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Il Foglio Rassegna Stampa
13.08.2004 Battaglia obbligata, e in ritardo, a Najaf
impossibile la stabilità in Irak senza disarmare le milizie

Testata: Il Foglio
Data: 13 agosto 2004
Pagina: 3
Autore: un giornalista
Titolo: «Najaf, il costo del tempo perduto»
Il Foglio di oggi, 13-08-04, pubblica un editoriale sulla battaglia di Najaf e sulla difficile necessità, per le truppe della coalizione e per il governo di Allawi di ottenere il controllo del territorio, sconfiggendo le milizie. Ecco il pezzo:
Tutto il peggio sta succedendo a Najaf. Il capo dei banditi, al Sadr, prende in ostaggio un immenso cimitero e un immenso santuario, in un accesso di blasfemia. Incerto tra un accordo e la battaglia fino all’ultimo sangue, dallo scorso aprile Moqtada ha visto con soddisfazione crescere su se stesse, per effetto della sfida prolungata nel tempo della tregua, le sue forze. La rivolta generalizzata degli sciiti è la sua speranza e la sua minaccia, lui stesso è la speranza e la minaccia dei suoi complici e mandanti iraniani. Ora le forze agli ordini del generale Casey, pressate dal governo ad interim e benedetto dall'Onu di Iyyad Allawi, che non può tollerare la propria impotenza, si fanno sotto e colpiscono duramente. Ma nel frattempo il bandito si è fatto governatore di vasti territori, ha portato il suo fuoco distruttivo dentro Baghdad e in alcune città del sud, e l’insorgenza richiede prezzi elevati per essere domata. Devastante è poi l’intreccio tra la guerra sul campo e la campagna presidenziale americana. Kerry accusa l’Amministrazione di non saper condurre una guerra "sensitive", sensibile, delicata; Cheney lo rimbecca duramente, lo accusa di stolta demagogia, e ribatte che nessun presidente americano ha mai pensato di usare maniere delicate in guerra, né Lincoln né Roosevelt. I critici di Bush gli domandano come mai Fallujah è ancora sotto il dominio delle bande sunnite e wahabite, perché l’ex baathista Allawi, sciita di famiglia ma
sunnita per carriera, riesce ora a disporre della forza americana e del sistema
giurisdizionale messo in piedi da Paul Bremer per attaccare solo e soltanto gli amici dell’Iran, i Moqtada e i Chalabi, chiudendo un occhio sugli amici dei Saud. La confusione politica di cui si nutre la sacrosanta guerra per la stabilità e la democrazia in Iraq non potrebbe essere più inquietante. Il
tempo perduto nell’illusione che fosse possibile una guerra delicata, leggera, disattenta all’unico elemento che decide in una guerra, il controllo del territorio, è difficile da recuperare. Di sicuro c’è solo che la costituzione
di un organismo rappresentativo iracheno, la tenuta delle elezioni benedette
dall’Onu, la transizione verso un potere forte, stabile e pacifico che abbia
una base costituzionale adeguata, cioè la più grande rivoluzione in medio
oriente dalla nascita dello Stato di Israele (1948), richiede la sconfitta radicale sul campo delle bande di al Sadr, oggi, e di quelle sunnite e wahabite
di Fallujah e Samarra, domani.
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