ARAFAT, PARTNER DI PACE O CAPO SPODESTATO?... Riflessione di Giorgia Greco
"Il dialogo è impossibile, non sarà lui il nostro interlocutore" Queste le parole pronunciate da Sharon dopo l'ennesima strage di civili israeliani avvenuta nella città di Hadera.
Alla luce di un'affermazione tanto decisa sorge un interrogativo. Arafat è ancora un partner in grado di riprendere seriamente le fila di una trattativa di pace, oppure è in balia delle forze estremiste di Hamas e della sua stessa compagine militare, i Tanzim?
Si possono fare alcune riflessioni su una questione che di giorno in giorno diventa sempre più cruciale.
Mi sembra che un vero e proprio scontro sia in atto nell'Autorità Palestinese: da una parte la vecchia generazione, che ha trascorso gran parte della sua vita a Tunisi in esilio e, dopo Oslo, ha goduto di legittimazione internazionale (parlo di Abu Mazen, Abu Alla) dall'altra parte la nuova generazione che è stata protagonista della prima Intifada ed ha conosciuto le carceri israeliane (mi riferisco a Jibril Rajub, Mohamaud Dahlan, capi dei Servizi di Sicurezza e Marwan Barghuti, Capo dei Tanzim). Amano il potere, sono duri e decisi a fare carriera. Come "i vecchi" vogliono uno stato palestinese con Gerusalemme capitale, ma si distinguono dalla vecchia generazione per aver fatto una scelta di violenza. Per Barghuti esiste "il diritto dei palestinesi di fare fronte agli assassini e di difendersi dall'aggressione (israeliana)" e naturalmente non importa con quali mezzi. Non vanno sottovalutati perché hanno il consenso del popolo, stanco delle prepotenze e della corruzione imperante nell'Autorità Palestinese.
A rendere ancor più complessa la situazione c'è un forte senso di sfiducia del popolo israeliano (e non solo del governo), dell'Europa e dell'America nei confronti di Arafat. Ci si chiede: può essere ancora un interlocutore di pace?
Arafat è un personaggio "sensitivo", capace cioè di percepire qualsiasi mutamento di tendenza politico/sociale al suo interno. Per la maggior parte dei palestinesi è ancora un leader carismatico. Dopo la terribile ondata di violenze che ha insanguinato Israele nel 1996, aveva "sentito" che il suo popolo era comunque intenzionato a proseguire nel cammino intrapreso verso la pace. Non ha avuto tentennamenti: in pochi giorni ha arrestato centinaia e centinaia di terroristi ponendo fine agli attentati.
Dopo lo scoppio della nuova Intifada, Arafat ha dimostrato di non voler voltare le spalle al suo popolo ed ha capito che per sopravvivere come leader deve essere in sintonia con la rabbia, la sofferenza e la disillusione del popolo palestinese. Ma Arafat sa anche che, qualora si decidesse a compiere mosse serie e significative per fermare il terrore (marginalizzare l'influenza islamica, arrestare tutti i terroristi indicati da Israele, smettere di dare luce verde agli attentati) Israele, pur con estrema prudenza, potrebbe riprendere le trattative.
L'opinione pubblica che lo vede come un "povero leader assediato" sbaglia: Arafat ha fatto la sua scelta: quella del terrore ed ora ne paga le conseguenze. Forse, può ancora decidere (non gli rimane molto tempo!) se essere ricordato nella Storia come colui che, insignito del Premio Nobel per la Pace, ha saputo dare al suo popolo uno stato indipendente, oppure come un capo spodestato che, incapace di fermare il terrore, ha tradito il messaggio di pace che nel 1993, stringendo la mano a Rabin, si era impegnato a realizzare.