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La Stampa Rassegna Stampa
08.07.2004 Israele non si fida dell'Europa
con buone ragioni

Testata: La Stampa
Data: 08 luglio 2004
Pagina: 9
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «Israele: non lavoriamo con l’Ue su temi di sicurezza»
Su La Stampa di oggi Fiamma Nirenstein firma un articolo che spiega perchè Israele non è disposto a discutere della sua sicurezza con l'Europa, pregiudizialmente sorda alle sue ragioni e troppo compromessa con Yasser Arafat. La cui leadership e la cui credibilità sono sempre più in crisi, mentre sempre più chiaro appare il suo rifiuto di combattere il terrorismo e di avviare riforme nell'ANP.
Ecco il pezzo:

Se ci fosse stato bisogno di un’ulteriore conferma di quanto sia difficile per Israele e l’Europa starsi simpatici, ieri un commento del portavoce dell’ufficio del Primo Ministro Ariel Sharon l’ha ribadito. Il portavoce Assi Shariv ha infatti affermato «Non lavoriamo con gli europei su questioni della sicurezza. Su questi aspetti, lavoriamo con gli americani, anche se per quel che riguarda l’Europa, c’è una grande varietà di temi su cui collaboriamo». Le parole di Shariv si riferivano a alla visita in Israele e nei Terrirori di una delegazione del «Quartetto» (Usa, Ue, Onu, Russia). Il portavoce ha poi puntualizzato che la delegazione non aveva chiesto un’incontro ufficiale con il governo.
Dunque: Israele, alla vigilia dello sgombero da Gaza e da parte del West Bank non si fida dell’Unione Europea come mallevadore e partner della storica operazione, mentre sceglie, e questo non è nuovo, gli Stati Uniti come garante della sua sicurezza. Ci sono due contesti che consentono la lettura dell’affermazione. Il primo è nell’attualità: due giorni or sono, la delegazione del Quartetto, in zona al fine di discutere lo sgombero da Gaza, ha tenuto un incontro di lavoro col Primo Ministro palestinese Ahmed Qreia. Il giorno dopo la delegazione, di passaggio a Gerusalemme, secondo l’Ap ha cercato di ottenere un incontro anche ai massimi livelli della piramide israeliana, ma senza successo. Shariv nega, ma i palestinesi, e anche Abu Ala (Qreia) insistono molto sulla mancanza di disponibilità israeliana, identificandola con la volontà di non riprendere la Road Map.
La Road Map per Sharon, che pure dichiara di volerla attuare appena possibile, è legata alla scelta palestinese di combattere il terrorismo, e quindi a una riforma. E su questo, solo gli Usa sono pienamente d’accordo. Inoltre, di fatto, lo sgombero di Gaza verrà discusso nei particolari questa settimana con una delegazione americana di alto livello giusto in arrivo, e Israele non intende far precedere gli incontri con il suo migliore amico da altre eventuali intese.
Ma lo sfondo strategico del rifiuto Israeliano a allargare la discussione è la delicatissima svolta per cui l’Egitto dovrebbe, con l’approvazione americana e israeliana (ma fra molti dubbi dei palestinesi) di fatto gestire le acque agitate di Gaza dopo il ritiro israeliano. Arafat non è contento di questo fondamentale sviluppo che dovrebbe evitare il caos a Gaza e richiede esplicitamente la riduzione dei suoi poteri. Si insiste infatti, affinché le milizie palestinesi siano riorganizzate in tre gruppi non dipendenti dal Raiss e che sia avviato un processo di riforma.
Ieri persino Terje Larsen, l’incaricato dell’Onu per il Medio Oriente, di fatto svincolandosi dalla sua antica amicizia col Raiss, ha lamentato la riottosità di Arafat. Abu Ala, dunque, cerca di tenere ancorata l’Europa allo sgombero, secondo il disegno classico di una presenza internazionaole favorevole ai palestinesi, e anche con l’idea di scansare l’Egitto dal Raiss tramite la presenza di altri poteri.
In secondo luogo, Israele sa che la presenza europea sulle questioni di sicurezza riporterebbe in discussione la necessità di parlare con i palestinesi per trattare le modalità dello sgombero, mentre Sharon ci tiene a compierlo in maniera unilaterale, ammettendo nel giuoco direttamente solo l’Egitto e gli Usa, e solo di striscio e collateralmente gli altri membri del Quartetto, con cui per altro parla di interventi economici e umanitari, ma non di sicurezza.
L’Europa, e Israele l’ha ribadito più volte, non ha mai deciso di verificare dove finissero i fondi destinati all’Autonomia Palestinese, non ha capito il terrorismo. La storia è lunga, dal 1967 quando De Gaulle impose l’embargo alle armi che dovevano salvare Israele in una guerra per la vita, fino a pochi giorni fa quando l’ex primo ministro francese Rocard ha dichiarato alla conferenza Euroatlantica in Medio Oriente nella Biblioteca di Alessandria di Egitto che «la dichiarazione Balfour è stato un errore storico». Inoltre e questo è un punto di estrema rilevanza, per Israele l’idea che nella sua sicurezza possa essere implicato un mondo che non condivide la sua stessa idea della lotta al terrorismo, corrisponde a un rischio vitale. Gli americani, che hanno avuto le Twin Tower, possono, pensa Sharon, capire meglio.
Anche oggi si tornerà a discutere sui temi della sicurezza. È atteso nel pomeriggio all'Aja il parere della Corte Internazionale di giustizia sulla legalità del muro di protezione che Israele sta costruendo in Cisgiordania. A chiederlo era stata l'8 dicembre scorso l'Assemblea generale dell'Onu per valutare «le conseguenze giuridiche» della barriera che secondo Israele deve servire a tutelare il paese da attentati terroristici palestinesi.
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