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La Stampa Rassegna Stampa
19.07.2004 Arafat inchiodato alla poltrona, e intanto Dahlan avanza
ottimo articolo, ma il titolo è sbagliato

Testata: La Stampa
Data: 19 luglio 2004
Pagina: 7
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «Il rivale del Raiss che soffia sul fuoco della Striscia»
Ottimo come sempre l'articolo di Fiamma Nirenstein, che chiarisce la situazione che si è creata dopo che la corruzione e la violenza del regime di Arafat sono esplose in tutta la loro evidenza. Il titolo però è nostalgico, sembra rimpiangere il tempo nel quale il "buon Abu Ammar", l'onnipotente Arafat dettava le regole ai media di tutto il mondo. Dal titolo sembra che il "cattivo" sia Dahlan e non Arafat, come invece si evince dall'articolo. Ah, povero desk esteri del quotidiano torinese, che tristezza quando non potrà più esaltare le lodi del "buon vecchio raiss"!

Ecco l'articolo di Fiamma Nirenstein:

GERUSALEMME
«Un cane, Jabali, se n’è andato e un altro cane, Moussa Arafat, è arrivato». Così ieri cantava la folla ieri nelle strade di Gaza marciando contro Arafat per protestare contro la nomina a capo della polizia (più di dodicimila uomini in divisa blu) del cugino di Arafat stesso, Moussa. Nel pomeriggio si è andati oltre la protesta: i miliziani di Al Aqsa e gli uomini di Moussa Arafat hanno preso a spararsi. Jabali era famoso per la sua corruzione e la sua violenza usata indiscriminatamente , anche per la sua aggressività sessuale contro giovani donne; Arafat, che dopo il rapimento di venerdì l’ha fatto dimettere, non ha trovato di meglio che mettere al suo posto, nella tradizione delle satrapie orientali più classiche, un membro della sua famiglia. Ma alla radio israeliana, il leader palestinese del Fatah Sofian Abu Zaide ha espresso il sentimento di tutti: «Moussa è l’uomo più corrotto che si possa immaginare, è incredibile che Arafat si ostini ignorare il parere e i desideri della gente».
Abu Zaide è il più intellettuale fra i cosiddetti «laureati nelle carceri israeliani», i colonneli combattenti 40-50enni «dell’interno», che hanno reagito con rabbia e scorno al ritorno in massa da Tunisi, «dall’esterno», degli uomini di Arafat con l’accordo di Oslo nel ‘92, e alla loro totale, occupazione del potere. I loro capi più importanti erano nell’West Bank Marwan Barghouti, ora in carcere per le sue responsabilità in decine di attacchi terroristi, e Jibril Rajoub, uomo d’arme, ora molto vicino a Arafat dopo molta ruggine; e a Gaza, sempre nell’ambito del Fatah, Mohammed Dahlan, colui che tutti quanti vedono come il regista di questo ultimo terremoto anti Arafat, dei rapimenti, dell’attacco al suo nemico personale Jabali.
Jabali nei suoi uffici di Gaza era già stato oggetto di una esplosione (nell’aprile) e di un attacco armato che aveva ucciso una sua guardia del corpo (febbraio). Tutti sanno che c’era dietro Dahlan, un personaggio fattosi da solo, che indossa doppiopetti, anelli e sgargianti cravatte e sembra uscito da un film su Little Italy negli anni ’30, un uomo discusso e duro e molto affabile, che non ha mai inghiottito il fatto di essere stato scalzato insieme ad Abu Mazen, di cui era ministro degli Interni, dal potere. Già da molto tempo, ovvero da quando Sharon ha cominciato a delineare l’orizzonte dello sgombero israliano da Gaza, Dahlan tesse con Abu Mazen un grande ritorno. Pochi giorni fa è tornato da una postazione strategica a Londra, ha calcolato evdentemente la settimana scorsa che i tempi fossero maturi, probabilmente non per dare personalmnete ordini o pianificare in prima persona rapimenti, ma per accendere la luce verde alle varie organizzazioni scontente e deluse o mai abbastanza premiate con denaro e posti da Jabali, e quindi da Arafat: i Martiri di Al Aqsa, le nuove e mai citate prima brigate dei Martiri di Jenin e altri gruppi armati.
Dahlan nei mesi scorsi aveva apertamente criticato Arafat e «la vecchia guardia» e aveva chiesto che si mettesse mano a riforme e che si ponesse fine alla corruzione. In un’intervista aveva dichiarato una settimana fa che Arafat aveva portato le cose a un punto tale da spingere una quantità di ufficiali e uomini di potere a mandare i loro figli all’estero, mentre i figli dei poveri vivono i condizioni precarie. Dahlan aveva anche tenuto una sfolgorante campagna elettorale andando di riunione in riunione a Gaza per spiegare che era tempo di riforme e ricambio: Arafat che aveva fatto indire le elezioni nel Fatah circa 4 settimane fa, le aveva poi cancellate una volta messo di fronte ai risultati favorevoli di Dahlan, preferito dal pubblico.
Jibril Rajub, il consiglire nazionale per la Sicurezza dell’Autorità palestinese, uomo oggi di Arafat, ha dichiarato recentemente che Dahlan è un collaborazionista e un corrotto. Logico, da parte dell’uomo d’arme più forte dell’Autonomia. Dahlan è da tempo, specie da quanto è stato ministro degli Interni di Abu Mazen, accusato di essere un uomo legato a Israele a agli Usa. Un’accusa molto dura in un mondo che ancora ieri ha mandato un terrorista suicida a farsi saltare per aria nella centralissima via di Gerusalemme Emek Refaim, e dove la strage è stata evitata all’ultimo momento solo perchè il terrorista si è pentito; o che ha fatto inginocchiare e ucciso un uomo pochi giorni fa sulla pubblica piazza a Nablus, uno fra i tanti giustiziati sommariamnente,sotto gli occhi di una folla soddisfatta. I suoi detrattori lo accusano anche di aver fatto sporchi affari, e ne indicano la prova nel recente acquisto di una delle ville più belle di Gaza.
Dahlan, che adesso spinge verso le riforme, ha al suo attivo un tempestoso curriculum in cui il sangue abbonda; tuttavia può anche contare, in un evetuale sviluppo verso aperture di pace, sulla stretta collaborazione col Primo Ministro che Arafat cacciò via perchè si impegnò di fronte a Bush e Sharon di mettere in pratica la road map affrontando il terrorismo suicida come un problema.
Una cosa che Abu Qreia, l’attuale Primo Ministro, si rifiuta decisamente di fare. Di certo Dahlan si approfitta del genuino senso di disgusto per la corruzione e anche per la gestione sconsiderata di una guerra perdente, per fare del suo scontro di potere una battaglia che conquisti la simpatia prima di tutto degli Egiziani, che dovrebbero organizzare la sicurezza a Gaza quando gli israeliani si ritireranno; e poi anche di tutti coloro, e sono tanti, che sul terreno nazionale e internazionale vorrebbero vedere le cose cambiare in Medio Oriente e riaprirsi qualche porta.
Questo non significa affatto che Arafat perderà la battaglia: il fatto stesso che abbia mandato al posto di Jabali un personaggio tanto inviso mentre tuttavia porge la carota delle riforme, vuol dire che sa ancora molto bene impugnare il bastone.

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