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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
10.07.2004 Sentenza Aja: una fotografia ingannevole
ottimi invece Panebianco e Frattini

Testata: Corriere della Sera
Data: 10 luglio 2004
Pagina: 1
Autore: Angelo Panebianco-Davide Frattini
Titolo: «La Corte ONU: il muro illegale»
Il Corriere di oggi dedica alla sentenza dell'Aja l'editoriale di prima pagina di Angelo Panebianco che riproduciamo e due pagine interne dalle quali riprendiamo l'articolo di Davide Frattini.
Quel che ci stupisce invece, e vogliamo segnalarlo ai lettori perchè scrivano al Corriere per protestare è la fotografia che illustra i servizi a pag.6-7.
Vi appare il "muro", quello di cemento, descritto nella didascalia come se tutta la barriera difensiva fosse stata costruita in cemento. Che invece rappresenta, come tutti possono verificare, appena il 3% del totale. Essendo tutto il resto della barriera rappresentato da un reticolato. Fotografia e didascalia ingannevoli, dunque.

Ecco l'editoriale di Angelo Panebianco:

QUEL DIRITTO IGNORATO
di ANGELO PANEBIANCO

E’ finita come tutti prevedevano. Secondo il parere, giuridicamente non vincolante ( ma di evidente valore politico), della Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja, il muro costruito, su decisione del governo Sharon, per separare gli israeliani dai palestinesi al fine di difendere i primi dagli attacchi terroristici, rappresenterebbe una violazione del diritto internazionale e un vulnus ai diritti umani. Come previsto, i palestinesi esultano e si apprestano ad usare il parere della Corte per chiedere all’Onu sanzioni contro Israele.
La settimana scorsa, con una decisione che fa onore a Israele e alla sua democrazia ( e che consente anche di misurare la distanza, in termini di civiltà giuridica, fra Israele e i suoi vicini mediorientali), la Corte suprema israeliana, accogliendo i ricorsi dei palestinesi danneggiati, ha imposto al governo di fare drastiche modifiche al tracciato del muro: esso non potrà più, come è stato inizialmente, penetrare in profondità nel territorio palestinese.
Ma il parere della Corte dell'Aja è di tutt'altro tenore. Essa ha ignorato l'esigenza di sicurezza che ha portato alla costruzione del muro ( ridurre il pericolo di attacchi kamikaze contro la popolazione israeliana). Ha ignorato anche il fatto che da quando il muro è stato eretto gli attacchi kamikaze sono drasticamente diminuiti. Come se tra i « diritti umani » da proteggere non ci fosse anche quello di chi non vuole rimanere vittima di attacchi terroristi.
Poi si potrà discutere della questione giuridica sottostante: diversi governi, e non solo quello israeliano, hanno contestato il diritto della Corte di pronunciarsi su questo tema.
E si potrà anche discutere della composizione della Corte e del « grado di imparzialità » della medesima.
Era noto da tempo che uno dei giudici, l'egiziano Nabil al- Arabi, ha un passato politico di oppositore di Israele. La Corte, investita della questione se fosse opportuno o meno lasciare il giudice egiziano al suo posto mentre si decideva a proposito del muro, ha ritenuto ineccepibile la sua presenza.
Ma la questione, a ben vedere, è un'altra. L'idea che Corti internazionali di giustizia possano, sempre e comunque, intervenire nei conflitti armati in atto per distribuire ragioni e torti, è figlia di una generosa ( ma ingenua) utopia liberale ottocentesca. L'idea era che sui conflitti armati potesse decidere,
sine ira et studio , un consesso di giudici. Allo stesso modo in cui il giudice è chiamato a risolvere, in ultima istanza, una disputa condominiale altrimenti incomponibile.
Ma i conflitti internazionali non sono dispute condominiali. E non esistono giudici che possano intervenire sine ira et studio in un conflitto come quello israeliano- palestinese. Soprattutto, non esistono Corti che possano negare a uno Stato, nel caso specifico quello israeliano, di fare tutto ciò che esso ritiene necessario per proteggere la vita dei suoi cittadini.
Nel frattempo, insieme alle consuete immagini di guerra, e di lutti da una parte e dall'altra, da Israele arriva anche qualche buona notizia. Forse nascerà un governo di unità nazionale Sharon- Peres e forse ciò porterà al ritiro israeliano da Gaza. Insieme all' aumentata sicurezza fornita dal muro ( che comunque non potrà essere il confine definitivo dello Stato d’Israele perché questo confine può nascere solo da un negoziato con i palestinesi), il preannunciato ritiro israeliano potrebbe modificare drasticamente lo scenario del conflitto. In meglio, sperabilmente. Pareri di imparziali Corti internazionali permettendo.
Segue l'articolo di Davide Frattini:
I dubbi e le paure di Israele
« Saremo ancora più isolati »

L’editorialista Barnea: il principio della divisione è legittimo
Lo scrittore Keret: la barriera rattrista, ma ferma i kamikaze


