Notizie non date, fonti non citate, parzialità il quotidiano napoletano non cambia, indifferente alle critiche dei lettori
Testata: Il Mattino Data: 27 luglio 2004 Pagina: 6 Autore: un giornalista Titolo: «Ritiro da Gaza, Sharon non cede»
Nonostante le lettere di critica che in queste settimane sono arrivate al quotidiano contro il modo scorretto e fazioso di fare informazione, Il Mattino continua a passare sotto silenzio, o a riportare in maniera ambigua e con poca visibilità quelle notizie che non si prestano ad assecondare la linea anti-israeliana del giornale. Venerdì scorso un ragazzo palestinese è stato ucciso da terroristi delle "brigate martiri al-Aqsa" perchè si opponeva, con la sua famiglia, al lancio, da parte degli stessi terroristi, di razzi qassam da uno spazio adiacente la propria abitazione. Il ragazzo è stato perciò freddato con colpi d'arma da fuoco e alcuni suoi familiari a loro volta sono stati feriti. Altro episodio: domenica sei bambini israeliani sono stati feriti (uno gravemente) da un razzo anti-carro sparato da terroristi palestinesi. Entrambe le notizie sono state censurate da Il Mattino che non le ha pubblicate. Oggi, invece, nell'articolo pubblicato a pag.6 si può leggere di una "carneficina": il quotidiano riporta l'uccisione di una ragazza palestinese attribuendo la responsabilità ai soldati israeliani. Il Mattino però dimentica di scrivere che tale ricostruzione è la versione fornita dai palestinesi e addirittura riesce a stabilire, ancora senza citare la fonte, che non erano in corso scontri a fuoco. Per Il Mattino tutto ciò che sostengono le "fonti palestinesi" equivale a verità, a tal punto da ritenere superfluo menzionare le stesse fonti. Ecco il pezzo. Gaza. Non si ferma la carneficina di innocenti nei Territori palestinesi. Una ragazza palestinese di 12 anni, Sara Zarob, è stata uccisa ieri pomeriggio nel campo profughi di Khan Younis, nel sud della Striscia di Gaza, da colpi di arma da fuoco esplosi da militari israeliani: non è chiaro in quali circostanze i soldati abbiano aperto il fuoco visti che non se erano in corso in quel momento scontri con miliziani palestinesi. In mattinata un’altra palestinese, una handicappata mentale, è stata uccisa dai soldati di guardia a un insediamento israeliano nella Striscia di Gaza: la donna, Ghala Yunes di 50 anni, si era avvicinata al reticolato di protezione dell'insediamento di Ganei Tal quando è stata colpita dal fuoco dei soldati. Segue una descrizione a tinte nere sulla situazione politica israeliana e sulle possibilità di realizzazione del progetto di ritiro unilaterale. Di notizie meno pessimistiche, come ad esempio quelle riportate da Ottolenghi nell'articolo pubblicato oggi da Il Foglio, nessuna traccia. In questo clima, il premier israeliano Sharon deve continuare a guardarsi le spalle dalla fronda interna. All'indomani della gigantesca catena umana formata domenica da 130.000 oppositori al ritiro israeliano da Gaza, Sharon ha ribadito che non farà marcia indietro e non rinuncerà all'annunciato smantellamento di tutte le colonie ebraiche nella Striscia. «Sono deciso a andare avanti con il mio piano di disimpegno, perchè è ovvio che Israele non può restare eternamente nella Striscia di Gaza» ha confermato. Il successo della protesta di domenica - un fiume umano per 90 chilometri fra la Striscia di Gaza e il Muro del Pianto a Gerusalemme - ha lanciato però segnali preoccupanti per il premier, confermando la spaccatura in seno al suo stesso partito, il Likud. Più ancora che il numero dei partecipanti alla catena umana, sooprattutto coloni e esponenti dei movimenti ultra-religiosi o di estrema destra, è inquietante soprattutto per Sharon la partecipazione di molti deputati della destra del Likud, a conferma della rivolta interna in corso contro il capo del governo. Domenica sera inoltre, 18 dei 40 deputati del partito si sono riuniti a Tel Aviv con il ministro degli Esteri Silvan Shalom per denunciare il progetto di governo di unità nazionale, che Sharon sta negoziando con il leader dell'opposizione laburista Shimon Peres. Shalom, uno dei baroni del Likud, è sceso in campo contro l'alleanza con il Labour quando è parso chiaro che dovrebbe cedere il portafoglio degli Esteri a Peres in un governo di coalizione. Il percorso fino alla realizzazione del progetto di evacuazione, per l'ottobre del 2005, di tutte le 21 colonie ebraiche della Striscia, e del ritiro di tutti i soldati israeliani, si conferma tutto in salita per il premier. Sharon, il cui governo è minoritario (con 59 seggi su 120 in parlamento) da quando la componente di estrema destra è uscita per protestare contro il piano per Gaza, deve trovare una maggioranza sufficientemente solida per fare votare in parlamento le varie tappe del piano. L'alleanza con il Labour (19 seggi) potrebbe non essere sufficente se provoca una spaccatura nel Likud. Il premier ha avviato contatti anche con due partiti ultra-ortodossi (14 seggi), ma un loro ingresso potrebbe fare uscire dal governo il partito centrista laico Shinui (15 seggi). Gli oppositori del piano per Gaza contano su una caduta del premier, e su elezioni anticipate, per cercare di bloccare lo storico disimpegno da Gaza. Ma se è stato lo stesso Sharon, forte dell'appoggio al suo progetto della larghissima maggioranza dell'elettorato israeliano, ad utilizzare lo spauracchio delle elezioni anticipate per dissuadere i suoi alleati di governo dall'opporsi al piano di ritiro. Non si capisce, quindi, come possano gli oppositori sperare nel voto democratico per fermare tutto. Con quali voti? E stando al capo dei servizi segreti militari israeliani generale Aharon Zeevi, anche il leader palestinese Yasser Arafat, insabbiato in una grave crisi politica interna, spera in una caduta di Sharon. L'anziano raìs, sottoposto a forti pressioni interne e internazionali perchè avvii le promesse riforme dell'Anp, contro la corruzione, e nel campo della sicurezza, cerca secondo Zeevi di guadagnare tempo sperando che una caduta di Sharon, e la sconfitta alle presidenziali americane di novembre di George W. Bush, gli restituiscano un maggiore spazio di manovra. Per l'autore dell'artciolo episodi diffusi di violenza armata, ricatti in stile mafioso, rapimenti, distruzione di edifici pubblici, manifestazioni in cui si fa mostra di armamenti vari sono riconducibili ad una "grave crisi politica". E da quando la politica si fa con gli strumenti sopracitati?
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