Le accuse delle Brigate di Al Aqsa all'Anp e quelle di Dennis Ross ad Arafat
Testata: Il Foglio Data: 10 agosto 2004 Pagina: 3 Autore: un giornalista Titolo: «Le accuse palestinesi ad Arafat e la nuova tattica di Sharon - L'uomo di Clinton inchioda il rais»
Il Foglio di oggi, 10-08-04 pubblica ampi stralci dell'importante documento con cui le Brigate Al Aqsa attaccano l'Anp. E un'analisi della strategia israeliana di fronte alla crisi politica palestinese. Incentrata sulla necessità di non danneggiare possibili interlocuturi sostenendoli e conseguentemente screditandoli.
Di segiuto il pezzo, "Le accuse palestinesi ad Arafat e al nuova tattica di Sharon" Pubblichiamo stralci di un documento delle Brigate al Aqsa critico nei confronti dell’Anp. Le Brigate, legate ad al Fatah, il partito di Arafat, hanno emanato un comunicato di circa venti pagine in lingua araba contenente un dettagliato programma di riforme, che offre una diagnosi della crisi che colpisce la leadership palestinese. Il testo, già citato da un articolo del Corriere della Sera, circola tra i militanti e su Internet.
Il documento, siglato "sogno di martiri nella nazione santa. Brigate al Aqsa, 15 luglio 2004. Nel nome di Dio, il clemente e il misericordioso, contiene un programma di riforme elaborato dai leader del movimento "nel momento in cui abbiamo compreso che le nostre speranze non erano altro che illusioni. Ciò in cui credevamo era soltanto un miraggio avvolto nella nebbia".
La trappola. "L’Autorità palestinese è caduta nella trappola dei negoziati quale unica opzione possibile, ed è diventata prigioniera dell’illusorio progetto negoziale. Ha mantenuto un atteggiamento neutrale nei confronti della nostra santa Intifada".
L’incapacità di agire. "La leadership palestinese mnon è stata in grado di stare al passo con il rapido mutamento degli eventi politici, perdendo la propria capacità di agire, ed è rimasta incatenata dalla reazione violenta. Ha accettato definizioni come violenza, estremismo e terrorismo per descrivere la lotta armata". Il monopolio ai vertici. Le Brigate affermano che la maggior parte dei funzionari dell’Autorità nazionale palestinese insediati nei ministeri e nell’apparato di sicurezza sono "incapaci, disonesti e imbroglioni". L’Anp ha creato numerose istituzioni, forum e un intero apparato di sicurezza. "Tutto ciò è diventato un feudo, una proprietà di famiglia, un investimento privato e un monopolio, mentre il nostro popolo continua a subire la disoccupazione, la fame e l’ingiustizia".
Società civile e apparato di sicurezza. "Fin dal primo momento l’impegno dell’Autorità nazionale palestinese nella costruzione della società civile e del suo apparato di sicurezza si è rivelato un fallimento, perché ha basato il proprio lavoro sul principio di una divisione degli incarichi e dei titoli ministeriali tra i membri delle gang, che mancano di capacità, professionalità e onestà".
Una voce senza alcun peso. "[L’Autorità nazionale palestinese] è soltanto una voce senza alcun peso, e senza alcuna influenza. Quasi tutti i suoi membri hanno non soltanto accettato il crimine di assumere un ruolo inesistente, ma si sono anche lasciati attrarre dal desiderio di guadagnare e di sfruttare questo ruolo per arricchirsi. La loro principale preoccupazione è quella di trovare il modo di firmare documenti e risoluzioni per promozioni e nuovi incarichi, insediando i propri parenti in questi nuovi posti. Hanno svenduto la loro posizione politica in cambio di alti stipendi, belle macchine, immunità diplomatica e carte di credito".
La corruzione. "La corruzione si è incuneata nel sistema, e giudizi corrotti hanno ottenuto alti stipendi. Gli artigli del sistema giudiziario sono stati tagliati, la giustizia calpestata. Il sistema non è stato capace di fare nulla"
Manipolazione dei mass media. A proposito dei mezzi di informazione, le Brigate al Aqsa dicono che "i media ufficiali sono annegati nel mare della corruzione amministrativa e finanziaria. Si è persa la visione ideale perché non ci sono quadri qualificati". L’attacco a Fatah. "L’unità nazionale si è trasformata in uno slogan vuoto e privo di significato. Quasi tutti i dirigenti dell’Autorità nazionale palestinese hanno lottato per ottenere incarichi e titoli, schiacciando i combattenti di Fatah. Le persone più corrotte e disoneste sono entrate nel Fatah. Possiamo soltanto immaginare il degrado del suo prestigio e della sua influenza".
