Risarcimenti a chi lascerà gli insediamenti potrebbero ridurre le tensioni sul ritiro dai territori
Testata: Il Foglio Data: 27 luglio 2004 Pagina: 2 Autore: Emanuele Ottolenghi Titolo: «Gli abitanti degli insediamenti si spostano, ma con gli incentivi»
Sul Foglio di oggi Emanuele Ottolenghi spiega come il ritiro da Gaza potrà svolgersi senza eccessive difficoltà qualora il governo israeliano provveda ad adeguati risarcimenti economici. Lo zoccolo duro e oltranzista del fronte del rifiuto non raggiungerebbe quindi le dimensioni di cui i principali quotidiani italiani parlano. Il piano di disimpegno da Gaza e da quattro insediamenti israeliani in Cisgiordania, elaborato dal primo ministro israeliano Ariel Sharon, deve superare una serie di duri ostacoli prima di essere attuato. Intanto Sharon deve recuperare la maggioranza parlamentare perduta con l’uscita delle destre dal suo governo: incredibilmente, sia i laburisti – in origine i principali promotori dell’idea di ritiro unilaterale – sia la sinistra laica del Meretz-Yachad di Yossi Beilin e Yossi Sarid, da sempre contrarissima agli insediamenti, stanno a guardare, indecisi se preferire la fine di questi ultimi o la fine di Sharon. L’illusione delle elezioni anticipate potrebbe però rivelarsi controproducente, visto che il pubblico, per quanto scontento della performance economica del governo, continua a vedere la questione della sicurezza come centrale alle proprie scelte elettorali. L’altro difficile ostacolo da superare per Sharon è l’opposizione interna: domenica non soltanto c’è stata la catena umana organizzata dalla destra contro il disimpegno, con 130 mila persone a tenersi per mano tra gli insediamenti nel sud di Gaza – a Gush Katif – e il Muro del Pianto a Gerusalemme, ma anche una convention di ribelli del Likud guidata dal ministro degli esteri Silvan Shalom, contrari a un governo con laburisti e Shinui, ma privo di religiosi. Il premier, il giorno dopo la protesta, ha però dichiarato che andrà avanti con il piano di ritiro unilaterale. Quand’anche Sharon neutralizzasse l’opposizione interna e ampliasse la sua coalizione includendo laburisti e religiosi, esiste un’incognita aggiuntiva, di cui si è molto dibattuto in passato ma che ora diventa un concreto dubbio: come reagiranno gli abitanti degli insediamenti all’evacuazione delle loro case? Se ne andranno con le buone o con le cattive? Per questo una notizia, passata in sordina a causa del weekend, fa ben sperare. Secondo Shimon Peres, che ha visitato l’area nel fine settimana, la maggioranza dei residenti dei quattro insediamenti della Cisgiordania destinati all’evacuazione è pronta ad accettare un compenso pecuniario in cambio di un’ordinata partenza senza ostacoli né proteste. La questione non è di poco conto per due motivi: innanzitutto essa crea un importante precedente e offre un test immediato per l’efficacia e l’equanimità dei meccanismi di compensazione che il governo sta apprestando. Poi conferma quanto molti in Israele sostengono da tempo: accanto a una piccola fazione dura disposta a ricorrere alla violenza pur di opporsi al ritiro israeliano esiste una maggioranza pronta, seppure a malincuore, ad andarsene in cambio dei dovuti incentivi economici, che il governo sta preparando. Le agevolazioni offrono diverse possibilità: dal compenso pecuniario della proprietà persa all’offerta di prestiti agevolati per la costruzione di una casa alternativa, all’aiuto a ricostruire la comunità abbandonata per intero in un luogo diverso ma non lontano (nel caso dei quattro insediamenti in Cisgiordania, nella vicina Galilea). Questo permetterebbe alle comunità di trasferirsi in blocco, riducendo al minimo il danno al tessuto sociale e alla vita comunitaria ed evitando quindi molti dei traumi della precedente esperienza di evacuazione, a Yamit nel Sinai, nel 1982. Permetterebbe anche alla maggior parte dei loro residenti di rimanere vicini ai posti d’impiego, riducendo ulteriormente l’impatto negativo sul tessuto sociale delle comunità interessate. Tra l’altro, proprio sulla scorta dell’esperienza di Yamit, il governo questa volta intende coinvolgere attivamente i diretti interessati, favorendo così una maggior moderazione e scoraggiando gesti estremi tra i coloni. L’alta percentuale di disponibilità a spostarsi in cambio d’incentivi economici, che molti prevedono si manifesti anche altrove, si limita per ora a quattro comunità di circa 100 famiglie in tutto e quindi non riflette necessariamente una tendenza più ampio nei Territori. Tuttavia va anche notato come in un sondaggio d’opinione di fine giugno, quasi l’80 percento degli elettori del partito nazionale religioso – un pubblico molto più vicino per mentalità ai coloni e con molta più dimestichezza e familiarità con quel mondo – non ritiene che vi possano essere fenomeni di violenza organizzata contro l’eventuale evacuazione degli insediamenti. Il dato è confortante: al di là di alcuni isolati appelli di leader politici e religiosi nei territori a resistere, la maggior parte della dirigenza politica e religiosa del movimento degli insediamenti ha sostenuto l’obbligo di avvalersi solo ed esclusivamente di strumenti democratici di protesta e disobbedienza civile ma di non fare assolutamente ricorso alla violenza. Rimane il rischio che la parte più estrema della destra – che in passato non soltanto resistette all’evacuazione del Sinai ma organizzò anche una rete clandestina e sovversiva le cui attività terroristiche si diressero sia contro palestinesi sia contro figure politiche israeliane – possa comunque ricorrere alla violenza, forte del fatto che bastano poche centinaia di persone per creare una situazione traumatica nel paese e mettere a rischio l’intero piano di disimpegno. La speranza, nonostante l’imponente manifestazione di domenica, è che di fronte al pacchetto di misure offerte dal governo e all’amplissimo sostegno che il ritiro gode tra il pubblico, i coloni accettino di andarsene. Farli spostare con la forza rimane il peggior incubo di tutta Israele, anche di coloro che da sempre gli insediamenti li hanno osteggiati. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione de Il Foglio. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.