Colono = assassino: l'equivalenza del quotidiano comunista nella migliore tradizione stalinista
Testata: Il Manifesto Data: 08 luglio 2004 Pagina: 6 Autore: Michele Giorgio Titolo: «I coloni pronti a uccidere Ariel Sharon»
Il quotidiano comunista pubblica oggi un articolo di Michele Giorgio a proposito delle minacce dell'estrema destra israeliana al premier Sharon e al suo governo, per via del piano di evacuazione da Gaza. Giorgio, evocando il fantasma dell'omicidio di Rabin, non perde l'occasione per fare di tutta l'erba un fascio, accusando tutto il centro destra israeliano di esserne politicamente responsabile e di non essere disposto ad un qualsivoglia trattato di pace con i palestinesi. "Sharon tuttavia fa lo spavaldo", sottolinea Michele Giorgio per dimostrare che il "generale buldozer" è ancora degno di questo nome anche se viene minacciato di morte perchè giudicato troppo incline al compromesso. Successivamente si parla della visita di El Baradei e delle promesse che quest'ultimo avrebbe fatto sulle armi nucleari iraniane. L'agenzia atomica, secondo Giorgio manovrata dagli Stati Uniti, non ha potuto fare niente contro le armi di che Israele rifuta di smantellare. Ricordare che Israele è circondato da nemici che hanno già in passato più volte tentato di distruggerlo e che la bomba atomica di Teheran, reale minaccia brandita dagli Ayatollah, per Michele Giorgio è superfluo. «L'assassino è tra di noi», ha dichiarato il ministro israeliano per la sicurezza interna Tzaghi Hanegbi in riferimento alla presenza di uno o più killer dell'estrema destra ebraica che starebbe pianificando l'omicidio del premier Sharon o di un ministro, come quello di Yitzhak Rabin nove anni fa, pur di bloccare l'evacuazione, peraltro non ancora sicura, delle colonie ebraiche di Gaza. E se lo dice Hanegbi, un esponente di estrema destra cresciuto in una famiglia e in un ambiente ultranazionalista, deve essere proprio vero. All'improvviso in Israele è scoppiato l'allarme per le dichiarazioni e le intenzioni dell'ala più oltranzista dei coloni ebrei. È come se tutti fossero tornati ad accorgersi di ciò che fa e dice l'estrema destra che pure ha governato, almeno la sua parte più presentabile, con l' esecutivo in carica. Gli ex ministri Beny Elon e Avigdor Lieberman, di Unione nazionale, licenziati qualche settimana fa da Sharon, non hanno mai sostenuto l'eliminazione di un premier o di un ministro pronto a fare compromessi territoriali. Ma hanno infuocato la situazione con dichiarazioni sparate contro tutto e tutti, palestinesi e arabi in testa naturalmente. Due giorni fa era stato il capo dello Shin Bet, i servizi segreti interni, Avi Dichter a lanciare l'allerta davanti al consiglio dei ministri, parlando del rischio di una spirale di violenza degli estremisti di destra prima dell'eventuale ritiro da Gaza. La «sindrome Rabin» è perciò divenuta uno dei temi centrali del dibattito politico e sulla stampa. L'assassinio di Rabin era stato preceduto da una intensa campagna di delegittimazione nei suoi confronti da parte non solo dell'estrema destra e degli ambienti religiosi più radicali, ma anche di esponenti del Likud oggi al potere. La vedova di Rabin, Leah, si è rifiutata, dal giorno della morte del marito, di stringere la mano a Netanyahu (oggi ministro delle finanze) che accusava di aver aizzato la destra contro il marito.
Più grave fu la posizione dei rabbini più oltranzisti che vivevano e ancora vivono in Cisgiordania, nelle colonie, e occupano la terra palestinese. Questi «esponenti religiosi» emanarono una sorta di fatwa contro Rabin che accusarono di essere din rodef (il capitolo della legge religiosa ebraica che si riferisce agli ebrei che mettono in pericolo la vita di altri ebrei e possono quindi essere preventivamente uccisi). Quel «giudizio» offrì allo studente Yigal Amir la giustificazione religiosa per assassinare Rabin. Qualcosa di simile è incredibilmente in corso da alcune settimane nei confronti di Sharon, il «generale bulldozer», un tempo ideologo della colonizzazione e oggi accusato di «tradimento» per aver previsto l'evacuazione entro la fine del 2005 dei 21 insediamenti ebraici e dei 7.500 coloni dalla striscia di Gaza. Ad aggiungere tensione è giunta nei giorni scorsi anche una dichiarazione di un autorevole rabbino della Città Vecchia di Gerusalemme, Avigdor Nebentzahl, secondo il quale «chiunque vuole dare via anche un solo centimetro della terra d'Israele è soggetto al Din Rodef». Una dichiarazione che ha suscitato preoccupazione, anche se l'anziano rabbino ha precisato che «per una serie di ragioni oggi non è possibile applicare il principio del Din Rodef». L'avvertimento del capo dello Shin Bet è stato preso molto sul serio. Sharon tuttavia fa lo spavaldo e ha già detto di non voler portare la speciale maglia anti-proiettili raccomandata dai servizi segreti ai capi di governo dal giorno dell'omicidio di Rabin. «Non ci sono camicie blindate delle mie dimensioni», ha risposto a un deputato che gli chiedeva se la portava. Sharon intanto oggi incontra il presidente della Agenzia internazionale per l'energia atomica, Mohammed El Baradei, che ieri ha illustrato a vari esponenti israeliani la sua idea di un Medio Oriente privo di armi atomiche. I suoi interlocutori non solo gli hanno ribadito che Israele non rinuncerà alla sua capacità bellica non convenzionale, ma lo hanno incalzato sulle ispezioni dell'Aiea in Iran. Baradei ha rassicurato Tel Aviv che la pressione su Teheran non terminerà. Sulle armi atomiche israeliane invece è rimasto in silenzio piegandosi a Washington, che di fatto controlla il lavoro della sua agenzia. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione del Manifesto. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.