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La Repubblica Rassegna Stampa
16.07.2004 Fiamma Nirenstein ha visto giusto
i "progressisti" cominciano a strillare

Testata: La Repubblica
Data: 16 luglio 2004
Pagina: 42
Autore: Miriam Mafai
Titolo: «Israele passione e ragione»
Fiamma Nirenstein ha scritto il libro più coraggioso, illuminante e comprensibile che si potesse scrivere oggi sulle strette connessioni che esistono fra antisemitismo e ostilità-odio nei confronti dello Stato di Israele. Si badi bene, nei confronti dello Stato di Israele, non del governo israeliano. Oggi, su Repubblica, Miriam Mafai, recensendolo, fa intendere al lettore che la verità è l'opposto. Mafai attua nei confronti di Nirenstein la stessa operazione che gli antisemiti attuano verso Israele: la delegittimazione.
La lettura che ne fa Mafai, e se ne accorgeranno i lettori del libro confrontandolo con l'articolo che riproduciamo,è totalmente distorta. Attribuisce a Nirenstein inesattezze, partigianerie, cecità, quando è la stessa Mafai, forse per quel pregiudizio che la contraddistingue e che Nirenstein ha così ben disvelato,a dimostrare inaccuratezza, poca conoscenza della storia e, di fatto,malevola riproposizione dei fatti. Come quando cita che l'Alta Corte di giustizia israeliana avrebbe messo in dubbio la legittimità della Barriera difensiva. E' vero il contrario. Non solo ne ha affermato la legittimità, ma nello stabilire una modifica del tracciato, ha ribadito che la barriera è indispensabile perchè salva le vite degli israeliani dal terrorismo palestinese.
Ma questo interessa poco alla Mafai, che dalla tranquilità del suo salotto romano ha evidentemente poco da temere dal terrorismo palestinese. Tanto è vero che nella sua recensione non vi fa cenno. Li conosciamo bene questi intellettuali progressisti. Pronti a piangere sui sei milioni di ebrei morti uccisi dai nazisti, ma dall'occhio asciutto e ostile nei confronti dei sei milioni di ebrei vivi in Israele sotto minaccia di un nuovo sterminio. E' quel nervo scoperto che Fiamma Nirenstein ha così coraggiosamente disvelato.
Consigliamo ancora una volta ai nostri lettori di leggere questo libro straordinario (Gli antisemiti progressisti, Rizzoli) e di scrivere a Repubblica per protestare contro la totale disinterpretazione che ne fa Miriam Mafai.

Ecco il suo articolo:

Mi è accaduto qualche giorno fa di immergermi, prima con fastidio poi con un certo perverso interesse, nella lettura di alcuni fascicoli della Difesa della Razza, scivolati da una vecchia cartella. Anche le cattive letture possono essere utili. Una lettura utile perché quella rivista, rappresenta una sorta di compendio di tutti i furori antiebraici, da quelli pseudoscientifici (con riferimento alle ricerche antropologiche dell´Ottocento) a quelli tramandati dalla Chiesa cattolica (gli ebrei colpevoli di «deicidio») a quelli presenti nella tradizione e cultura popolare (l´ebreo avido di danaro). Ecco allora pagine e pagine nelle quali testi di Julius Evola o di Pende vengono illustrati con le vignette nelle quali «il giudeo», l´inevitabile naso adunco, viene indicato ora come lo spietato usuraio affamatore dei poveri, ora come l´avido e potente banchiere che tira le fila della politica di Roosevelt e di Churchill. E mentre si plaude alla «determinazione» con la quale gli ebrei vengono espulsi da tutte le terre conquistate dall´Asse si spiega che essi rappresentano un serio pericolo per la nostra civiltà. Lo provano i cosidetti Procolli dei Savi di Sion, che svelano gli espedienti da loro adottati per diventare i padroni del mondo. Ma non basta. A riprova della loro ferocia, viene ricordato il cosidetto «sacrificio rituale», con il quale gli ebrei si procurano il sangue fresco di fanciulli cristiani necessario per impastare le «azzime»da consumare a Pesach.
