La destra pragmatica di Tzipi Livni combatte a favore del ritiro da Gaza
Testata: Il Foglio Data: 05 agosto 2004 Pagina: 3 Autore: un giornalista Titolo: «E' una signora l'uomo forte del Likud»
Dal Foglio di oggi, 05-08-04, un articolo su di una nuova protagonista della politica israeliana. Un modo per raccontare la realtà di una democrazia vivace e libera e per spiegare le posizioni di quella parte di destra israeliana (definita "pragmatica") che accetta la necessità di porre sicurezza e demografia prima delle rivendicazione territoriali. Milano. C’è una donna in Israele che può aiutare Ariel Sharon a superare la crisi in cui si trova la sua fragile maggioranza. Classe 1958, avvocato immobiliare di successo con un passato nei servizi segreti, il padre membro storico dei revisionisti seguaci del leader sionista Ze’ev Jabotinsky e parlamentare di destra, la madre eroina combattente dell’Irgun e musa di canzoni patriottiche del movimento giovanile della destra Betar. Nonostante il nome d’arte, Tzipi Livni non aveva mai contemplato la vita politica, preferendo una carriera da avvocato, tanto che nel 1991 aveva promesso al padre morente che non sarebbe entrata in politica se non per una buona causa, ma mai per ambizione personale. E si vede. Da quando è entrata in politica, Livni ha conquistato un premio raro: è stata nominata campionessa del Buon Governo 2004. Tutti, rivali e amici, le riconoscono questa qualità: la dedizione alla trasparenza e all’onestà come regola d’oro dell’etica pubblica. Non è stata la causa del buongoverno a portarla in politica: la svolta è avvenuta nel 1995, il giorno del digiuno di Kippur, la ricorrenza ebraica dell’espiazione. Livni decise allora, all’apice del processo di Oslo e della campagna d’odio contro l’allora primo ministro Itzhak Rabin, che la destra doveva sottrarre l’iniziativa della pace alla sinistra – la cui ricetta lei giudicava pericolosa – ma che occorreva per fare questo una visione più realistica a destra di quanto non ci fosse allora. Nonostante le sue radici revisioniste la spingessero dunque a opporsi a Oslo in nome della Grande Israele, Livni ha sposato il realismo politico, comprendendo come i tempi fossero cambiati, e fosse dovere della destra guardare in faccia la realtà e fare una svolta. Eletta alla Knesset nel 1999 e membro attivo della commissione affari costituzionali, Livni si è rapidamente distinta per il suo senso pratico, per l’onestà e la dedizione. L’elezione di Ariel Sharon – che è arrivato alle conclusioni pragmatiche di Livni ben più tardi – l’ha portata rapidamente al tavolo dei ministri, dove ha assolto l’ingrato compito di coordinare, da ministro senza portafoglio, il tentativo israeliano di gestire la guerra d’informazione scoppiata in parallelo all’Intifada palestinese. Nonostante lo scarso successo, complice senz’altro l’ostruzionismo della sgangherata burocrazia mediatica ufficiale, Livni è rimasta ministro, recentemente assegnata alle Costruzioni, responsabile ora per lo smantellamento degli insediamenti. E anche se rischia la sedia nel valzer delle poltrone in corso per ampliare la coalizione di governo, Livni rimarrà sicuramente a fianco di Sharon. Non è come altri "principi" eredi di insigni revisionisti nel Likud in grado di controllare mazzette di tessere, ma rappresenta il nuovo del suo partito. La sua linea politica, esemplificata di recente dal suo sostegno totale per Sharon e il suo piano di disimpegno, si coniuga con la sua eredità familiare che affonda le sue radici nel passato revisionista contrario a qualsiasi compromesso territoriale. Il che le permette di offrire un messaggio accattivante nel Likud: Livni non rinuncia ai sogni dell’ideologia che l’ha cresciuta, ma accetta di doverli mettere in soffitta sine die, consapevole dei limiti che la comunità internazionale e le circostanze contingenti impongono a Israele. La sua posizione è di limitare il danno e perseguire l’interesse nazionale, riconoscendo la priorità di salvaguardare la sicurezza e la deterrenza d’Israele nei confronti del mondo arabo, mantenendo non soltanto un vantaggio economico e militare, ma anche conservando il carattere ebraico e democratico dello Stato che a Israele conferiscono ancora legittimità a livello internazionale. Ne discende la necessità di un ritiro, mossa politica che ha lacerato, per motivi ideologici non meno che strategici, tutta la destra spaccandola in due. Come Ehud Olmert, l’altro grande falco israeliano convertitosi al pragmatismo anche lei rappresenta quella difficile linea mediana tra sogno e realtà, idealismo e pragmatismo che se vincitrice permetterà al Likud di traghettare il paese attraverso le decisioni difficili del disimpegno e abbandono degli insediamenti. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione de Il Foglio. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.