Pubblicare chiunque scriva contro Israele? sembra essere la scelta del quotidiano torinese
Testata: La Stampa Data: 16 luglio 2004 Pagina: 24 Autore: Edoardo Bruno Titolo: «Il muro non protegge divide e aumenta l'odio»
Di chi è fratello Edoardo Bruno ? e di chi cugino,cognato, o zio ? Altrimenti non vi è spiegazione al fatto che una volta ogni sei mesi, senza alcuna competenza in materia (fa il critico cinematografico) scriva un pezzullo contro Israele e che la Stampa glielo pubblichi. Sei mesi fa, Bruno vaneggiava sulla strumentalizzazione a fini politici da parte del governo di Israele del concetto di identità ebraica, oggi il nostro esprime il proprio metafisico disappunto verso "il muro", fonte di odio, violenza e morte. Sconcertati da tanta faziosità camuffata da un linguaggio forbito, ci domandiamo ancora perchè La Stamap ospiti Edoardo Bruno e i suoi sfoghi antiisraeliani, e invitiamo i nostri lettori a chiedere delucidazioni in proposito al direttore de La Stampa Marcello Sorgi.
Di seguito riportiamo il pezzo: Il muro divide, chiude gli spazi, traccia confini inesistenti, taglia i territori e modifica i paesaggi; è simbolo di violenza e di morte, di separazione, ghetto, chiuso da muri invalicabili o da semplici catene, e anche cerchio virtuale, in cui delimitare i rituali del mondo magico, linea di divisione tra realtà e finzione. Nel Muro di J. P. Sartre è il luogo dove «avrebbero messo un uomo e gli avrebbero sparato addosso, fino a che non fosse crepato» e, dopo una tragica lunga notte di attesa e di paura, rifugio impossibile, zona virtuale dove perdersi e potersi nascondere, «rientrare nel muro, spingere con la schiena con tutte le forze, anche se il muro resisterà, come negli incubi»; dove tutto scivola via, sfugge e ricade, senza illusioni. Muro metafora di violenza reale e sogno di una protezione impossibile, nella Palestina ritorna come violenza e separazione di etnie, come divisione tra due mondi e due classi, ricchi e poveri, abbondanza e igiene, lavoro e miseria. Il muro divide, non protegge. Costruisce una catena di incomprensioni, disperde una cultura e una vita, spezza le unità abitative, e umilia la voglia di vivere, spegnendo qualsiasi speranza. Sospende i gesti abituali - dalla propria abitazione alla scuola, ai campi, al negozio bisogna effettuare chilometri e allungare i tempi -, disperde nel silenzio le voci, le parole, i linguaggi. E non protegge, perché esaspera la vita quotidiana, rende continui i controlli, umilia chi li fa e chi li subisce, e quindi aumenta gli odi, da entrambe le parti. E la rabbia, che dà forma alle parole, costruendo un confine di resistenza come il canto del poeta palestinese Mahmoud Darwish, che risuona dall'altra parte del muro: «Quando le mie parole erano grano / io ero terra. Quando le mie parole erano collera / ero tempesta. Quando le mie parole erano roccia / ero fiume». Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare il proprio parere alla redazione de La Stampa. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.