I funzionari disonesti. "La leadership dell’Anp è completamente responsabile per i suoi miseri risultati, i suoi errori di calcolo, la sua erronea interpretazione della realtà politica e il suo modo di condurre i negoziati. Ha nominato funzionari corrotti e disonesti. Al posto della legge ha messo la solidarietà tribale, ha rafforzato il regno di un uomo solo, e se ne è infischiata del diritto. Ha ostacolato il potere giudiziario e legislativo. Non è stata capace di promuovere i bisogni della società e delle nuove generazioni. Ha combattuto contro ogni possibilità di democrazia, di cambiamento di riforma".
Il tempo della lealtà è finito. "La Brigate dichiarano con decisione e fermezza che il tempo dell’obbedienza e della cieca lealtà finito. Di fronte a Dio, al popolo e alla storia, noi rifiutiamo e rinneghiamo questa banda di corrotti. E’ giunto il momento della punizione. Noi non permetteremo che continui così, e non vivremo sotto la spada della corruzione e dei corrotti. Costruiremo la nostra patria e la nostra società palestinese secondo i principi della giustizia".
Peggio dell’occupazione. "Le ingiustizie, le aggressioni e i crimini dell’Autorità nazionale palestinese sono stati persino peggiori di quelli dell’occupazione".
Contro la diplomazia. Le Brigate invocano la distruzione "delle tane della corruzione nelle ambasciate e nei consolati palestinesi". "Gli ambasciatori, che si comportano come dei mercanti, si sono arricchiti viaggiando per tutto il mondo".
Gerusalemme. In Israele si continua a seguire il vento che soffia da Gaza e dalla Cisgiordania. Fonti dell’esercito israeliano hanno confermato al Foglio che "Israele segue gli eventi, valutando le due questioni più importanti nel dibattito in queste ore. Si parla del ‘giorno dopo’: da una parte il confronto dentro il partito Fatah e nell’Anp nel dopo Arafat, dall’altra il giorno dopo il ritiro da Gaza". Sul dopo Arafat, Israele segue la lotta fra le organizzazioni, fra le parti militari, le forze che sono nelle mani di Mohammed Dahlan, la polizia, le bande e le famiglie di criminali che hanno guadagnato un posto di peso anche sul campo della politica. Per quanto riguarda il giorno dopo il ritiro dalla Striscia, Israele monitora la lotta fra le organizzazioni militari soprattutto a Gaza e lo scontro per la conquista della leadership nel partito Fatah in Cisgiordania. Il documento delle Brigate al Aqsa contiene lo spirito delle idee di Dahlan e riguarda da vicino il dopo Arafat. A Gaza, Dahlan ha la sua forza e potrebbe mettere in pratica le sue minacce utilizzando i 30 mila uomini che sono sotto il suo diretto e indiretto controllo. I servizi israeliani sottolineano che non si tratta di un evento prevedibile e che è sufficiente un fatto straordinario per far surriscaldare le strade di Gaza da un momento all’altro. Se nella Striscia la presenza di Dahlan è determinante, anche per i suoi solidi rapporti con l’Egitto e soprattutto con il capo dei Servizi segreti del Cairo, Omar Suleiman, in Cisgiordania la questione è molto più complessa. Nel corso degli ultimi tre anni, Israele ha praticamente eleminato gli organi di polizia e di sicurezza palestinesi, coinvolti nella seconda Intifada, e come conseguenza i clan di criminali, attivi anche nell’ambito della lotta politica nazionale, hanno rialzato la testa. Gerusalemme sembra aver imparato dagli errori del passato e lascia che gli avvenimenti interni palestinesi abbiano luogo, senza intervenire, soprattutto per quanto riguarda lo scenario interno ad al Fatah. In passato il governo Sharon aveva puntato sul premier Abu Mazen, ma alla fine questo sostegno troppo esplicito si è rivelato uno svantaggio per la sopravvivenza del pragmatico leader palestinese; anche l’appoggio al successore alla guida del governo dell’Anp, Abu Ala, non ha portato