Ritorna il tandem: vicina l'alleanza Sharon-Peres analisi di Fiamma Nirenstein
Testata: La Stampa Data: 13 luglio 2004 Pagina: 13 Autore: Fiamma Nirenstein Titolo: «La sfida dei due grandi vecchi»
Si ritorna a parlare di un ingresso dei laburisti nella compagine di governo. Lo analizza Fiamma Nirenstein sulla Stampa di oggi 13.7.04 GERUSALEMME SONO unghiate letali e animate dal senso che la svolta che Sharon e Peres hanno concertato ieri sia decisiva, quelle che ieri hanno segnato la giornata del neonato tentativo di formare un governo di coalizione. A sera la coalizione esistente e una opposizione in parte palese in parte strisciante si sono trovate testa a testa, 55 voti contro 55, a seguito di un voto di sfiducia su una mozione di Shas, il partito religioso. La mozione di argomento economico non è legata allo sgombero nè al govreno di coalizione all’orizzonte. Ma il risultato è un segnale di acuto dissenso. Anche la settimana scorsa la Knesset ha votato 56 a 55, quando l’opposizione ha bisogno, per rovesciare il governo, di 61 voti. La destra è all’attacco, per salvare gli insediamenti. E la sinistra, quando Sharon è debole, può alzare il prezzo: la rivolta dentro il Likud e fra i partiti dell’attuale governo si sposa con l’opposizione a Shimon Peres che ieri ha aperto la trattativa per avviare il governo di cui dice «Non mi perdonerei mai se non aiutassi lo sgombero, se perdessimo l’occasione». Così, anche se la trattativa fissata sembra andare più per le lunghe, pure ieri monumentale e nobile, la vecchia coppia, Ariel Sharon e Shimon Peres ha fatto colazione nella residenza gerosolemitana del premier, nell’ombroso quartiere di Rehavia, è ha deciso, almeno in linea di primcipio: il governo di coalizione si farà e cominciano le trattative. Lo storico, impossibile sgombero di Gaza e di parte e di parte della Cisgiordania, si farà insieme. Il partito laburista è ufficialmente invitato. Ieri ha tempestosamente discusso l’invito, e l’opposizione non è stata da poco. Fra gli uomini contro (tanti), pezzi da novanta come il capo del sindacato Amir Peres. E ancora più nella tempesta, il Likud, il grosso partito di governo, ha già tenuto, ieri, una riunione in cui Sharon si è trovato a fronteggiare una quantità di nemici fra i suoi. Si oppongono anche grossi calibri come il ministro degli esteri Silvan Shalom e Bibi Netanyahu ministro delle Finanze, che vedono i loro ruoli in pericolo. Ma i due vecchi più importanti di Israele sono forti e determinati e riflettono la volontà della maggioranza del Paese. Il capo dell’opposizione, il padre della patria benevolo e inflessibile, Shimon Peres, è arrivato di mattina presto da Ariel Sharon, paterno e assertivo padre della patria a sua volta, e non ha voluto con sè neppure i consiglieri più stretti. Anche «Arik» era solo. I due si conoscono da una lunga vita, sono da sempre compagni e nemici: anche Sharon viene dal guscio laico e socialista, ma anche Peres è andato a confortare gli insedianti della Giudea e della Samaria quando la vittoria, nel 1967, sembrava portatrice di sicurezza. Ambedue sanno che Israele non scherza con il problema della propria difesa: Arik ha vissuto tutte le guerre sul campo con i suoi soldati, è stato ferito sia alla testa che al petto, ha evitato due volte che gli attacchi egiziani nel Sinai si risolvesse in una marcia vittoriosa delle armate di Nasser e di Sadat verso Tel Aviv. Ma Shimon Peres, prediletto da Ben Gurion, invece di marciare con l’esercito l’ha costruito, plasmando l’aviazione israeliana, e la bomba atomica di Dimona. Poi Shimon, Premio Nobel, a fianco di Ytzchak Rabin ha imboccato con passione, a testa bassa, la strada di Oslo e la pace è diventata la sua bandiera, anche se non ha mai rinunciato a denunciare il tradimento di Arafat a Camp David. Ma Sharon, che non a mai creduto a Oslo e si è schierato fino a ieri con i settler, in questi anni, specie durante l’ultima Intifada, ha sostenuto con passione contro parte dei suoi che l’unica strada sia chiudere Israele in confini difendibili sgomberando, per la prima volta nella storia, quegli insediamenti agricoli e industriali che per tanto tempo hanno costituito per lui l’idea di un presidio indispensabile. Sharon e Peres convergono oggi su una prospettiva parziale e limitata di uscita unilaterale, piccola fiammella, in un Medio Oriente dominato dalla violenza. Sharon, pensa che sgomberare Gaza e parte dei territori richiederà ai palestinesi una nuova leadership fattiva, pratica, non massimalista. Insomma, più democratica e disposta a combattere il terrore. Peres, vede il ritiro come un primo passo che scavalcherà molto presto l’unilateralismo e consentirà di tornare a trattare con i palestinesi. E’ proprio qui che si scontrano le ideologie, ed è qui che l’ala destra del Likud e i partiti di destra vogliono fare leva. La sinistra ha già sbagliato gravemente , dice il capo della destra Uzi Landau, quando si è messa nelle mani di Arafat e l’ha armato: così, si è ritrovata con una grande guerra terrorista in casa. «Vogliamo fare lo stesso fatale errore aprendo le porte del governo a Shimon Peres?». Peres, attaccato dai suoi, dice che dei ministeri gli importa poco, che non si deve perdere l’occasione di pace che si presenta. «Dobbiamo laciare Gaza, dobbiamo sgomberare gli insediamenti». Le condizioni che vengono negoziate da oggi sono legate oltre che al numero dei ministeri ai tempi dello sgombero, alla sua ampiezza. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare il proprio parere alla redazione de La Stampa. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.