26 agosto 2004, Ramallah, ventimila persone (nei calcoli degli organizzatori) ascolteranno le parole di Arun Gandhi, settant'anni, nipote della «grande anima», in arrivo in Medio Oriente dal suo centro per la non violenza negli Stati Uniti. A crederci non sono degli sprovveduti. «Sappiamo che è un processo lento — dicono — che il cambiamento non avverrà nell'arco di una notte. Ma dobbiamo provarci, non ci sono alternative. Del resto, anche quando Gandhi ha cominciato la sua resistenza in India contro gli inglesi, la gente sosteneva che non avrebbe avuto successo». Spina dorsale di questa campagna sono una donna e un uomo che di lotta e di politica hanno una lunga esperienza, sempre lontana dalle armi. Lei, Terry Boulata, direttrice di una scuola di Abu Dis, ai tempi della prima Intifada è stata un caso internazionale. In cella come attivista dell'Olp, era in fin di vita per una grave malattia al fegato. Gli interventi dell'ex presidente Usa Jimmy Carter e dell'allora capo di Stato francese François Mitterrand spinsero il premier Rabin a ordinare la sua scarcerazione. La speranza, dice, che si possa provare la strada della non violenza «mi viene da una considerazione: la grande maggioranza di palestinesi non è armata». «I nostri contadini — continua Boulata — gli abitanti dei villaggi e dei campi profughi, già ora praticano la resistenza passiva quando, con nient'altro che il proprio corpo, tentano di bloccare i tank o i bulldozer». Normalmente vengono (almeno) anche lanciati sassi.Inoltre, i buldozer e i tank stanno compiendo azioni antiterroristiche. E' quindi dubbio che azioni volte a fermarle, e a proteggere i terroristi possano essere definite non-violente. Eppure di palestinesi in armi ce ne sono, agguati ed attentati sono all'ordine del giorno. Come pensate di convertire le Brigate martiri di Al Aqsa, per esempio, alla vostra causa? A rispondere è Mohammed Al Atar, compagno di Terry in questo progetto, leader dei Palestinesi per la Pace e la Democrazia: «E' innegabile che l'occupazione abbia creato una cultura della violenza — dice —. Difficile restare pacifici di fronte a ciò che accade nei Territori, alle umiliazioni continue che subiamo». Il terrorismo palestinese esisteva prima del 1967, gli attentati suicidi sono iniziati nel 1993, dopo la firma degli accordi di Oslo, l'offensiva terroristica della "seconda intifada" è iniziata quando Arafat ha rifiutato la nascita di uno Stato palestinese per via negoziale, in un momento in cui, comunque, la maggioranza della popolazione palestinese dei Territori non era più sotto l'autorità israeliana, ma sotto quella dell'Anp. Ma anche lui vede dei segnali incoraggianti per la sua iniziativa: la sentenza della Corte dell'Aja contro il muro che Israele sta costruendo al confine con la Cisgiordania, sostiene, «ci ha rafforzati, perché è stata la dimostrazione che si può ottenere qualcosa anche in modo diverso, con la forza della legge». La sentenza contro la barriera sancisce l'illegittimità della difesa dal terrorismo. La nonviolenza auspicata da Al Atar sembra essere l'altra faccia della violenza: quella che consiste nella criminalizzazione delle vittime. Certo, «sarà un processo lungo e difficile — ripete —. Per ora il nostro gruppo (circa 400 persone, ndr) si pone tre obiettivi di base: compattare tutti coloro che cercano la pace attraverso la gandhiana "forza della verità"; renderli visibili, perché sappiamo che l'immagine che dà la nostra lotta adesso è diversa; lavorare anche con gli israeliani». Un punto su cui Al Atar lascia intendere di aver trovato degli ostacoli. Ci sarà un Forum congiunto a Gerusalemme nei giorni di visita di Arun Gandhi, un incontro israelo-palestinese ad Abu Dis il 27 agosto, una preghiera interconfessionale a Betlemme il 29, che si concluderà con una fiaccolata. Il nipote del Mahatma vedrà anche esponenti del Labour, forse lo stesso Shimon Peres. Ma la risposta della controparte all'iniziativa, dice Al Atar, è stata inferiore alle aspettative. E si spinge oltre: «Israele non è interessato allo sviluppo di un movimento palestinese non violento — accusa —. Un esempio recente: il corteo a Rafah, Striscia di Gaza, lo scorso 19 maggio. Era assolutamente pacifico, ma i soldati hanno sparato. Il motivo? Davanti a un ampio movimento disarmato gli israeliani riuscirebbero con difficoltà a giustificare l'occupazione». I soldati sparararono colpi di avvertimento (contro un edificio vuoto) che colpirono per errore il corteo (la sequenza venne filmata). Rilevarono la presenza uomini armati. Infine: l'episodio citato avvenne poco dopo l'uccisione di 13 soldati israeliani e lo scempio dei loro cadaveri ad opera di Jihad e Hamas, proprio a Rafah. I soldati avevano dunque buoni motivi per vedere nel corteo, che ignorò ogni "alt", una minaccia. E la lotta di potere ai vertici dell'Autorità palestinese, un presidente come Arafat che non vuole cedere spazio, un gruppo dirigente corrotto e inefficiente, non sono degli ostacoli sulla vostra «marcia del sale»? «Non posso dire che questa leadership abbia avuto un ruolo positivo — risponde Al Atar — se non altro perché non ha fatto nulla per aiutare il movimento pacifista. Allo stesso tempo, però, non credo che possa trarre alcun beneficio dalla violenza. Il nostro principale problema non è Arafat, è l'occupazione. Prima vogliamo essere liberi, poi possiamo anche discutere di come cambiare il sistema che ci governa». Il problema dei palestinesi è invece proprio Arafat: è la sua scelta del terrorismo ad aver negato loro uno Stato indipendente. Vale la pena di ricordare che Gandhi utilizzava la nonviolenza anche per fermare la violenza dei suoi, rivolta sia contro gli inglesi sia contro i musulmani indiani. Venne infatti ucciso da un fanatico indù contrario allo sciopero della fame che stava conducendo per fermare i massacri di musulmani (in un momento in cui questi ultimi, che avevano dato origine al conflitto, compivano a loro volta orrendi ed enormi massacri di induisti). I "nonviolenti" palestinesi saprano avere lo stesso coraggio contro il terrorismo? Oppure si limiteranno ad opporsi senza armi alla risposta che Israele dà a quest'ultimo. In quel caso non saranno altro che un efficace arma propagandistica al servizio dell'Intifada violenta.
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