L´antisemitismo è duro a morire. Ancora oggi in molti paesi arabi (tra cui l´Egitto e la Giordania) vengono regolarmente messi in onda serial televisivi che attestano la veridicità dei Protocolli e del «sacrificio rituale». Ma alcuni degli stereotipi illustrati sessant´anni fa sulla rivista fascista sono duri a morire. Se ne può leggere una traccia anche nella nostra civilissima Europa. Secondo un sondaggio di pochi mesi fa infatti il 68% degli europei è convinto che gli ebrei abbiano caratteristiche particolari, e si distinguano dai conterranei per un particolare, eccessivo attaccamento al danaro. Il 42% sostiene che hanno troppo potere nel mondo degli affari. (In Francia fece clamore un paio di anni fa un libro di Renaud Camus che lamentava la presenza eccessiva di giornalisti ebrei a France Culture. Il libro cadde sotto la tagliola della legge del 1972 che vieta l´incitamento all´odio razziale e venne ritirato dalla vendita). E ancora, secondo un altro sondaggio la maggioranza degli europei ritiene che il conflitto israelo-palestinese costituisca la più preoccupante possibile causa di un nuovo conflitto mondiale.
Dati preoccupanti, tanto più quando si mettano in relazione con atti di violenza (scritte minacciose vicino alle sinagoghe, profanazione dei cimiteri), tanto più preoccupanti quando vengano messi in relazione con altri episodi che segnalano un venir meno dei processi di integrazione, un approfondirsi dei contrasti, delle diffidenze, delle ostilità tra gruppi etnici e religiosi. E tuttavia questi dati non bastano per lanciare contro l´Europa l´accusa infamante di antisemitismo. Non bastano per sostenere che in Europa va prevalendo la convinzione della illegittimità di Israele come stato nazionale. Se l´antisemitismo infatti è una malattia non ancora del tutto estirpata, non è accettabile il ricatto di coloro per i quali ogni critica allo Stato di Israele ed alla sua politica andrebbe classificata immediatamente come manifestazione di antisemitismo, e come tale condannata.
Ed è invece proprio questa la trappola che ci tende Fiamma Nirenstein con il suo ultimo libro (Gli antisemiti progressisti Rizzoli, pagg.394, euro 18.50, che sarà presentato al Senato lunedì 19, alla presenza di Marcello Pera, Giuliano Amato, Rocco Buttiglione, Francesco Perfetti, Antonio Polito, n. d. r.). Una trappola, o meglio un ricatto intellettuale al quale è necessario sottrarsi se non vogliamo rinunciare alla nostra autonomia e libertà di giudizio. Fiamma Nirenstein, che da quasi dieci anni ha scelto di vivere e lavorare in Israele è animata da una sorta di furibonda, nobile passione per quel paese e la sua tormentata, tragica storia. Ma il sentimento sembra farle groppo in gola. Le sue pagine non sono un appello alla ragione del lettore, ma alle sue viscere. E alla fine il lettore ne esce come stordito, ma non convinto. (Che ci sia qualcosa nell´aria di Firenze che favorisce la nascita di predicatori come la Fallaci e la stessa Nirenstein?) La passione anche la più nobile e generosa può accecare. Rende possibili inesattezze, fraintendimenti, forzature di cui il testo della Nirenstein è ricco. Ecco allora citazioni di cui non sono note le fonti (chi è l´ignoto professore universitario che si augura la scomparsa di Israele?), generalizzazioni arbitrarie (non basta la presenza di una bandiera con la faccia di Saddam Hussein per trasformare la marcia della Pace di Assisi in una manifestazione a sostegno del dittatore irakeno), accostamenti capricciosi tra Mussolini, Pio XII e Togliatti, colpevoli di aver criticato, in diverse epoche e contesti, l´american way of life. Tra le tante forzature mi limiterò a segnalarne una perché rivelatrice, a mio avviso, dell´accetta con la quale la Nirenstein affronta la realtà. E dunque. Nel 2002 un gruppo di professori di Bologna sottoscrisse un appello con il quale si chiedeva la sospensione dei rapporti con le università israeliane. Una iniziativa che suscita la legittima indignazione della Nirenstein che però volutamente omette di ricordare che quel testo è stato immediatamente contestato e condannato dalla maggioranza dei docenti di quella università. (La stessa cosa è accaduta in Francia e in Inghilterra per quanto io ricordi). Segno dunque che non siamo tutti accecati da un presunto odio antiisraeliano e che, quando segni di questa malattia si presentano, vengono messi in opera adeguati anticorpi, cosa che la Nirenstein dovrebbe valutare come un dato positivo ma che invece volutamente ignora perché contraddice la sua tesi di fondo.