finora a niente di concreto, come dimostra anche lo stesso documento delle Brigate al Aqsa. Israele sembra dunque aver capito che sostenere alcuni leader è un errore e una scelta che indebolisce chi potrebbe essere un reale interlocutore. Quindi il governo Sharon preferisce attendere, sperando che emergano leader davvero in grado di controllare le strade palestinesi, sempre più agitate in vista del ritiro israeliano da Gaza, e di condurre negoziati costruttivi. Intanto, mentre le Brigate al Aqsa fanno emergere sempre di più la crisi dell’Anp, l’Egitto media. Ha raggiunto un accordo con Hamas per tentare di garantire la stabilità e l’unione politica nella Striscia di Gaza, dopo il ritiro israeliano, rivela il giornale al Ahram. L’Egitto sta inoltre cercando di raggiungere un accordo simile con Fatah e altri settori palestinesi (e ritorna Dahlan). Secondo il quotidiano cairota, gli sforzi per raggiungere un’intesa con le varie fazioni si concluderanno a metà settembre. Il giornale traccia le linee del "Piano di lavoro nazionale palestinese": avrà l’appoggio dei partiti dell’Anp e cercherà di stabilizzare i Territori dopo il ritiro da Gaza. Per questo progetto, il Cairo ha chiesto all’Autorità palestinese di inviare 45 ufficiali in campi di addestramento in Egitto. Sempre a pagina 3 il breve articolo "L'uomo di Clinton inchioda il rais", sul libro di Dennis Ross, negoziatore capo americano a Camp David "The Missing Peace", (La pace scomparsa. Una testimonianza decisiva sulla responsabilità di Arafat nel fallimento del negoziato di pace. "Gli Stati Uniti gli avrebbero dato tanto credito se avessero saputo le cose che sappiamo ora? Non lo so. Certo è che Arafat è un uomo che sa vivere nella più volpina gestione di negoziati, mosse e contromosse. Ma non vuole e non sa portarli a termine. Continuerà a non farlo. Vuole sempre restare titolare della doppia linea ‘La- Nam’, ‘no’ e ‘sì’ in arabo". A pronunciare parola definitiva sul leader palestinese non è un "warmonger" conservatore, ma Dennis Ross, che sotto l’Amministrazione Clinton ha coordinato per gli Stati Uniti la ricerca di una soluzione pacifica in medioriente. Le 800 e più pagine del suo libro, "The Missing Peace", sono fondamentali per ripercorrere dodici anni di fallimenti. Da Camp David a Oslo, dall’assassinio di Yztahk Rabin all’ascesa e caduta di Benjamin Netanyahu – il leader israeliano che Clinton e Ross hanno amato meno – fino alla rottura del dicembre 2000, gli ultimi giorni di Clinton presidente, la seconda Intifada. Nella ricostruzione sono molte le sorprese. Ross giudica un errore la decisione israeliana di ritirarsi dal sud del Libano nel maggio 2000, prima di Camp David. Arafat ne trasse l’impressione di dover a propria volta imbracciare le armi, come gli hezbollah in Libano. Barak sbagliò, tra il gennaio e la primavera del 2000, quando il siriano Hafez Hassad si era convinto a un accordo di pace che avrebbe isolato Arafat: aver chiesto almeno due anni per ritirarsi dal Golan fu un errore per Israele. Ma il peggiore tra tutti è Arafat. Dopo essersi impuntato, tra il luglio e il dicembre 2000, per far salire l’offerta israeliana di ritiro dalla West Bank, l’ultima proposta – oltre alla restituzione integrale di Gaza – vedeva Washington garante della restituzione ai palestinesi del 94-96 per cento della Cisgiordania, e per pareggiarne la mancata integralità, Israele vi avrebbe aggiunto dall’1 3 per cento di propri territori. Arafat nega ancora oggi che tale proposta sia stata avanzata, ma lo inchioda l’appendice al volume in cui essa viene riepilogata: disse no alla pace, sì ai kamikaze. Con Arafat non c’è pace, per Ross. Dovessero passare altri cinquant’anni. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione de Il Foglio. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.