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La Repubblica delle donne Rassegna Stampa
12.07.2004 Come rinunciare al mito di Arafat?
quando alla verità si preferiscono le proprie illusioni

Testata: La Repubblica delle donne
Data: 12 luglio 2004
Pagina: 18
Autore: Alberto Stabile
Titolo: «Arafat, l'araba fenice»
A pagina 18 di "D-La Repubblica delle Donne" di sabato 10 giugno, Alberto Stabile firma un articolo intitolato "Arafat, l'araba fenice"

(a cura della redazione di IC)

L'anno scorso di questi tempi, Yasser Arafat era un uomo finito, un condottiero sconfitto. La comunità internazionale, trascinata dagli Stati Uniti, aveva puntato le sue carte su Abu Mazen, il primo ministro che nei piani di Bush avrebbe dovuto incarnare la "nuova leadership" palestinese. Lui, il vecchio rais che per un decennio era stato corteggiato, blandito e foraggiato dalle cancellerie di mezzo mondo veniva adesso drasticamente relegato tra glMa all'uomo appartiene a quella generazione di leader mediorientali che hanno fatto della sopravvivenza, non meno che della dissimulazione un'arte raffinatissima, un motivo esistenziale i "ostacoli" alla pace. Anche la salute sembrava averlo abbandonato.

Il tono apologetico continua.
Ma ve l'immaginate un Arafat chiuso in un doppiopetto grigio, senza la kefiah bianca e nera che ne cela la calvizie, senza la rivoltella al fianco che ne rammenta la risolutezza, senza la divisa stazzonata, le tasche rigonfie di memo scarabocchiati su foglietti volanti, condannato a svolgere un ruolo puramente simbolico, come pretenderebbe il rais egiziano Hosni Mubarak, d'accordo con Sharon e con Bush, perché il ritiro israeliano da Gaza sia accompagnato da una sostanziale riduzione dei poteri che Arafat esercita sulle 12 polizie 12 tuttora dipendenti ai suoi ordini?

Con la dovuta comprensione per l'iconografia di Arafat, la sostanziale riduzione dei suoi poteri non dovrebbe risultare così nociva a tutto il Medio Oriente
Fatto sta che se ora la sua reggia è ridotta a un cumulo di macerie, il suo esercito è in gran parte in catene e la sua corte raccoglie solo uno sparuto drappello di fedeli esecutori, Arafat è sempre lì: inamovibile, nonostante le minacce di "rimuoverlo" a forza, imprescindibile nonostante il proposito di renderlo "irrilevante". Di Abu Mazen, invece, chi se ne ricorda più?
Si tratta di un oblio cui Arafat non è estraneo, visto che, per fargki abbandonare l'incarico, sembra essere giunto a tramare il suo assassinio, come si evince dall'intervista reticente, ma di facile interpretazione, che lo stesso Abu mazen ha recentemente concesso a Newsweek.
Per cui, seppur citando un versetto del Corano in un momento in cui le minacce di Sharon s'erano fatte particolarmente dure, ha invitato il suo popolo a "terrorizzare il nemico", tralasciando quello che lo stesso versetto aggiunge "Ma se il tuo nemico vuole la pace, offrigliela"

La dimenticanza è giustificata: le minacce di Sharon erano particolarmente dure. Anche un Nobel per l Pace, specie se dotato di rivoltella d'ordinanza, ha il diritto all'autodifesa. Se poi questa si esprime "terrorizando il nemico" con stragi di civili innocenti Stabile non ha alcun commento da fare, e nemmeno intende ricordarlo ai suoilettori.


Indubbiamente la segregazione senza processo che gli è stata imposta dal governo israeliano, qualcosa a metà strada fra il soggiorno obbligato e il braccio della morte, ne ha compromesso oltre alla salute, la capacità di esercitare i suoi poteri di presidente eletto dei palestinesi.
Secondo l'autore si configura lo scontro fra due prassi politico giuridiche: quella israeliana caratterizzata dalla mancanza di garanzie e dall'illegalità (si parla di condanne senza processo, di braccio della morte) e quella palestinese caratterizzata dalla democrazia e da libere elezioni.