Cerchiamo dunque di distinguere, all´interno stesso della trama che ci viene proposta le manifestazioni di vero antisemitismo («la bandiera gialla che segna una pestilenza in via di diffusione nel cuore stesso della globalizzazione») dalle critiche alla politica di Israele che, beninteso, possono essere giuste o sbagliate ma sono sempre legittime e non possono venire condannate e liquidate come prova di antisemitismo.
E allora, non c´è dubbio che il terrorismo islamico, la jihad lanciata contro gli «infedeli e i crociati» si nutre anche di antisemitismo (pur se arabi ed ebrei appartengono, secondo le Scritture, allo stesso ceppo come discendenti dei due figli di Abramo). Ed è certamente prova di antisemitismo la riproposizione, che abbiamo già ricordato, nella pubblicistica e nelle Tv del mondo arabo delle più vergognose leggende nere antisemite. E, ancora, ha senza dubbio ragione la Nirenstein quando denuncia come una vergogna per l´Onu lo svolgimento della Conferenza di Durban, intitolata alla lotta contro il razzismo ma nel corso della quale vennero tollerate, dall´Alto Commisario Mary Robinson, manifestazioni esplicitamente antisemite e persino aggressioni a giovani israeliani.
Ma il punto di dissenso è un altro. Lo rende esplicito la stessa Nirenstein quando afferma che «Israele è divenuta l´hic Rhodus, hic salta della battaglia contro l´antisemitismo... per cui chi oggi sostiene che l´odio antisraeliano non ha a che fare con l´antisemitismo ma solo con la critica alla politica di quel paese o del suo governo, mente, spesso con furbizia oppure inconsciamente». Non so se iscrivermi tra i furbi o tra gli inconsapevoli, ma io, che lungi dall´odiare Israele sono convinta del suo pieno diritto a vivere in sicurezza su quella striscia di terra, respingo l´etichetta di antisemita che l´autore tenta di affibbiarmi nel momento in cui, con molti altri europei e israeliani, critico la politica del governo di Sharon. Se Israele è una democrazia, e io credo che lo sia, non può sottrarsi, dichiarandole illegittime, alle critiche le vengono rivolte.
In questa materia, la Nirenstein si rivela, anche qui per un eccesso di passione, più realista del re. Si veda come tratta la questione del Muro, che per la verità rifiuta di chiamare Muro, adottando il termine più anodino di «recinto difensivo». E dunque chi critica il Muro è antisemita? Il caso ha voluto che negli stessi giorni in cui il libro della Nirenstein è arrivato nelle nostre librerie, sia stata resa nota, qualche giorno prima della deliberazione della Corte dell´Aja, la sentenza della Corte Suprema di Israele che mettendo in dubbio la legittimità di quel Muro, chiedeva ne venisse modificato il tracciato tenendo conto degli interessi vitali delle migliaia di palestinesi arbitrariamente allontanati dalle loro case, dai loro campi, dai loro villaggi. Le proteste che in Israele e in Europa erano state espresse, lungi dall´essere viziate da antisemitismo, erano dunque del tutto legittime se la stessa Corte Suprema ne ha riconosciuto la fondatezza. Quella sentenza sta ad indicare anche la necessità, di trovare una via d´uscita, un compromesso nei rapporti tra palestinesi e israeliani. Ma per la Nirenstein coloro che anche in Israele, criticano la politica di Sharon non sono mossi da amore per il proprio paese ma piuttosto « dalla facile fama di dissidenti che in tal modo si conquistano e da interessi pratici e politici di carattere personale». Il furore, la passione non consentono scambio di opinioni, reciproca comprensione, tanto meno compromessi. Eppure per dirla con Amoz Oz, «la parola compromesso è sinonimo di vita. Il contrario di compromesso non è integrità e nemmeno determinazione. Il contrario di compromesso è fanatismo, morte».
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