La Corte Suprema d' Israele legittima la barriera, l'Aja la condanna ma per il quotidiano della Margherita le due sentenze si equivalgono
Testata: Europa Data: 13 luglio 2004 Pagina: 3 Autore: Dan Rabà Titolo: «Quel muro è solo un ostacolo»
Su Europa di oggi viene pubblicato un articolo di Dan Rabà a proposito della sentenza della Corte dell' Aja e della barriera difensiva. Il titolo "Quel muro è solo un ostacolo" riprende un'espressione dell'autore cambiandone il significato. Rabà scrive infatti che il muro non è la "proposta di confine" israeliana,, ma "solamente un ostacolo", "uno strumento militare esclusivamente difensivo", mentre il titolo allude evidentemente al luogo comune del muro "ostacolo per la pace". Anche se i redattori di Europa hanno saputo peggiorarlo notevolmente scegliendo il titolo e l'ochiello ("Il premier non accetta pronunciamenti che tutelino i diritti dei palestinesi e continua a costruire la barriera", quando Rabà scrive che Sharon ha accettato la sentenza della Corte Suprema d'Israele volta appunto a tutelare i diritti dei palestinesi) lo stesso articolo non è esente da critiche. In particolare sconcerta la tesi di Rabà secondo cui la sentenza dell'Aja e quella della Corte Suprema sarebbero molto simili, mentre sono diverse sia sul piano giurudico che su quello pratico, in quanto una legittima e l'altra condanna la barriera; una riconosce il diritto all'autodifesa di Israele, l'altra di fatto lo nega. Una falsità che, se fosse voluta, dimostrerebbe, qualora ce ne fosse ancora bisogno, la faziosità del quotidiano della Margherita . Ecco il pezzo: Dietro alla costruzione di questo muro si può dire che c’è tutta la paura del terrorismo della maggioranza degli israeliani: oggi un gran numero di persone si sente perseguitato da questa minaccia e crede così nel diritto di potersi difendere con ogni mezzo. Proprio la paura ha fatto sentire la presenza di un possibile attentatore dietro ogni angolo, dietro ogni volto sospetto, dietro ogni tipo "mediorientale", ed è la paura ad aver portato ad edificare questa barriera. D’altro canto, se una volta i politici non volevano delimitare nessun confine e aprivano ogni passaggio, lasciando sempre più spazio al pensiero che "questa terra è la mia terra" (possibilmente tutta), il modello di politico- guerriero che oggi prevale ha pensato ad una barrriera, ad un muro difensivo. Ha costruito così un ostacolo che impedisca al "nemico assetato di sangue" di entrare e minacciare la gente. E già che ci siamo – ha pensato – facciamolo solido, alto e massiccio. Ci viene anche il sospetto che qualcuno possa pensare che questo muro è la nostra «proposta di confine»: non sia mai, questo muro è solamente un ostacolo, è uno strumento militare esclusivamente difensivo ed è stato edificato mentre la gente era intenta a discutere se fosse in grado o meno di fermare gli attentati (si dice che ne fermi il 90%). Così, mentre alcuni discutevano, c’è stato chi ha pensato che era meglio approfittare dell’occasione per "rubare" un po’ di terra, per allargarsi e costruire il muro sulla terra altrui. Ed è accaduto che del tracciato del muro in Isralee si sia parlato pochissimo, come se non ci fosse tempo, tra gli attentati, il sangue che è continuato a scorrere, Israele in azione. C’è stato chi, come alcuni politici di sinistra – il solito Yossi Beilin per esempio – ha sottolineato che il muro doveva essere costruito sul tracciato più prossimo al confine possibile, cioè la linea del cessate il fuoco del ‘67, ma nel frattempo dagli Stati Uniti arrivava sempre più insistente la voce che il muro era un’ostacolo alla pace e alla trattativa. Siamo cosi arrivati al 30 giugno scorso, quando la massima corte di giustizia israeliana (Bagaz) ha emesso una sentenza relativa ad un ricorso di palestinesi rispetto ai danni subiti a causa della costruzione del muro, in cui si parlava di danni materiali e morali, come quelli inferti alla qualità della vita delle persone. La sentenza allora ha riconosciuto i diritti della popolazione palestinese, affermando che non tutti gli strumenti difensivi sono possibili, che l’esercito deve tener conto delle necessità di vita della popolazione – come in questo caso i danni ai palestinesi – che non sono proporzionali alle necessità difensive di quei 40 km di muro costruiti intorno a Gerusalemme – 30 km devono infatti essere modificati. Il tribunale non ha definito il tracciato del muro e non nega il diritto alla difesa di cui è responsabile l’esercito; tutela però le condizioni di vita della popolazione palestinese, con cittadinanza israeliana, di Gerusalemme. È chiaro che questo precedente apre la strada ad altre richieste analoghe lungo tutto il tracciato. Sharon si è detto «soddisfatto del pronunciamento della Corte che riconosce la ‘legittimità’ del muro difensivo», e ha dato ordini all’esercito di preparare tragitti alternativi. Sembrava allora tutto tranquillo: tutti i parlamentari hanno lodato i giudici, tranne qualche deputato arabo perplesso e incredulo. Dopo meno di due settimane, però, la Corte internazionale dell’Aja – organo dell’Onu – ha emesso una sentenza, o meglio una opinione non vincolante secondo la quale il tracciato del muro viola il diritto internazionale e danneggia i palestinesi, che devono essere risarciti. L’opinione è del tutto simile a quella del tribunale israeliano, ma Sharon ha reagito a questo pronunciamento in maniera del tutto differente, suggerendo che è stato proprio questo pronunciamento a causare il primo attentato dopo quattro mesi di silenzio in Israele (l’attentato ad una stazione dell’autobus di Tel Aviv di domenica, in cui è morta una ragazza di 19 anni e ci sono stati 40 feriti). Sharon ha dichiarato che si è trattato di un atto di antisemitismo e che Israele non riconosce l’autorità della Corte dell’Aja di giudicare il conflitto tra palestinesi ed israeliani. È sconcertante come un’opinione tanto simile possa ricevere due reazioni cosi diverse, ma forse permette una riflessione sulla trattativa, sulla mediazione sugli obbiettivi di certi atti formali. Se ci fosse stato un corpo, una commissione ,un responsabile alla mediazione tra le parti, le due opinioni potevano essere coordinate e finalizzate allo spostamento fisico del muro (la parte pesante del muro è costituita di lastre di cemento armato spostabili). La strumentalizzazione del parere della Corte dell’Aja da parte del campo favorevole ai palestinesi come strumento di attacco e offesa contro il muro consolida invece la convinzione israeliana – e del campo a suo favore – che il muro è la soluzione al terrorismo e che tutti sono «contro di noi». Anziché avvicinare una soluzione, una mediazione, si è consolidato un muro. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione di Europa. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.