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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
19.07.2004 Arafat non è l'uomo giusto per costruire uno stato
lo scopre anche un giornalista amico

Testata: Corriere della Sera
Data: 19 luglio 2004
Pagina: 1
Autore: Antonio Ferrari
Titolo: «Caos tra i palestinesi, Abu Ala si dimette. Yasser, Dahlan, Hamas:è tutti contro tutti»
Fino a ieri la firma di Antonio Ferrari sul Corriere della Sera era presagio di articoli faziosi e pregiudizialmente ostili ad Israele, nel segno dell'appoggio alla causa palestinese e alla persona di Yasser Arafat. L'editoriale di domenica, 18 -07-04, nel quale Ferrari affronta di petto gli errori di Arafat e ne rileva l'inadeguatezza al ruolo di leader di una "nazione", sembra contraddire la linea fin qui tenuta. Lo registriamo con soddisfazione, dopo averlo scritto per anni.
Ecco il pezzo:

Nei Territori occupati e, soprattutto, a Gaza la situazione è precipitata. E' il caos, o « il disastro » , come l’ha definito, poco prima di dimettersi, il primo ministro palestinese Ahmed Qurei ( Abu Ala, a sinistra nella foto Ansa ) così come un anno fa aveva fatto il suo predecessore Abu Mazen.
Impossibile governare sotto Arafat ( a destra). Il raís non intende assolutamente rinunciare alla cassa e al controllo dei servizi di sicurezza.
Si può guidare un governo se l'uomo che dovrebbe esserne il tutore, il presidente palestinese Yasser Arafat, fa di tutto per impedirgli di governare? Favorendo, con il suo comportamento irresponsabile, sequestri di persona, terrorismo, lotte fratricide, vendette incrociate, corruzione sfrenata? Un anno dopo, la scena si ripete. Ma sarebbe più corretto definirla una tragedia, perché adesso nei territori occupati e, in particolare, nella Striscia di Gaza, la situazione è precipitata, al punto che è stato necessario dichiarare lo stato di emergenza. E' il caos, o « il disastro » , come l'ha definito, poco prima di dimettersi, il primo ministro palestinese Ahmed Qurei ( Abu Ala). Che ha deciso di abbandonare, esattamente come fece, un anno fa, il suo predecessore Mahmoud Abbas ( Abu Mazen). Il motivo è sempre lo stesso: l'impossibilità di governare sotto l'ingombrante presidenza di Arafat, avvitato sul proprio egoismo suicida. L'ossessione del potere lo ha ormai definitivamente annebbiato, tanto da non rendersi neppure conto che tutto sta crollando.
Due sono le cose alle quali il raís non intende assolutamente rinunciare: la cassa e il controllo dei servizi di sicurezza e dell'intelligence. Per questo motivo, non ha esitato a sacrificare Abu Mazen e, ora, si appresta a raddoppiare con il fido Abu Ala, che veniva ritenuto l'unico in grado di far ragionare il presidente. Naturalmente, secondo copione, le dimissioni del premier ( che però le conferma) sono state respinte. Ma la crisi, gravissima, è sotto gli occhi di tutti. In Palestina non c'è più legalità: non soltanto per la campagna di sequestri- lampo del capo della polizia e di quattro volontari francesi a Gaza, ma perché tutti i territori sembrano diventati una giungla. La sera, la gente non esce di casa: non per paura degli israeliani, ma dei fuorilegge palestinesi. Alcuni giornalisti, che avevano denunciato lo sfascio, sono stati intimiditi, vessati o costretti ad abbandonare il loro lavoro. Alla vigilia della probabile creazione, in Israele, di un governo di unità nazionale ( Likud, laburisti e Shinui) con l'obiettivo di realizzare il ritiro da Gaza e il progressivo smantellamento di tutti gli insediamenti ebraici della Striscia, la risposta nichilista del vertice dell'Anp pare la sintesi del dramma che si sta consumando. Arafat, galvanizzato dalla visita a Ramallah e dalle concilianti dichiarazioni del ministro degli Esteri francese Michel Barnier, si è fatto un punto d'onore di umiliare gli sforzi del capo dell' intelligence egiziana Omar Suleyman, che gli chiedeva una radicale riforma dei servizi di sicurezza e maggiori poteri al premier Abu Ala. Non solo.
Il raís è stato persino capace di inimicarsi uno dei suoi storici sostenitori, il rappresentante dell'Onu Terje Roed- Larsen. Le critiche di quest'ultimo al leader e il duro appunto sulla « paralisi » e sul « caos emergente » nei territori dell'Autorità nazionale palestinese lo hanno confinato nella lista dei cattivi: persona non grata. Voltare le spalle agli alti funzionari dell'Egitto e dell' Onu, cioè agli ultimi amici in grado di concedergli ancora un po' di credito, è davvero un errore fatale.
Ma Arafat non se ne dà per inteso. Non ne è capace. I suoi fedelissimi, che senza di lui rischierebbero l'oblio ( e forse qualcosa di peggio) lo incitano a resistere e il presidente, che ha definitivamente perduto il suo celebre istinto di sopravvivenza politica, assiste, giorno dopo giorno, al proprio fallimento.
Era un facile profeta, l'ex ministro della sicurezza interna Mohammed Dahlan, l'unico in grado di garantire l'ordine almeno a Gaza, quando sosteneva che era necessario unificare i vari apparati, per garantirne efficienza e operatività. Per questa ragione, il contrasto con Arafat era diventato insanabile e Dahlan, assieme ad Abu Mazen, era stato costretto a dimettersi. Ora, nella Striscia, le forze di polizia sono disgregate: gli uomini di Dahlan contro quelli di Arafat e i miliziani di Hamas contro entrambi. Convinto di poter ancora recuperare, il presidente palestinese ieri ha deciso di ridurre da dodici a tre i corpi di polizia e dell'intelligence. Era quanto chiedevano a gran voce gli americani, l'Unione Europea, i partner arabi, le Nazioni Unite, la Russia. Un segnale di resipiscenza, dunque? No, perché per l'incarico più delicato, al vertice dei servizi di sicurezza palestinese, con competenza sull' intelligence militare, il presidente ha nominato suo cugino, Moussa Arafat. E al posto del capo della polizia, Ghazi al- Jabali, rapito per qualche ora a Gaza, ha scelto il fedelissimo Saeb Al- Aiez. Ora, se Arafat ritiene di recuperare credibilità ( e di rilanciarsi come interlocutore) con queste nomine, ha sbagliato tutto. Per l'ennesima volta. E a pagare l'errore saranno i palestinesi.
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