Se in India i contadini si suicidano è colpa di Israele lo sostiene Maurizio Blondet
Testata: Avvenire Data: 04 luglio 2004 Pagina: 2 Autore: Maurizio Blondet Titolo: «Schiacciati dal progresso scelgono il suicidio»
Avvenire ci ha ormai abituato ad un mix di correttezza e del suo opposto. Il quotidiano della CEI riflette molto bene il variegato mondo cattolico. Opinioni equilibrate mescolate a posizioni che senza alcun dubbio si espongono ad aperte accuse di antisemitismo. Come nell'editoriale uscito sabato 3 agosto 2004 di Maurizio Blondet, giornalista da sempre aduso ad esprimersi nel confronti del mondo ebraico e di Israele con posizioni che raggiungono e superano il limite dell'inaccettabile. Nel pezzo intitolato "Schiacciati dal progresso scelgono il suicidio" Blondet arriva ad accusare apertamente l'Occidente, ed Israele in particolare, di essere la causa del suicidio in massa far i contadini indiani.
Ecco il pezzo: Come succede ormai da anni in questa stagione, decine di contadini indiani si tolgono la vita. Giorni fa il neo-primo ministro Manmohan Singh visitava un villaggio dal nome improbabile, Somayjulapalle, dove 53 capifamiglia si erano uccisi perché oppressi da debiti impagabili. Il villaggio si trova nello Stato dell'Andra Pradesh, i cui cittadini vivono per il 70 per cento di agricoltura: qui si sono registrati tremila suicidi nell'arco degli ultimi sei anni. L'anno scorso, l'ondata di suicidi (centinaia) aveva colpito il vicino Karnataka: sempre in questa stagione, quando, se il monsone ritarda, i raccolti vanno a male e la speranza di pagare i debiti muore con essi. Ma non è la siccità. È un'atroce modernizzazione la causa di questa tragedia collettiva, nuova piaga sociale fra le antiche dell'India. Per millenni, l'agricoltura era stata indirizzata dai bisogni umani di sussistenza, e governata sulla base dello scambio. Prima della colonizzazione britannica, nemmeno la terra aveva un prezzo: in quanto sacra (raffigurata nel corpo di Kali, la Madre della fertilità) non era di proprietà di alcuno. Le famiglie contadine se la spartivano anno per anno, in un'assemblea rurale, in base al numero dei figli, dunque delle braccia. Le caste contadine erano al centro della distribuzione alimentare: "pagavano" coi raccolti ogni altra casta, dalla famiglia del bramino (che era astrologo e consigliava i periodi di semina) al vasaio e al tessitore, fino alle famiglie dei fuoricasta che avevano il compito di spurgare gli scoli. Ognuno era compensato non in base alla propria produzione, ma al suo grado di casta. Per millenni il sistema aveva funzionato. Pochi sanno che l'India non ha conosciuto carestie fino al giorno in cui i britannici non vi hanno introdotto le imposte agrarie, e dunque la necessità per i contadini di avere denaro. Oggi, è l'ultimo passo della mo dernizzazione - e della valutazione monetaria del lavoro agricolo - che pretende le sue «vittime». Proprio in Andra Pradesh le autorità hanno incoraggiato la conversione a culture "da reddito", vendibili. I contadini sono stati indotti, in nome dell'efficienza (e spesso su consulenza di esperti agricoli israeliani), a comprare fertilizzanti chimici anziché servirsi dei gratuiti concimi naturali animali; ad acquistare sementi ibride, su cui si paga il brevetto e che vanno ricomprate ogni anno, perché sono sterili; a fornirsi di trattori, e dunque a spendere per il carburante. A credito, ovviamente. Per anni, lo Stato ha dato ai contadini prestiti a basso interesse; ma ora i sussidi sono stati tagliati, domina il "mercato". Come ha notato il premier dell'Andra Pradesh, "un ricco può comprare a rate una Mercedes al 4% ma un contadino, per il trattore, deve pagare interessi del 15%". Nessuna produttività agricola, per quanto moderna, può rendere il 15%: dunque gli interessi equivalgono a una spoliazione. Ma la realtà è ancora peggiore: per un contadino che si toglie la vita per debiti, ci sono centinaia di famiglie indebitate con gli usurai locali al 40, al 60%, che, per sopravvivere, vendono le figlie o i reni del marito e del figlio. Chiamiamola pure modernità: in India, essa rivela l'altra ben nota faccia di Kalì. La nera, macabra danzatrice inghirlandata di teschi. E'incredibile che ancora oggi - e su un gionale come AVVENIRE - si possano attribuire calunnie clamorose quanto false all'Occidente con una polemica antimodernista che nemmeno le ONG più assatanate si sentirebbero di appoggiare. L'odio conro la moderrnità di Blondet è ben noto, così come il pepe anti-ebraico e anti-isareliano con il quale condisce le sue analisi. Ma arrivare ad attribuire la responsabilità di suicidi di massa su di un tema come l'agricoltura ad Israele è addirittuta ridicolo. Israele è conosciuto in tutto il mondo per l'altissimo grado di capacità tecnica proprio nel campo dell'agricoltura. I suoi tecnici sono richiesti in ogni parte del mondo, in modo particolare in Africa e nei paesi del terzo mondo per aiutare economie arretrate a migliorare. Che Blondet ci veda un complotto ha dell'incredibile. Il suo pezzo va letto con attenzione. Per chi ha buona memoria non lo troverà dissimile da tutta la pubblicistica che un tempo in Europa attribuiva agli ebrei la responsabilità dei "mali del mondo". Oggi quel giornalismo è merce quotidiana sui giornali del mondo arabo. E, in Italia, fra altri, negli scritti di Maurizio Blondet. Invitiamo i nostri lettori a scrivere a AVVENIRE per chiedere al direttore come possa pubblicare sul suo giornale articoli come quello sopra riportato
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