I milioni spesi per la barriera, i frigoriferi vuoti, la paura di uscire, i palestinesi dall’altra parte. « Quando ho sentito qual era la decisione della Corte internazionale, ho iniziato a riflettere — racconta Orly Castel- Bloom — . Tante idee, tutte confuse. Per proteggerci abbiamo investito un patrimonio, ma in questo Paese sono migliaia le famiglie povere a causa dei tagli. Poi ho pensato ai palestinesi, ai loro campi coltivati. E a mia figlia che ho costretto a prendere subito la patente perché non salisse più su un autobus rischiando di saltare con un kamikaze. Alla fine mi sono detta: negli ultimi giorni ci sono state due leggere scosse di terremoto, forse sarebbe la soluzione migliore, così saremmo impegnati, noi e i palestinesi, a ricostruire le case. E il muro verrebbe abbattuto dalla natura » .
Un terremoto. O una nevicata eccezionale come quella che nel suo
Parti umane sommerge i personaggi: israeliani confusi e afferrati dalle contraddizioni, le stesse ammesse dalla scrittrice nata a Tel Aviv quarantaquattro anni fa. Israeliani che insieme a lei avranno pensato: « Ma che ne sanno i giudici dell’Aja? Non hanno mai abitato qui » . « Non credo ci possano capire — continua Castel- Bloom — . Dopo questa sentenza, verremo ancora di più isolati: già adesso quando vado all’estero racconto piano piano da dove vengo.
Forse non lo dirò più. Mi sento come la cavia di un laboratorio per ricerche sul comportamento in situazioni di ' caos totale' » .
Le reazioni nel mondo, l’angoscia dell’isolamento. E’ quello che preoccupa a Nahum Barnea , editorialista del quotidiano Yediot Aharonot : « La sentenza è solo un’opinione consultiva, nessuno verrà domani a distruggere la barriera. Ma se i Paesi dell’Unione Europea decidessero che gli israeliani devono fare il visto d’ingresso, ne risentiremmo molto. Anche le nostre esportazioni potrebbero essere colpite. Eppure il principio della divisione, della difesa è legittimo: anche tra vicini si costruiscono steccati. Certo, avremmo dovuto seguire il tracciato della Linea Verde.
Il punto è che questa barriera non la vuole nessuno, tranne i cittadini: ai coloni non piace perché equivale a rinunciare alla Grande Israele, alla sinistra in fondo non piace perché causa sofferenze ai palestinesi, all’estero non piace » . Non piace neppure al giovane scrittore Etgar Keret ( Pizzeria kamikaze ) — « l’idea del muro mi rattrista, significa riconoscere che qui la pace non ci sarà mai » — ma ammette: « Quel monumento all’impossibilità di trovare un accordo è servito a rallentare gli attentati » . Sono i numeri che elenca Asa Kasher , docente di Etica all’università di Tel Aviv: « Nel 2002 sono morti 234 civili in attentati suicidi, nel 2003 sono stati 137 e 21 nel 2004. E’ evidente che più la costruzione della barriera va avanti, meno attacchi avvengono. Ordinare di abbatterla è come abbandonare gli israeliani al loro destino: forse i giudici dell’Aja non sanno che questo Stato venne fondato proprio perché le vite degli ebrei non fossero più considerate di secondaria importanza » . Kasher mette in evidenza le differenze con la sentenza emessa il 30 giugno dalla Corte Suprema israeliana: « I nostri giudici hanno deciso che il tracciato della barriera va modificato nei punti dove il danno ai palestinesi è maggiore dei vantaggi per gli israeliani. Questo dovrebbe essere il principio: sicurezza per noi nel rispetto dei loro diritti. La decisione dell’Aja mi sembra molto politica: nel documento hanno usato la parola muro, più evocativa, ma nel progetto i chilometri costruiti in cemento sono 20 su un totale di oltre 650 » .

Uzi Arad , direttore dell’Istituto di politica e strategia di Herzliya, è convinto che la Corte internazionale abbia perso un’occasione: « Avrebbero potuto dimostrare di non essere un organismo politico, di avere una visione equilibrata. Invece non hanno tenuto conto del fatto che la barriera protegge i cittadini israeliani dai kamikaze » .
Come a dire: « Il muro è la porta di casa. Serve a decidere chi può entrare » . E’ lo slogan scelto dallo scrittore Avraham Yehoshua , 68 anni, che da pacifista ha comunque sempre sostenuto la barriera, assieme a parte della sinistra israeliana: « E’ una divisione necessaria per creare buoni rapporti di vicinato, ma andava costruita lungo la Linea Verde — commenta l’autore di L’amante e
La sposa liberata — , nessuno ne avrebbe contestato la legittimità.
L’errore è stato dividere i villaggi palestinesi dai loro campi, come ha indicato la Corte Suprema israeliana.
I giudici dell’Aja non hanno il diritto di negare a Israele la possibilità di creare un confine di difesa » .

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