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La Stampa Rassegna Stampa
02.08.2004 L'odio anticristiano dei terroristi islamisti non dipende dalla guerra in Iraq
esisteva, e faceva vittime, molto prima

Testata: La Stampa
Data: 02 agosto 2004
Pagina: 1
Autore: Igor Man
Titolo: «E' difficile dialogare con le bombe»
Su La Stampa di oggi Igor Man firma un articolo sul massacro nelle chiese cristiane dell'Iraq: "al Papa non sarà sfuggito come, ormai da qualche tempo e in sincronia con l'incanaglirsi del dopoguerra iracheno", scrive il giornalista "sia esplosa una "ondata di rigetto" verso il Cristianesimo: dall'Indonesia alla Nigeria, dall'India al Sudan eccetera".
In realtà l'ostilità anticristiana, sia nel mondo islamico sia, per esempio, tra i fondamentalisti induisti, o nella Cina comunista, esiste da molto prima della guerra in Iraq. In Sudan la guerra genocida del governo islamista contro le popolazioni cristiano-animiste è durata vent'anni. Le politiche di George W. Bush non possono proprio averci nulla a che fare.
Lo stesso Bin Laden non ha certo aspettato la caduta di Saddam Hussein per proclamare la "jihad contro crociati ed ebrei". Sicchè le attuali stragi non sono che l'applicazione di teorie già esistenti da tempo e che in altri contesti (Egitto, Algeria,Israele, Stati Uniti) già avevano mietuto le loro vittime. L'odio religioso fa parte del dna ideologico del terrorismo islamista, non sono le risposte dell'Occidente a produrlo.
Ecco il pezzo:

Il vento giallo dell’odio investe con selvaggia furia il Cristianesimo: dal recente sacrificio di nostro fratello Kim, sgozzato come un agnello, agli attentati blasfemi di ieri a Mosul, a Baghdad. «Quel ch’è accaduto è terribile e preoccupante: è la prima volta che in Iraq vengono prese di mira le chiese cristiane»: così la Sala Stampa vaticana commenta le bombe che hanno ammazzato poveri cristiani iracheni colpevoli solo di celebrare il sacrificio di Gesù con la Messa della domenica. Quel «terribile» è di Giovanni Paolo II che, dopo aver sollecitato notizie più esaustive, s’è immerso nella preghiera. Dolorosamente.
Aggiornatissimo com’è sulle cose del mondo, al Papa non sarà sfuggito come, oramai da qualche tempo e in sincronia con l’incanaglirsi del dopoguerra iracheno, sia esplosa una «ondata di rigetto» verso il Cristianesimo: dall’Indonesia alla Nigeria, dall’India al Sudan eccetera. Dall’uccisione, in Cina, d’una donna arrestata per aver distribuito Bibbie, all’assassinio d’un giardiniere pachistano accusato, lui, cristiano, d’aver «profanato una moschea», per citare gli ultimi casi, in mezzo a questi due delitti geograficamente asimmetrici, la mostruosa risacca anticristiana, scatenata da «masse popolari» incolte, è il frutto d’una «campagna ideologica» orchestrata con fredda perfidia dall’islàm radicale.
Che fare? E’ facile per gli apprendisti stregoni che bestemmiano il Corano inventare «complicità attuali» fra Cristianesimo e neocolonialismo, tra Wojtyla e Bush. E’ difficile per la Chiesa di Roma che non ha carri armati difendersi dai «guerriglieri islamici». E tuttavia guai a cadere nella logica dello scontro frontale: «C’è il rischio di autodistruggerci», dice il vescovo Vincenzo Paglia, assistente spirituale dell’Onu di Trastevere», la Comunità laica di Sant’Egidio. Dialogo, dunque, costi quel che costi: «Questo è il significato, anche politico, del comandamento evangelico di amare il nemico». Benissimo, ma come dialogare quando la guerra ara la terra, uccide l’innocente, umilia il diritto alla pace?
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