L'impegno di Israele l'opinione dell'ambasciatore Ehud Gol
Testata: La Repubblica Data: 09 luglio 2004 Pagina: 14 Autore: Ehud Gol Titolo: «Il nostro Impegno»
Pubblichiamo l'articolo dell'Ambasciatore d'Israele a Roma Ehud Gol uscito su Repubblica venerdì 9 luglio 2004 Caro direttore, dopo oltre tre anni di intifada e centinaia di attacchi terroristici contro la popolazione civile israeliana, gli ultimi mesi hanno registrato una drastica riduzione sia del numero di attacchi palestinesi sia del numero delle vittime. Questa riduzione del livello di violenza non è il risultato di alcun tipo di azione da parte dell’Autorità Nazionale Palestinese, la quale, tutt’ora, continua a non far nulla per combattere il terrorismo. La parziale costruzione di una barriera antiterrorismo ha portato a una reale riduzione del livello di violenza nella nostra regione. Questo sforzo ha trovato un ulteriore enorme aiuto nel maggiore controllo e blocco dei fondi a disposizione delle organizzazioni terroristiche.
Nonostante ciò il processo di pace è ancora in stallo. Israele non ha intenzione di negoziare con una leadership palestinese che non combatte il terrorismo come richiesto da vari accordi sottoscritti e dalla Road Map per la pace. Per ridare un impulso al processo e toglierlo da questa fase di impasse, il governo israeliano ha recentemente adottato un piano di disimpegno che prevede un ritiro completo di ogni presenza militare israeliana assieme allo smantellamento di tutti gli insediamenti nella Striscia di Gaza e di alcuni nella Cisgiordania. Ma oggi, in assenza di un partner palestinese credibile e affidabile, questo piano è necessariamente di natura unilaterale. Tuttavia il governo è ancora determinato a compiere questo passo importante, nell’interesse d’Israele e nell’interesse della pace. Il piano porterà una separazione fisica tra i due popoli nei prossimi due anni, facendo diminuire le occasioni quotidiane di frizione. Infine, il piano di disimpegno servirebbe da modello che potrebbe, in seguito, essere applicato al resto della Cisgiordania.
Ma non è ancora abbastanza. C’è anche bisogno di una forte pressione internazionale, da parte europea e di altri, sulla leadership palestinese, affinché essa rispetti gli obblighi assunti con la Road Map promossa a livello internazionale, obblighi che comprendono una seria lotta contro il terrorismo e riforme politiche all’interno dell’Autorità palestinese che la renderebbero meno corrotta e più democratica. Anche la comunità internazionale può contribuire garantendo che, dopo l’uscita degli israeliani da Gaza, l’area non diventi una gigantesca pedana di lancio per altri attacchi terroristici e missili contro Israele, come accaduto nelle scorse settimane a Sderòt, dove dei missili Kassam hanno causato due morti, tra cui un bambino di 3 anni.
Il disimpegno israeliano è giusto da un punto di vista morale, poiché Israele non desidera occupare parti della Striscia di Gaza, ma è sensato anche da un punto di vista strategico e tattico, perché porrebbe fine a una situazione in cui un ampio numero di soldati israeliani è dispiegato in difesa di 7.500 cittadini circondati da un milione e mezzo di palestinesi ostili, in una zona che, probabilmente, in futuro, farà parte di uno Stato palestinese.
Il piano di Sharon nasce da un realismo politico e militare e dalla convinzione che un processo di pace che non va avanti è destinato a portare ulteriore violenza e sofferenze a entrambe le parti del conflitto. Il piano non sostituisce la Road Map o altri accordi esistenti tra noi e i palestinesi. Esso è piuttosto un modo per riportare entrambe le parti sulla via del dialogo e, magari, sulla via di una coesistenza pacifica. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla direzione de La Repubblica. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.