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La Stampa Rassegna Stampa
28.07.2004 Ma quale equidistanza, l' Europa è filopalestinese
le ambigue parole di Solana non convincono del contrario

Testata: La Stampa
Data: 28 luglio 2004
Pagina: 9
Autore: Emanuele Novazio
Titolo: «Solana: con Israele la crisi passerà. E' la pace che conta.»
A margine della conferenza degli ambasciatori, che si svolge in questi giorni alla Farnesina, alcuni giornali intervistano Javier Solana, rappresentante per la politica estera dell'Unione europea, di ritorno dal tour diplomatico in Israele ed Egitto. Di fronte alle domande dei giornalisti sulla situazione dei rapporti Israele-Ue, Solana risponde in maniera ambigua e contraddittoria; in particolare, incalzato dalla constatazione che l'Unione Europea sia costantemente sbilanciata a favore dei palestinesi ( la prova è la recente votazione all'Assemblea Generale dell'Onu ), Solana risponde che gli israeliani accusano l'Ue di essere filopalestinese e i palestinesi l'accusano di essere filoisraeliana; questa, a suo dire, sarebbe la dimostrazione dell'imparzialità dell'Unione. Affermazioni, queste di Solana, che contrastano con la realtà dei fatti dal momento che persino Arafat ha più volte pubblicamente ringraziato l'Unione per le sue ripetute prese di posizione in favore dei palestinesi e che, giornali alla mano, non si sono mai sentite proteste palestinesi di rilievo verso l'operato dell'Unione Europea. Ulteriore conferma della parzialità dell' Unione Europea giunge poi dalla volontà di riconoscere nella dittatura di Arafat l'unico partner possibile per la pace.

Di seguito riportiamo l'intervista di Emanuele Novazio:

Il voto compatto dell’Unione europea che ha sanzionato all’Onu la costruzione della barriera difensiva non è certo piaciuto a Israele, ma la crisi passerà. L’Europa vuole essere costruttiva e aiutare un processo di pace che deve assolutamente continuare non soltanto perché serve alla povera gente della regione: il Medio Oriente è il nostro cortile di casa». Javier Solana - a Roma per la Conferenza degli ambasciatori in corso alla Farnesina - getta acqua sul fuoco delle polemiche che hanno accompagnato la presa di posizione dei 25: «Dopo due giorni di colloqui in Israele ho capito che continueremo ad avere relazioni normali nonostante questo forte disaccordo», confida L’Alto Rappresentante per la politica estera dell’Ue in un incontro con un ristretto gruppo di giornalisti. «Certo gli israeliani alle volte ci rinfacciano di essere troppo filopalestinesi, così come i palestinesi di essere troppo filoisraeliani: è difficile dar sempre l’impressione di essere assolutamente equilibrati».
E’ favorevole al ritiro israeliano da Gaza?
«Sì, ma vorremmo che fosse parte di un processo che continua secondo la road map: è importante che gli insediamenti siano abbandonati, che si ritirino le truppe e Gaza diventi territorio palestinese. Sharon mi ha detto di essere molto determinato al ritiro e di essere pronto a negoziare con i palestinesi ma soltanto su aspetti pratici, non politici. Ci preoccupa la stabilità economica della Palestina e gli impedimenti che possono sorgere da parte israeliana: questo problema in ogni caso si porrà in futuro, oggi il problema principale è la sicurezza. Gli egiziani stanno prendendo importanti responsabilità: siamo pronti a collaborare con loro».
Abu Ala ha ritirato le dimissioni. Come giudica il comportamento di Arafat?
«Qualsiasi forma di stabilità è importante, all’interno di un’Autorità palestinese che ha vissuto troppi momenti di instabilità. Dopo il ritiro, a Gaza dovrà esserci un’autorità in grado di mantenere stabilità e sicurezza in un’area che in futuro farà parte dello Stato palestinese».
Arafat non vuole farsi da parte nonostante le richieste che gli arrivano anche dai vertici palestinesi. La sua leadership è ancora positiva?
«Spetta ai palestinesi decidere la propria leadership. Quel che sicuramente vorremmo è un primo ministro con pieni poteri: come se già ci fosse uno Stato. Certo è difficile in queste circostanze, ma se vogliono prepararsi per tempo i palestinesi devono cominciare a guidare i territori in una maniera il più possibile simile a quella con cui si guida uno Stato. Per questo devono dotarsi di una gestione responsabile del finanziamento e di una struttura di sicurezza, ma servono riforme anche nell’istruzione, nella sanità e così via».
Il ministro degli Esteri francese Barnier ha incontrato di recente Arafat, il tedesco Fischer e l’italiano Frattini non hanno voluto. Chi ha ragione?
«La posizione Ue è che Arafat continua a essere Arafat, il principale leader palestinese. Non dobbiamo vederlo ogni momento ma è lecito fargli visita, come fanno e hanno fatto ministri e primi ministri».
L’Ue saprà convincere il governo sudanese a bloccare i massacri etnici nel Darfour?
«Ho appena ricevuto il ministro degli Esteri sudanese Ismail e gli ho detto molto chiaramente che il suo Paese deve rispettare gli accordi raggiunti con Kofi Annan e disarmare le milizie. L’Ue è presente sul terreno: la metà degli osservatori internazionali e il vice presidente della commissione per il cessate-il-fuoco sono europei, l’Unione è il maggior donatore, ma abbiamo molto rispetto per il ruolo dell’Unione Africana, che vuole assumersi la responsabilità della crisi».
Se la situazione non migliorerà chiederete sanzioni contro il Sudan?
«Se i primi segni costruttivi non continueranno, chiederemo all’Onu di prenderle: contro i responsabili della crisi, senza peggiorare la situazione di una popolazione che sta già soffrendo troppo».
L’Ue aprirà una missione congiunta a Baghdad?
«Abbiamo una missione di supporto in Giordania: andremo a Baghdad appena la situazione lo permetterà, per il momento non esistono le condizioni di sicurezza».
Le relazioni transatlantiche cambieranno, se Kerry sostituirà Bush?
«Le relazioni fra Europa e Stati Uniti non cambiano nella sostanza col cambio di amministrazione. Ci sono legami profondi, e basta guardare alle cifre dell’economia, del commercio, degli investimenti, alla cooperazione che abbiamo dovunque si sono problemi. Nonostante le divergenze il rapporto fra Ue e Stati Uniti resta fondamentale, imprescindibile: gli Usa restano il principale attore nazionale mondiale ma l’Ue appartiene alla stessa famiglia, condividiamo idee e valori. Gli Stati Uniti hanno bisogno dell’Europa, e devono trattarla come partner privilegiato in un rapporto di dialogo effettivo e bilanciato. L’Ue mostrerà di averne il titolo».
Kerry sarebbe più multilaterale di Bush?
«Difficile dirlo, e non credo sia prudente anticipare giudizi. Di certo l’Ue è necessaria agli Usa per vincere la lotta al terrorismo globale: la nostra sicurezza e la nostra prosperità dipendono da un effettivo sistema multilaterale».
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