Dopo oltre due anni di sostanziale prigionia, Arafat, che il 6 agosto compirà 75 anni, appare come la vittima di una punizione arbitraria e, oltretutto inutile. Lungi dal favorirne l'emarginazione, l'isolamento impostogli lo ha, infatti, avvicinato al suo popolo, ne ha fatto una sorta di emblema delle sofferenze comuni patite in anni di rivolta armata.Cosa che in un modo o nell'altro, egli stesso non tralascia di far notare agli ospiti che vanno a visitarlo.
Ovviamente l'ipse dixit di Arafat non è sottoposto a verifica


Il risultato è che Arafat nonostante la montagna di errori commessi e la crescente sfiducia di cui è circondata la sua leadership


Sarebbe stato eccessivo pretendere il termine "persona" al posto di "leadership"


Resta di gran lunga il più popolare tra i palestinesi[…..]
Arafat, l'ultimo dei grandi sopravvissuti del Medio Oriente, ha dimostrato una capacità tale di adattamento alle diverse situazioni, una tale versatilità nell'indossare i costumi più svariati
che alla fine è riuscito a confondere i suoi stessi avversari.
Prova ne sia la polemica, forse in parte motivata da ambizioni personali,
Non deve mancare un pò di sano sospetto a proposito degli israeliani
E tuttavia non priva di importanti implicazioni tra due dei massimi strateghi israeliani, l'ex capo dell'intelligence militare (Aman) Amos Malka e l'ex capo Ricerche dello stesso servizio, in pratica il n.2 Amos Gilad.
Il primo oggi in pensione, il secondo tutt'ora titolare di un importante incarico. Secondo Malka, Gilad aveva in sostanza capovolto le valutazioni fatte dall'Intelligence su Arafat per compiacere il governo conservatore guidato Sharon.
In particolare Gilad, contrariamente all'orientamento del servizio, alla cui formuazione aveva egli stesso partecipato, avrebbe affermato che Arafat "era la stessa cosa di Saddam Hussein" e che i suoi propositi di pace, proclamati con la firma degli accordi di Oslo non erano altro che diversivi tattici, fumo negli occhi.

Che cosa non ci si inventa su un uomo di pace, pur di soddisfare certe ambizioni


Da innescare attraverso il ritorno di centinaia di migliaia di profughi palestinesi cui non ha mai voluto e non ha mai potuto rinunciare


Che dovrebbe funzionare in seconda istanza, qualora non riuscissero le brigate dai Martiri di Al Aqsa

Da qui la conclusione fatta propria dal governo Sharon e riassunta nello slogan "tra i palestinesi non esiste un partner per la pace".
Gli israeliani sono davvero senza ritegno: vogliono resistere a un Nobel per la Pace che vorrebbe annientarli con la bomba demografica


Conclusioni che l'altro settore dell'Intelligence ha liquidato come profezie "auto realizzatesi", basate su falsi assunti.
Dopo 40 anni di lotte furibonde e intese promettenti, di slanci e di chiusure,di minacce e di blandizie, Israele non sa ancora decidersi se Arafat è l'"arciterrorista" che Gilad paragona a Hitler o il partner imprescindibile pronto a riconoscere, come ha fatto in una recente intervista ad Haaretz, l'essenza ebraica dello stato israeliano
Posto che rimane un certa contraddizione tra il voler distruggere Israele con la "bomba demografica" e riconoscerne l'essenza ebraica, è curioso come l'elemento caratterizzante l'ambiguità di Arafat sia l'indecisione israeliana.
[……] Ora è fuor di dubbio che il governo israeliano e l'Amministrazione americana vedano in Dahalan l'uomo forte che potrà gestire la sicurezza a Gaza, una volta che l'esercito israeliano si sarà ritirato dalla Striscia, il che secondo le previsioni più rosee dovrebbe accadere entro la fine del 2005. Ma di quanta credibilità gode Dahalan nel vertice palestinese? Arafat cui non sfugge una virgola di quel che succede e di quel che si racconta nel suo orticello non si è mai espresso pubblicamente contro l'uomo forte di Gaza. In compenso secondo alcuni media israeliani, Rajub si è lasciato scappare una battuta: "Dahalan? Lo sanno tutti che è un agente di Israele".
La novità in questo scontro di potere è che gli attori sulla scena non sono più soltanto israeliani e palestinesi. Adesso ci sono anche gli egiziani e, domani, forse, i giordani, che potrebbero essere coinvolti non tanto nell'attuazione del piano di "disimpiego" ideato da Sharon quanto nella problematica gestione del dopo ritiro.
Gli egiziani, in particolare, sembrano intenzionati a fare sul serio, lanciandosi in un'operazione altamente rischiosa che, oltretutto, rappresenta un capovolgimento della loro politica nei confronti di Gaza, dove erano i padroni prima della guerra del'67, ma dove fuggirono senza il benché minimo rimpianto. […..]
Oggi pare che Arafat sia più disponibile verso le richieste egiziane, ma si è riservato il diritto di decidere chi sarà il ministro incaricato di raccogliere parte dei suoi poteri.
Se mai accadrà questo passaggio di consegne sarà sicuramente favore di un uomo di sua fiducia.
Come si conviene ad un leader democraticamente eletto.

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